Genova, bimbo ucciso per un reality

Per cinquecento maledetti euro, si raschia via una vita umana da un utero di donna. Lo scopo è la prosecuzione di una carriera televisiva al suo sboccio in un tronfio spettacolino che vale molto di più dello spettacolino di una vita nascente....

Genova, bimbo ucciso per un reality

da Attualità

del 14 marzo 2008Tra le clienti del ginecologo suicida c’era dunque la protagonista di un reality show. Il famoso dramma dell’aborto, che perfora coscienze abissali dentro le quali maschi e femmine antiabortisti non hanno diritto di guardare, stavolta si è risolto in una richiesta di riservatezza, in un aborto clandestino che coinvolge nella catena di morte, oltre al bambino, lo stesso ginecologo.

 

Napoli, bimbo ucciso perché malato. Questo fu qualche giorno fa il nostro titolo per raccontare, unici in Italia, la storia vera della morte violenta del figlio di Silvana, donna sola abbandonata dal suo maschio, accolta da un rapido certificato per aborto terapeutico causa sindrome di Klinefelter, eseguito in condizioni infernali sottoposte ad accertamento di polizia. La notizia per gli altri era l’accertamento di polizia. La sub notizia alimentata da quel mascalzone che è il giornalista collettivo, ideologo incarognito della nostra società, era l’autodeterminazione della donna violata dalla campagna terroristica di Ferrara contro l’aborto. Manifestazioni, samba femministi, tentativi di arrivare alla sede del Foglio e cha cha cha.

 

Poiché i fatti si accompagnano alla ragione da veri alleati, eccovi un altro titolo. Genova, bimbo ucciso per un reality. Lo racconta Repubblica, dopo il solito tentativo di attribuire chissà quali altri delitti ambientali alla nostra limpida campagna per la vita e contro l’aborto, alimentato da quel disgraziato di Bobo Craxi e dal “ministro delle Impari Opportunità di morire” Barbara Pollastrini e da altri ego collettivi molto dementi. Gente un po’ bastarda, pronta a addossare a noi la colpa di un suicidio. Tra le clienti del ginecologo suicida c’era dunque la protagonista di un reality show. Il famoso dramma dell’aborto, che perfora coscienze abissali dentro le quali maschi e femmine antiabortisti non hanno diritto di guardare, stavolta si è risolto in una richiesta di riservatezza, in un aborto clandestino che coinvolge nella catena di morte, oltre al bambino, lo stesso ginecologo. Rapidamente, spicciativamente, per cinquecento maledetti euro, si raschia via una vita umana da un utero di donna. Lo scopo è la prosecuzione di una carriera televisiva al suo sboccio in un tronfio spettacolino che vale molto di più dello spettacolino di una vita nascente. Vale, per lo meno, cinquecento euro.

Non sono indignato. Non mi permetto gli stessi sentimenti banali delle povere postfemministe anni Settanta scese in strada per gridare il falso, sciagurate, cioè che io gli abbia mai dato delle assassine. Non darei di “assassina” nemmeno all’anonima soubrette che ha difeso la privacy della sua piccola carriera espellendo il suo piccolo dal grembo suo. Ma che la voluttà di morte, moralmente indifferente, abbia preso il posto della 194 e della sua “tutela sociale della maternità”, è una di quelle verità a negare le quali si fa figura, cara Turco, caro Sofri, care amiche giornaliste e caro Piersilvio Berlusconi, di tartufi e di ipocriti. Gli assassini siamo noi, mettetevelo bene in testa.

Perché io tiri in ballo il figliolo del mio amico Cavaliere è presto detto. Aveva appena finito di confessare a Vanity Fair che il matrimonio e i figli sono cose diverse, e che l’aborto è solo una questione di coscienza, così come pensa anche l’anarca etico che corre per la presidenza del Consiglio, suo papà. Bisogna aggiungere però, in base alle cronache in arrivo da Genova, riportate su Repubblica: un figlio dipende dalla volubilità di un fidanzamento, una relazione tra generazione di bambini e avventure dell’amore in fondo c’è, caro Piersilvio. Un’altra cliente del ginecologo suicida, anche lei giustamente protetta dall’anonimato, e che Dio lo conservi a tutte queste disgraziate, ha detto al cronista che con il fidanzato aveva rotto, e dunque ha “deciso” di non volere più il bambino.

Deciso? Ma non avevamo detto che si abortisce per tutelare la salute fisica e psichica della gestante, quando non il pericolo per la sua vita? Avevamo messo nel conto che si abortisce ovvero sopprime una vita per la rottura di un fidanzamento in seguito a decisione ordinaria, fuori da qualunque drammatico dilemma? Per “decisione”? Perché, come ha detto la ragazza, “non sapevo di fare qualcosa di male, l’aborto in Italia è legale”. Capito? Trent’anni dopo la depenalizzazione, ecco spiegato dalla cronaca ciò che diciamo noi della lista: legale vuol dire legittimo, normale, vuol dire che faccio un aborto come mi pare, quando mi pare, per il motivo che mi pare. Non è questa la sanzione di una indifferenza di cui donne e bambini sono vittime, con la complicità aperta e comoda di noi maschi legislatori, scrittori, polemisti, intellettuali e ministri da quattro soldi?

Mi direte: ma questo in realtà è illegale, questo non è previsto dalla 194. Vi dirò: lo so bene, e infatti ripeto in ogni piazza o teatro che la 194 è stata tradita, che non di quello si deve parlare. Infatti la 194 fa la sua figura in questa storia. 51 euro di multa e patteggiamenti vari per le uccisioni seriali decise per questo o quel motivo, anche parecchio futile. La 194 è uno strumento per contrastare l’aborto clandestino, per come fu concepito. Per come è stato gestito dalle culture di sinistra e di destra, e dai silenzi corrivi di tanti anche nel mondo cattolico (vero Bindi?, vero Franceschini?) la 194 è diventata lo schermo dietro cui si realizza anche in sua serena violazione, pubblico o clandestino, un aborto fai da te, un aborto facile che l’imminente arrivo del veleno Ru486 renderà più semplice, soffice, eutanasico. Più morte per tutti. Questo è il vero slogan della campagna elettorale unipartisan in corso.

Ma io non mi indigno. Aspetto che lo facciano le buone coscienze che si sono rallegrate per la moratoria Onu sulla pena di morte. Sta a loro coltivare il tesoro dell’indignazione morale. Hanno la stoffa per indignarsi.

 

Ps Io sono laico e ratzingeriano. Credo nel buonumore. Detesto la tristizia dei secolaristi mortiferi. So che “Knocked up” (titolo italiano “Molto incinta”) è un film in cui una ragazza, davanti all’alternativa tra un contratto televisivo e una gravidanza che comporta un incompatibile ingrassamento, sceglie a sorpresa di ingrassare e di fare il suo bambino. Dunque, anziché indignarmi, consiglio alle anime belle come la Aspesi e compagnia questo: cercate di assomigliare alle migliori sceneggiature di Hollywood, da Knocked up a Juno, perché il vostro reality abortivo fa un po’ schifo. Il buonumore è di ritorno, prossimamente su questi schermi.

Giuliano Ferrara

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