Famiglie in cerca di alibi per giustificare innanzitutto se stesse: il proprio fallimento genitoriale. Stanno aumentando di numero le mamme e papà rabbiosi, che si schierano decisamente dalla parte dei figli, aggredendo a parole ed anche fisicamente, docenti e personale della scuola, senza chiarire prima le motivazioni dei loro: i figli, come cuccioli di casa, vanno difesi comunque, guai a chi li tocca o si permette di rimproverarli.
del 17 giugno 2010
 
             Credevo che le invasioni di campo da parte dei genitori fossero solo nel mondo sportivo, ma devo correggermi: oggi avvengono anche nel mondo della scuola, più di ieri e dell’altro ieri, non dico dei miei tempi, quando la mia mamma per andare a parlare “col prufesur”, metteva il vestito migliore!
 
 
             Stanno aumentando di numero le mamme e papà rabbiosi, che si schierano decisamente dalla parte dei figli, aggredendo a parole ed anche fisicamente, docenti e personale della scuola, senza chiarire prima le motivazioni dei loro: i figli, come cuccioli di casa, vanno difesi comunque, guai a chi li tocca o si permette di rimproverarli.
             Anche in oratorio qualche “don” si è visto arrivare madre, padre, nonni e fratelli al seguito, perché il pupo era stato redarguito oppure messo in panchina dall’allenatore della squadra di calcio o di pallacanestro per motivi disciplinari: “Non ve lo mando più! Siete degli incapaci!”.
             Il grande Sandro Gamba, anni fa, in un teatro gremito di genitori, aveva detto a chiare lettere, che tutti potessero sentire: “Io allenerei molto volentieri una squadra di soli orfani!”. Accorgendosi del disorientamento dei presenti ha spiegato il perché: troppi genitori “competenti” e invadenti.              Non solo l’allenatore li vuole tenere lontani, ma gli stessi ragazzi, a volte, vorrebbero essere orfani: “Don, se c’è mio papà a vedere la partita, io non gioco!”; “Ho vergogna! Mia mamma è entrata in classe come una furia perché avevo preso quattro in italiano. Se l’è presa con il prof. ma la colpa non era mia. Il tema lo aveva fatto lei per me!”. Temo che questi atteggiamenti protettivi e “irragionevoli” avvengano per giustificare agli occhi dei figli assenze e insufficienze di tipo educativo e affettivo, tentativi che producono solo danni e rendono sempre più guardinghi e diffidenti chi ha a che fare con i loro “pupi”, iperprotetti all’esterno e abbandonati in casa.
             Ricordo le vicende di uno dei tanti Turiddu arrivati al centro di Arese, dopo ennesimi episodi di violenza a scuola con i compagni e gli insegnanti. Tredicenne, stufo di stare in classe, vuole andarsene. Alla prof. non vuole lasciarlo uscire, dà un banco in testa… Sospeso! Il mattino dopo, arriva ugualmente a scuola in compagnia del fratello e di un aggressivo dobermann. Bidelli e preside non se la sentono di affrontare il fratello con il cane ringhioso, lo lasciano entrare in classe, avvisando allo stesso tempo i Carabinieri. Prima ora, in cattedra è la stessa insegnante.Dopo cinque minuti, Turiddu espolde: “Mi hai rotto! Io me ne vado!”. Nessun ostacolo da parte della prof., esce, dimostrando che lui poteva fare quel che voleva, nessuno poteva impedirglielo, garanti il fratello e il poderoso doberman.
             Era un caso isolato, da notizie di giornali locali! O di questi ne riportano parecchi! Sono aggressioni che sminuiscono l’autorità dell’adulto e della scuola e questi bulletti, protetti dalla loro famiglia, si sentono sempre più forti e più… ignoranti e più tecnologici! Si presentano più sicuri anche agli esami, edotti dai compagni e dagli schermi televisivi sul come copiare, utilizzando queste macchine infernali, che facilitano gli apprendimenti, ma non sono in grado di formare il ragazzo che studia, riflette, che ha il gusto dell’amicizia, della gratuità, della gratitudine, della giustizia. Il cellulare non si deve usare in classe ma se sei vittima dell’ingiustizia, basta un SMS e la mamma o il papà si precipitano a scuola e sono scene da tragicommedia! Non vogliono sentire spiegazioni! Si rischia di brutto, anche una sberla in faccia. Se l’è presa un paio di mesi fa un prete d’oratorio, con il figlio che diceva al papà: “Lascialo, papà, non è stato lui a sgridarmi!”.
             Cesare Fiumi parla «di un analfabetismo comportamentale che non è di ritorno, ma la nuova faccia italiota del “faccio come mi pare”, del “te la faccio pagare”. Famiglie in cerca di alibi per giustificare innanzitutto se stesse: il proprio fallimento genitoriale».
             La famiglia, luogo dell’anima, secondo Fromm, nel suo libro “Arte d’amare”, potrebbe essere assimilata alla “Terra promessa traboccate di latte e miele”, di cui si parla nella Bibbia, dove i figli abitano in un clima di affetto, per crescere bene, ecco “il latte” e per amare la vita, ecco “il miele”. Solite esagerazioni del mondo degli studiosi? Tutt’altro! Se si vuole evitare una catastrofe educativa e di cuore, i genitori devono farsi “terra promessa”, dove i figli risiedono volentieri e autocontrollarsi di più, nutrendo maggiore stima vero gli adulti della scuola o dell’oratorio o del mondo dello sport e, prima di passare all’azione, dialogare, “ascoltando”!
             Eviterebbero tanti errori educativi e i ragazzi avvertirebbero un’alleanza tra adulti a loro favore, non contro.
don Vittorio Chiari
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