Genitori davanti a Dio

Quali mezzi è lecito usare nell'educare i figli? Il tema dell'educazione è quanto mai delicato oggi, data la seria “crisi dell'autorità”, ma dev'essere affrontato perché esso rientra negli obblighi che ogni genitore cristiano ha verso i figli davanti a Dio.

Genitori davanti a Dio

A fronte dei doveri dei figli verso i genitori, si trovano altrettanti doveri dei genitori verso di essi. Si tratta del dovere di accoglierli una volta concepiti (e di non impedire che il concepimento avvenga), di educarli e di allevarli e mantenerli, provvedendo ai loro normali bisogni materiali e spirituali.

Il primo dovere, come è evidente, chiama subito in causa le gravissime piaghe dell’aborto e della contraccezione, su cui avremo modo di soffermarci largamente nella disamina del Quinto e del Sesto Comandamento. Per ora ci limiteremo a dire che si tratta di doveri nativi e fontali, radicati nel sacramento stesso del Matrimonio, in cui la procreazione (almeno nella Dottrina classica) rappresenta il fine assolutamente primario, senza il quale il Matrimonio semplicemente non avrebbe ragione di essere. La mentalità, oggi così diffusa, secondo la quale scegliere se fare i figli, quando e quanti farne, se “tenerli” qualora fossero frutto di “incidenti imprevisti e indesiderati” è tanto più disdicevole e aberrante quanto più sembra oggi essere accettata come perfettamente e assolutamente normale, come ambito esclusivo e insindacabile della “coscienza” (?) dei genitori, su cui nessuno (neanche, anzi, tanto meno i confessori) può azzardarsi a mettere bocca (o becco!). Gravissime sono le responsabilità dei genitori verso i figli non nati, sia quelli soppressi perché indesiderati sia quelli nemmeno concepiti per calcoli egoistici o comunque molto umani. Responsabilità non solo verso creature a cui si è impedito di venire sulla terra e compiere la missione pensata per loro da Dio, ma verso Dio medesimo, che se ha dato all’uomo l’onore di essere suo collaboratore nel trasmettere la vita, chiederà anche stretto e severo conto a chi ha dimenticato l’onere speculare, consistente nel non impedire che una nuova vita, che è sempre un immenso dono di Dio, venga al mondo per compiere la sua Volontà e poi goderlo in Paradiso.

Necessariamente più articolato deve essere il discorso sull’educazione, problema quanto mai attuale e scottante. Tutti i cattolici, infatti, sanno (o almeno dovrebbero sapere) che la Chiesa italiana attraverso la CEI ha posto il problema dell’educazione al centro della pastorale per il decennio 2010-2020, prendendo atto del vero e proprio disastro educativo a cui si sta assistendo, peraltro puntualmente profetizzato, a suo tempo, dal grande San Pio da Pietrelcina che, prevedendo i tristi tempi attuali, tuonava non molto prima di lasciare questo mondo: «Verrà una generazione di genitori incapaci di educare i figli! Non vorrei essere nei panni dei vostri nipoti».

Se c’è un campo in cui la deriva antropocentrica e psicologizzante che ha imperato negli ultimi quarant’anni in Italia (senza che la tendenza sembri a tutt’oggi invertita) ha causato vere e proprie devastazioni è proprio quello dell’educazione, a tutti i livelli, ma soprattutto familiare e scolastica. Tutti i principi dell’educazione cristiana, accumulati in un’esperienza di vita e cultura bimillenaria, sono stati letteralmente gettati dalla finestra e da qualcuno messi letteralmente al bando. Un vero e proprio oblio, compiuto nel nome di un buonismo tanto più assurdo quanto più apparentemente seducente. La logica che presiede ai nuovi “sistemi educativi” (o diseducativi?...), a parere di chi scrive, è quella che affonda le radici nel pensiero del filosofo illuminista Rousseau, che coniò la nuova perniciosissima variante laica dell’eresia pelagiana. Per Rousseau aveva radicalmente torto Hobbes nel predicare il noto aforisma “homo homini lupus”, ovvero l’irrimediabile e incurabile cattiveria congenita dell’uomo (variante laica dell’eresia di Martin Lutero, per cui l’uomo è assolutamente, inesorabilmente e inevitabilmente peccatore). L’uomo, secondo Rousseau, è invece fondamentalmente e radicalmente buono. La cattiveria che a volte si constata in lui dipende semplicemente da ignoranza (non sa di fare il male) o da qualche cattiva abitudine contratta in base al cattivo esempio. Basterà dunque insegnare (ovviamente con amore e dolcezza) e far capire la cattiveria di un’azione, perché il problema educativo sia risolto. Guai a usare mezzi coercitivi, guai a mortificare, guai a umiliare! Che senso avrebbe fare queste cose se del male nessuno è moralmente responsabile?

Chiediamoci ora: cosa ci stanno insegnando dagli inizi degli anni ’70 a oggi? Che i figli non bisogna contrariarli altrimenti crescono frustrati, che i figli non si picchiano mai e per nessun motivo, che i loro desideri vanno assecondati, che non bisogna far loro mancare nulla altrimenti cresceranno con i complessi, che non bisogna umiliarli con castighi, che bisogna scusarne i capricci e impedire a chiunque di osare qualunque atteggiamento contrario a questi canoni, ritenuti più sacri e inviolabili dei dogmi di Santa Romana Chiesa. Ora, senza scomodare per adesso i fior di educatori germogliati nel giardino della Chiesa Cattolica, limitiamoci a una rapidissima rassegna di alcuni luoghi biblici che parlano dell’educazione dei figli. Forse, per qualche lettore, non mancheranno le sorprese. «Non risparmiare al giovane la correzione, anche se tu lo batti con la verga non morirà; anzi se lo batti con la verga, lo salverai dagli inferi» (Prv 23,13-14). Più forti ancora sono le parole del libro del Siracide: «Chi ama il proprio figlio usa spesso la frusta, per gioire di lui alla fine. Chi corregge il proprio figlio ne trarrà vantaggio e se ne potrà vantare con i suoi conoscenti. Chi ammaestra il proprio figlio renderà geloso il nemico, mentre davanti agli amici potrà gioire. Chi accarezza un figlio ne fascerà poi le ferite, a ogni grido il suo cuore sarà sconvolto. Un cavallo non domato diventa restio, un figlio lasciato a se stesso diventa sventato. Coccola il figlio ed egli ti incuterà spavento, scherza con lui, ti procurerà dispiaceri. Non ridere con lui per non doverti con lui rattristare, che non debba digrignare i denti alla fine. Non concedergli libertà in gioventù, non prendere alla leggera i suoi difetti. Piegagli il collo in gioventù e battigli le costole finché è fanciullo, perché poi intestardito non ti disobbedisca e tu ne abbia un profondo dolore. Educa tuo figlio e prenditi cura di lui, così non dovrai affrontare la sua insolenza» (Sir 30,1-3.7-13). I passi potrebbero abbondantemente moltiplicarsi, ma preferiamo concludere con due citazioni tratte dal Nuovo Testamento, meno crude nei termini e nella forma, ma ugualmente chiare e ferme nei principi affermati: «Voi, padri, non inasprite i vostri figli, ma allevateli nell’educazione e nella disciplina del Signore» (Ef 6,4). «Qual è il figlio che non è corretto dal padre? In verità ogni correzione, sul momento, non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo però arreca un frutto di pace e di giustizia a coloro che sono stati addestrati per suo mezzo» (Eb 12,7b.11). Indubbiamente tra queste affermazioni, per quanto particolarmente forti (e, per questo, da prendere “cum grano salis”) e gli slogans triti e ritriti della propaganda pseudo-culturale dei nostri giorni, c’è un vero e proprio abisso. La prima cosa da fare è prenderne atto; la seconda, che cercheremo di intraprendere dalla prossima settimana, è vedere come tali principi si possono (e si devono!) applicare anche nei nostri tempi.

Don Leonardo Pompei

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