Gaza: L'oratorio della speranza

Pochi, isolati dall'embargo e alla prese con l'islamizzazione della società voluta da Hamas. Ma i cattolici sono lo stesso una comunità viva, segno di pace.

Gaza: L'oratorio della speranza

da Un Mondo Possibile

del 06 ottobre 2010

          

           Ne abbiamo sentito parlare tante volte per i suoi drammi. Ma ci può essere anche un altro punto di vista dal quale guardare Gaza: quello della parrocchia della Sacra Famiglia, l’unica comunità latina della Striscia. Una presenza non facile, eppure seme di speranza, in qualche modo icona dell’intero Medio Oriente al centro del Sinodo che si tiene a Roma questo mese. Ce la racconta in questo reportage Andrea Bergamini, religioso delle Famiglie della Visitazione.

 

           È piccola la parrocchia latina di Gaza: nella Striscia i cristiani sono circa 2.500 e, di questi, la stragrande maggioranza sono ortodossi. È una parrocchia 'assediata': la barriera militare israeliana confina il milione e mezzo di gazawi in una prigione a cielo aperto, e quel milione e mezzo di palestinesi sono praticamente tutti musulmani. Però è una parrocchia molto viva, come avvertiamo ogni volta che, varcati i check-point, riusciamo a passare là quale giorno.

           A chi viene da Gerusalemme balza al cuore l'intensità con cui la gente - parecchia gente, almeno 50-70 persone - partecipa alla Messa feriale. Si percepisce subito l'attenzione e la concentrazione dei fedeli, il vigore con cui vengono proclamate le letture, recitate le preghiere. Nelle piccole cappelle dove si prega è curiosa la confusione cordiale che si crea allo scambio di pace e alla comunione dove tutti partecipano.

           Dopo la benedizione e il canto finale si girano le sedie per formare piccoli cerchi e, davanti a una tazza di tè, ci si racconta le ultime novità. La domenica la celebrazione eucaristica «prosegue» sul sagrato dove viene offerto il caffè mentre il parroco porta i saluti a tutti i fedeli: «È un momento comunitario intenso che va condiviso dopo la Santa Messa, in cui la fraternità e la sollecitudine gli uni per li altri giocano un ruolo importante», ci confida padre Jorge Hernandez, argentino, missionario dell'Istituto del Verbo Incarnato, che da un anno e mezzo ormai guida questa comunità.

           Se potessimo guardare la parrocchia di Gaza dall'alto, zoomare dal cielo - e credo che il Signore faccia proprio così - certamente vedremmo la luce di speranza e di fede che brilla in queste persone. Una luce forse dispersa e risucchiata dalla folla di case e di automezzi, accerchiata e assediata dai muri della guerra. Una luce sprigionata dall'altare, dal corpo e sangue di Cristo che ogni giorno muore e risorge nel mistero della Messa nel cuore e nelle vite di questi cristiani.

           «La tradizione cristiana a Gaza è ricca e antica. Maria, Giuseppe e Gesù bambino probabilmente passarono di qui durante la fuga in Egitto. Proprio per questo Gaza è a pieno titolo Terra Santa», dice orgogliosamente padre Jorge. Proprio per questo la parrocchia è dedicata alla Sacra Famiglia. Fin dai primi secoli dell'era cristiana a Gaza si sono succeduti monaci, anacoreti, vescovi santi... è un filo rosso che parte da Gesù stesso e arriva fino ai giorni nostri.

           Gran parte delle energie dei preti, delle suore e dei parrocchiani in generale, viene spesa per i bambini. Potremmo dire che lavorano quasi esclusivamente con e per loro. Tre scuole cattoliche accolgono quotidianamente 1.500 bambini. Di questi solo il 10 per cento sono cristiani. In parrocchia il gruppo di ragazzi più grandi - gli animatori - si sta rinforzando. Si riunisce settimanalmente per preparare con cura le attività rivolte ai più piccoli. «Tramite il nostro Oratorio Mar Iusef (San Giuseppe), creato ufficialmente qualche mese fa e sull'esempio di santi come don Bosco e san Filippo Neri - continua padre Jorge -, cerchiamo di accompagnare e aiutare i bambini e i giovani, e di coltivare in loro il senso della bellezza, la gioia della speranza cristiana e della fede nel Signore».

           Partecipando a qualche riunione ho notato che non sono molto diverse dalle riunioni nelle nostre parrocchie italiane. Il bisogno di stare insieme, di giocare, di lavorare in gruppo, che per tante ragioni (la guerra, l'anzianità del parroco precedente, la tradizione della parrocchia, ecc.), negli anni passati, è stato difficile da soddisfare, è fortissimo nei giovani cristiani di Gaza. In una delle mie ultime visite, finito l'incontro, abbiamo giocato per più di due ore nel cortile. Intanto la carne veniva arrostita sulle griglie, per la cena insieme. Rinsaldare l'amicizia, godere della compagnia reciproca, conoscersi, trovare moglie e marito... diventano bisogni vitali per ragazzi abituati a stare in casa, come in un ghetto.

           Gran parte del merito di questa «rinascita» va a padre Jorge che, con semplicità, ha cominciato a convocare i ragazzi, assegnando loro qualche responsabilità, ascoltandoli come un fratello maggiore, incoraggiandone pareri e idee, guidandoli alla scoperta della loro identità cristiana. Forte dell'esperienza vissuta in altri posti del Medio Oriente, in fondo, non ha fatto altro che aprire l'oratorio ed essere presente in prima persona sui campi da gioco, nelle aule di catechismo, nelle gite al mare, in chiesa. I bambini non si sono fatti pregare. Al sabato nel cortile ci sono sempre 150-180 ragazzini scatenati.

           Anche le suore hanno un ruolo fondamentale. Fin dal mattino presto, dalle cappelle delle loro case la preghiera è il cuore pulsante della comunità. Durante la giornata mostrano il loro carisma particolare: le suore di Madre Teresa vivono con i bambini handicappati e gli anziani, ospiti notte e giorno, e aprono il loro asilo alla mattina (120 bambini). Le suore del Rosario hanno la scuola (dalla materna alle medie), le Piccole sorelle di Gesù vivono tra la gente più povera.

           Presto si aggiungeranno anche le suore della comunità del Verbo Incarnato, la congregazione di padre Jorge. Molto più che altrove sembrano tutte totalmente immerse nella comunità cristiana, ne fanno parte profondamente, soffrono con loro, ridono con loro, piangono con loro. «L'apostolato che portano avanti - commenta il parroco - è una benedizione grande per tutta Gaza. Questa terra non potrà mai dimenticare le opere di misericordia che umilmente compiono ogni giorno ».

           ALLA PARROCCHIA si affiancano le tre scuole cristiane latine della Striscia di Gaza. La più antica è quella vicina alla chiesa, nel centro antico della città di Gaza: comprende la scuola materna, elementare e media. Tutte le mattine alle 7 e 20 gli studenti si mettono in fila per età nel cortile, seguono l'alzabandiera, cantano l'inno nazionale, fanno degli esercizi ginnici. Poi tutti in classe. La vicedirettrice ci accoglie e accompagna per un giro nelle classi, che sono miste. Il regolamento delle scuole latine dice che le ragazze musulmane non possono portare il velo all'interno dei locali. In tutte le altre scuole di Gaza invece è obbligatorio. Per le bambine cristiane, dunque, la situazione sarebbe molto problematica senza questi istituti.

           Il docente di arabo è particolarmente solenne e orgoglioso nel presentarci i suoi ragazzi. Sembrano spigliati e desiderosi di comunicare, di usare il loro inglese, di emergere dall'anonimato. Quelli che vorranno arrivare alla maturità si iscriveranno alla scuola superiore della Sacra Famiglia, ma non tutti ce la fanno perché è di alto livello, tecnica, difficile. Visitiamo l'aula di scienze, la sala professori, la biblioteca (dicono ben fornita di libri di letteratura araba). Poi passiamo alla scuola materna. Le aule sono ampie, piene di colori e di giochi. I bambini fanno più fatica a sorridere. Non capisco se sono in soggezione o semplicemente non vogliono. Qualcuno di noi notava che è difficile vedere a Gaza un bambino sorridere.

           In macchina ci spostiamo a Rimal, nel nord della città, un quartiere nuovo, vicino allo stadio, dove si trova la scuola della Sacra Famiglia, fiore all'occhiello del Patriarcato Latino. La vicedirettrice ci mostra subito il diploma-certificato che hanno preparato per ricordare il primo posto tra tutte le scuole di Gaza, raggiunto superando un test fatto a campione. La quarta elementare del Patriarcato ha totalizzato il massimo del punteggio.Da sempre la diocesi di Gerusalemme investe moltissimo nelle scuole e nell'istruzione. In tutte le parrocchie ci sono scuole. È il modo più diretto ed efficace non tanto per fare proselitismo ma per diffondere la cultura, la sapienza dell'incontro, dello studio, del sapere. I ragazzi imparano fin da piccoli a crescere insieme, cristiani e mussulmani. E tra tutte le scuole del Patriarcato emerge ogni anno proprio quella di Gaza, che opera nel contesto più difficile e problematico.

           L'ex-parroco padre Manuel Musallam - pastore appassionato, eroico, pedagogo, un po' «politico», amante della sua gente - per anni ha scelto i professori migliori, selezionato gli studenti motivati, si è prodigato per garantire corsi, didattiche, infrastrutture e strumenti moderni. «Questa scuola - ci spiega padre Jorge - è il frutto dei 15 anni trascorsi da padre Manuel alla guida di questa comunità. È stato lui a edificarla e a orientarla con obiettivi alti e nobili».

           I locali che percorriamo sono ampi, luminosi, addobbati con fotografie degli ultimi 10 anni di successi, diplomi, cerimonie. Le classi sono piene di bambini. Invadiamo, entriamo, fotografiamo, chiediamo... L'aula computer aspetta benefattori per essere rinnovata, così come la biblioteca. Curiosamente, in alcune aule, vi sono dei computer più nuovi. Mi spiegano che sono dei ragazzi: li hanno messi lì per poterli usare a scuola per lo studio (e solo per quello).

           A TEL AL-HAWA, il quartiere moderno a sud di Gaza, sorge infine la scuola delle suore del Rosario, inaugurata nove anni fa. Fu il presidente Yasser Arafat a dare il terreno e a favorire la nuova struttura scolastica. Le suore raccontano che lui teneva molto a queste imprese. In quasi dieci anni la società e la situazione sono cambiate radicalmente: oggi sarebbe impensabile ricevere tali incoraggiamenti da chi governa la Striscia di Gaza.

           Iniziamo il nostro giro dalla scuola materna. Suor Davida e suor Nabila ci raccontano della vita quotidiana della scuola, dei rapporti cordiali con i genitori e formali con i vicini di casa, ma anche del terribile attacco di un anno fa, dei danni alla scuola, dei traumi ai bambini. Mi ha fatto tenerezza vedere in una classe un'altra religiosa che insegnava religione cristiana: ad ascoltare, usciti dalle loro aule, c'erano solo tre bambine e un bambino. Uno a dieci o uno a venti: questi sono i numeri, le percentuali di cristiani-musulmani nelle nostre scuole!

           LA VISITA TERMINA sulla terrazza per vedere un panorama desolante. A Tel al-Hawa la casa delle suore sorge all'incrocio delle due strade che erano controllate dai due partiti forti, Hamas e Fatah. E fu proprio questo quartiere il centro degli scontri tra Hamas e Fatah, prima che Hamas prendesse il potere. Le suore raccontano che, due anni fa, qualcuno ha piazzato una bomba davanti al loro portone. L'esplosione ha distrutto l'ingresso e bruciato parte della casa. Durante l'operazione Piombo fuso (gennaio 2009) il quartiere è stato duramente bombardato. I carri armati israeliani sono penetrati fin qui e hanno lasciato segni terribili. La scuola ha subito dei seri danni (un missile ha centrato una finestra, una bomba al fosforo è caduta nel centro dell'asilo). Le case intorno sono state quasi distrutte.

           Ma i problemi non sono finiti. Da più parti ci è stato detto che il movimento al potere pian piano, giorno per giorno, introduce provvedimenti atti ad islamizzare in modo radicale la società civile, poco tollerando idee o costumi diversi, facendo uso di violenza, minacce, ritorsioni per far rispettare gli ordini. Solo un dieci per cento della popolazione pare essere d'accordo con Hamas. Il resto della gente è spaventata, tace e sopporta, vedendo sempre più lontano il giorno della liberazione e della pace.

           In questo contesto difficilissimo le tre scuole cattoliche e l'oratorio di padre Jorge sono dei segni straordinari di amicizia, di impegno, di lavoro per il bene. I bambini sono la parte debole e innocente del conflitto. E sono loro il futuro. Continuare a mettere tutte le forze e tutto l'impegno per custodirli ed aiutarli a crescere il meglio possibile è la sfida che i nostri amici gazawi - cristiani e non - stanno combattendo e nella quale abbiamo tanto da imparare. Non possiamo lasciarli soli.

           L'AUTORE: BLOGGER DA GERUSALEMMEAndrea Bergamini è un fratello della comunità chiamata «Le Famiglie della Visitazione», nata a Bologna una trentina di anni fa intorno a don Giovanni Nicolini, figlio spirituale di don Giuseppe Dossetti. Andrea, insieme a Lorenzo, suo confratello, dal 2005 abita a Betania, sul monte degli Ulivi, all'ombra del muro di separazione costruito da Israele.

           Insieme, nei ritmi della loro vita di preghiera quotidiana, percorrono le strade della Terra Santa visitando le comunità cristiane, accompagnando gruppi e amici, per conoscere, partecipare e comunicare le fatiche dei popoli che vi abitano. Andrea cura il sito ufficiale del Patriarcato Latino (www.lpj.org) e un suo blog personale (www.andresbergamini.it) dove racconta quello che vede e vive a Gerusalemme. Con un piccolo team formato da altri religiosi, con la benedizione del Patriarca Latino di Gerusalemme, visita periodicamente la striscia di Gaza, seguendo alcuni micro-progetti di aiuto e di sostegno alla popolazione palestinese.

Andrea Bergamini

http://www.missionline.org

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