Georg Wilhelm Friedrich Hegel, La dottrina di Cristo

Gesù apparve nel mondo romano e in particolare tra il popolo ebreo. Quest'ultimo, per il pericolo che minacciava il suo culto divino sotto il dominio dei re siriaci e dei romani, si ostinava, si concentrava nel suo culto e soffriva. I romani al contrario erano i padroni del mondo.

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, La dottrina di Cristo

da L'autore

del 01 ottobre 2009

Gesù apparve nel mondo romano e in particolare tra il popolo ebreo. Quest'ultimo, per il pericolo che minacciava il suo culto divino sotto il dominio dei re siriaci e dei romani, si ostinava, si concentrava nel suo culto e soffriva. I romani al contrario erano i padroni del mondo. Gesù apparve quando il popolo comune era senza guida (Mt 11,25): «Io ti lodo, Padre Signore dei Cieli e della terra, ché tu hai nascosto ai saggi ed agli intelligenti ciò che hai rivelato agli innocenti».

 

Egli si rivolge agli ebrei perché rigettino tutto quel coacervo di cose che non possono darci aiuto né hanno valore. Gli ebrei vivono disperando della realtà, in contatto con una condizione generale dell'umanità che essi non possono rinnegare ma che è completamente priva di spiritualità.

Ora Gesù dice nel discorso della montagna (Mt 5,3 ss.): «Beati i poveri di spirito, perché di loro è il regno dei cieli. Beati quelli che soffrono perché saranno consolati; beati i pacifici perché possederanno la terra; beati i puri di cuore perché essi vedranno Dio».

 

Sono le pi√π grandi parole che siano state pronunciate, costituiscono un punto centrale, definitivo, che sopprime ogni superstizione, ogni asservimento dell'uomo. [...]

Cristo viene poi a parlare della legislazione mosaica. Secondo tutto il contenuto delle sue parole questo servizio è schiavitù, attività esteriore, non ha alcun valore. Solo l'intenzione dà all'azione il suo infinito valore; ma non si tratta di un'astratta intenzione bensì dell'intenzione vera in sé, che produce la vera attività. «Cercate dapprima il regno di Dio e la sua giustizia; e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù» (Mt 6,33).

In questa elevazione vi è sempre e ovunque il dolore per la decadenza del suo popolo e dell'uomo. In breve c'è sempre una piena astrazione da ciò che nel mondo passa come grande, un'elevazione nell'intimo cielo di cui l'entrata è aperta a tutti e dinanzi al quale tutto il resto è senza valore.

Questo sostanziale, questo cielo divino, universale, dell'interiorità, porta su una riflessione più determinata, ha comandamenti morali e di altra specie, che non sono se non forme speciali in determinati rapporti e situazioni. Ma questi comandamenti in parte concernono essi stessi sfere limitate, in parte non hanno niente di eccellente per questo grado nel quale si ha a che fare con qualche cosa di più alto, con la verità assoluta.

 

La dottrina eccellente e insieme comprensiva del Cristo è notoriamente l'amore. Il comandamento morale può essere espresso come amore: non il diritto si deve cercare bensì il bene degli altri. Dunque è un rapporto con la particolarità ed è solo sentimento, e di fatto il comandamento dice: ama il prossimo tuo. Nel senso più astratto e più largo, nel senso generale di amore umano, vuole l'amore per tutti gli uomini e l'amore diverrebbe così una fiacca astrazione. L'uomo e gli uomini che si possono amare sono alcuni uomini particolari. Il cuore che vuole racchiudere in sé tutta l'umanità è un vuoto elevarsi ad una semplice rappresentazione, che è il contrario di ciò che è l'amore.

 

L'amore nel senso di Cristo è: α) amore morale per il prossimo nei particolari rapporti in cui si sta con lui, β) l'amore è il rapporto, lo stato degli Apostoli che in questo sono uno. Ognuno di essi non ha una particolare occupazione, interesse, rapporto di vita e tuttavia, amando, essi sono separati da tutto, fanno astrazione da tutto. Questo amore è il punto centrale in cui essi vivono; essi amano i nemici; debbono amare e niente altro; debbono distaccarsi da tutto. Il loro fine è questa comunità e unità in e per se stessa, non la liberazione degli uomini, per scopi politici; essi debbono amarsi l'un l'altro con questo fine. […] γ) Questo amore indipendente, divenuto punto centrale, diviene poi immediatamente il punto più alto, lo stesso amore divino la cui base è la determinazione dello Spirito Santo.

Il secondo lato di questa dottrina è lo strapparsi, in senso negativo, da ogni cosa esistente, appunto per avere questo amore come tale senza obiettività del fine, senza avere un fine in quanto tale.

Cristo dapprima si mette contro il modo di vivere ebraico (vedi il discorso della montagna). Non lamenta di dover strappare spighe o guarire una mano secca nel giorno di sabato e avrebbe pur potuto aspettare fino all'indomani. Ma il Vangelo pone fine a tutti gli ordini ebraici; il regno dei cieli si avvicina e proprio come uno Stato (Mt 10,7); questo annuncio è per così dire una sansculotterie rivoluzionaria all'orientale.

 

«Guardate i gigli nei campi. Essi non seminano né raccolgono e il vostro padre celeste ha cura di loro» (Mt 6,28) e così pure gli uccelli. «Non preoccupatevi per il domani - non dite che cosa mangeremo, che cosa berremo, come vestiremo: queste preoccupazioni non sono adatte a voi; tali preoccupazioni hanno anche i pagani» (Mt 6,31-32). Anche i mendicanti si preoccupano per il domani e hanno il loro posto preciso. Solo i briganti e i soldati sono capaci di tale mancanza di preoccupazione e i briganti stessi sanno che domani troveranno la loro preda. Cristo dice al giovane che viene da lui: «Dà i tuoi beni ai poveri e seguimi» (Mt 19,21).

Oppure egli annuncia lo strapparsi dalla famiglia. Come egli parlava ancora al popolo, sua madre e i suoi fratelli erano fuori e volevano parlargli e qualcuno gli disse: «Guarda, tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e vogliono parlarti». Egli rispose e disse a colui che così lo informava: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?» e alzò la mano sopra ai suoi discepoli e disse: «Guardate, questi sono mia madre e i miei fratelli, perché chiunque compirà la volontà di mio padre, che è nei cieli, quegli è mio fratello, mia sorella, mia madre» (Mt 12,46-50); e uno dei suoi discepoli gli disse: «Maestro, permetti che io vada prima a sotterrare mio padre». Ma Gesù gli disse: «Seguimi e lascia che i morti sotterrino i loro morti» (Mt 8,21-22).

A questo si ricollega il passo ben conosciuto (Mt 10,34-37): «Io non sono venuto a portare la pace sulla terra ma la spada; perché io sono venuto per mettere l'uomo contro suo padre, e la figlia contro sua madre e l'uomo avrà per nemici la gente della propria casa. Colui che ama il padre e la madre più di me non è degno di me, e colui che ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me». [...]

 

Il terzo lato dell'insegnamento di Cristo è la determinazione più prossima o particolare, la determinatezza del regno dei cieli, propriamente la connessione di lui stesso con Dio e dell'uomo con se stesso e con Dio. Qui diviene visibile l'elevazione del suo spirito

(«Donna, i tuoi peccati ti saranno perdonati», Lc 7,48). Questa immensa maestà dello spirito che può fare che tutto ciò che è avvenuto non sia avvenuto e dice invece che questo è avvenuto. Diviene così manifesto che egli è inviato da Dio e qui esprime con assoluta precisione la sua identità con il Padre. «Io e il Padre siamo uno»(Gv 10,30). Allora gli ebrei presero le pietre per lapidario. «Tutte le cose mi sono state date dal Padre mio e nessuno conosce il Figlio se non il Padre, nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui a cui il Figlio vuole rivelarlo» (Mt 11,27). «Il Padre ama il Figlio ed ha dato tutto nelle sue mani. Chi crede nel Figlio avrà la vita eterna, chi non crede nel Figlio non avrà la vita, al contrario l'ira di Dio cadrà sopra di lui» (Gv 3,35). [00']

 

In questa e nelle altre dichiarazioni non importa che l'esegesi possa indebolire queste espressioni, per esempio: Gesù era caro a Dio, tutti gli uomini sono figli di Dio, come anche tutte le pietre, gli animali sono creati da lui. Gesù era un saggio devoto. Al contrario quelle parole di Cristo esprimono la verità dell'idea, che cosa egli è stato per la sua comunità e l'idea più alta della verità che è stata in lui, nella sua comunità.

 

L'attestazione dell'apparizione ha due lati: il primo concerne il contenuto, che è l'unità del finito e dell'infinito, che Dio non è un astratto, ma un concreto. L'attestazione è qui su questa posizione in quanto essa è per la coscienza solo un interiore, una testimonianza dello spirito. La filosofia deve spiegare che non è solo una testimonianza muta, interna ma è anche presente nell'elemento del pensiero. Questo è uno dei lati: la rassomiglianza della natura umana; l'uomo è l'immagine di Dio.

Il secondo lato è quello nel quale Dio, considerato nella sua eterna idea, deve generare per sé il Figlio, deve differenziarsi da sé, perché egli è colui che differenzia, l'amore e lo spirito. La sofferenza dell'anima è la testimonianza dello spirito in quanto è la negazione del finito e dell'infinito, soggettività e oggettività che sono insieme e tuttavia contrastano fra loro. Se questo contrasto scomparisse, non vi sarebbe alcun dolore. Lo spirito ha la forza assoluta di sopportare questo dolore, cioè di unificare ambedue i lati ed essere così nell'unità. Il dolore è l'attestazione dell'apparizione di Dio. Ciò che riguarda l'altra attestazione, che l'apparizione è avvenuta in quest'uomo, in questo luogo, in questo tempo, è di tutt'altra specie ed è da comprendersi attraverso l'intuizione della storia del mondo. Quando il tempo venne, Dio inviò suo figlio e che il tempo era venuto si deve riconoscere solo dalla storia.

 

La domanda più precisa è ora: che cosa si deve esporre come contenuto? Questo contenuto non può essere niente altro che la storia dello spirito, la storia di ciò che è Dio. La storia divina, come la storia di una singola autocoscienza, che ha unito in sé la natura divina e la natura umana, la natura divina nell'elemento della individualità umana.

Ciò che si ha dapprima è l'uomo singolo, immediato, in tutta la accidentalità e in tutti i rapporti e condizioni temporali. Questo è come alienazione dal divino. Si intuisce che ciò è per la comunità, vi è l'unità del finito e dell'infinito, ma in questo modo sensibile vi è ugualmente l'alienazione dell'idea che deve superarsi.

Il secondo punto è la dottrina. Quale deve essere la dottrina di questo individuo? Non può essere ciò che più tardi sarà la dottrina della Chiesa e della comunità. L'insegnamento di Cristo non è la dogmatica cristiana, non è la dottrina della Chiesa. Il Cristo non annuncia ciò che più tardi la Chiesa ha fatto sua dottrina. Poiché l'insegnamento sveglia i sentimenti attraverso la rappresentazione, il suo contenuto, che si trova nel grado più elevato come spiegazione della natura di Dio, è proprio quello che giunge alla coscienza sensibile come intuizione; perciò esso non è una dottrina che comincia con l'affermazione di proposizioni dogmatiche. Il contenuto principale della dottrina di Gesù può essere solo universale, astratto; contenere solo l'universalità, l'astrazione.

 

Se deve essere dato il nuovo, un nuovo mondo, una nuova religione, un nuovo concetto di Dio, nel mondo che si rappresenta, si mettono in rilievo due lati; il primo è il terreno generale; il secondo è il particolare, il determinato, il concreto. Il mondo che rappresenta, in quanto pensa, pensa solo astrattamente, pensa solo l'universale; è riservato solo allo spirito pensante di riconoscere dal generale il particolare, di lasciare emergere spontaneamente questo particolare dal concetto. Per il mondo della rappresentazione, il particolare è l'estraneità reciproca, la determinazione è il terreno del pensiero generale. Questa base generale può dunque, per mezzo della dottrina, esser prodotta per il vero concetto di Dio; in breve questo è il regno di Dio. Questo è stato insegnato da Cristo; è la reale divinità; Dio nella sua esistenza, la realtà spirituale, il regno celeste. Questa realtà divina ha già in sé Dio e il suo regno la comunità, questo è un contenuto concreto ed è il principale contenuto.

 

Questa dottrina, in quanto dapprima si ferma nell'universale, ha in questo universale, come universale astratto, la determinazione della negazione contro tutto ciò che esiste. In quanto affermazione dinanzi a questo, l'universale è una dottrina rivoluzionaria, che in parte trascura, in parte annulla o capovolge tutto ciò che esiste. Questa nuova religione è essa stessa ancora concentrata - non è ancora esistente per la comunità, ma vive in questa energia, che forma l'unico eterno interesse dell'uomo, che deve. combattere, lottare, per conservare ciò, poiché esso non si trova ancora in connessione con la coscienza del mondo, in concordanza con lo stato del mondo.

 

Questo regno di Dio, la nuova religione, ha dunque in sé la determinazione della negazione di ciò che esiste; questo è il lato polemico, il rapporto rivoluzionario contro la determinazione di ogni esteriorità nella coscienza e nella fede dell'uomo. Il precedente si cambia; il rapporto precedente, le condizioni esistenti finora nella religione del mondo non possono più sussistere come erano. Si tratta di separare dalla realtà esistente coloro che debbono divenire coscienti della riconciliazione, di richiedere loro di astrarsene. Viene presentata la richiesta di allontanarsi dalle cose finite, viene richiesta l'elevazione all'energia infinita, per la quale tutti gli altri legami debbono divenire indifferenti e per la quale devono essere messe in disparte tutte le altre obbligazioni, tutto ciò che è morale e diritto. Cadono tutte le cose terrestri e mondane; esse sono prive di valore e come tali vengono definite.

 

È l'elevazione ad un'infinita energia che viene presentata alla rappresentazione in modo che il generale esige di essere tenuto fermo per se stesso. Così vediamo questo linguaggio. Cristo dice, quando si trova tra i suoi discepoli e sua madre e i suoi fratelli vengono a parlargli: «Chi è mia madre, quali sono i miei fratelli?». E a uno che disse: «Signore, io voglio seguirti, ma permettimi prima di prendere congedo da quelli che sono nella mia casa», Gesù rispose: «Quello che mette la sua mano all'aratro e guarda indietro, quegli non è degno del regno dei cieli» (Lc 9,59-62). Noi vediamo qui esprimersi l'atteggiamento polemico contro i rapporti etici: tutti i rapporti che si riferiscono alla proprietà scompaiono. A ciò appartengono consigli come «non vi preoccupate per il domani» o «date i vostri beni ai poveri». Dove il divieto si annulla da se stesso, poiché, in generale, se i poveri ricevessero i beni diverrebbero ricchi e vi sarebbe di nuovo lo stesso rapporto. Cristo dice: «Non vi preoccupate per il domani; basta a ciascun giorno la sua pena» (Mt 6,34). Tale preoccupazione è tuttavia necessaria per l'uomo. Ma qui al contrario i rapporti familiari, la proprietà, vanno in seconda linea rispetto a qualche cosa che è esistente in sé e per sé: il seguire Cristo.

 

Tutti questi sono precetti, determinazioni che appartengono alla prima apparizione di Cristo nella quale solamente la nuova religione forma l'unico interesse e l'uomo si crede ancora in pericolo di perderla. Questo è un lato.

Questa rinuncia, questo abbandono, questa svalutazione di tutti gli interessi essenziali e dei legami di costume è, nell'apparizione concentrata della verità, una determinazione essenziale, che, per conseguenza, quando la verità ha la sua piena esistenza, perde la sua importanza. È l'annuncio del regno di Dio. In questo regno l'uomo deve trasportarsi per gettarsi immediatamente nella verità. Questo è espresso con la più pura, più prodigiosa parresia per esempio all'inizio del discorso della montagna: «Beati coloro che...».

 

Per tale elevazione e perché essa si produca nell'uomo non si parla di alcuna mediazione, ma è così espresso questo essere immediato, questo immediato trasportarsi nella verità, nel regno di Dio. A questo regno, a questo mondo intellettuale e spirituale l'uomo deve appartenere. Nel linguaggio dell'entusiasmo è espresso con tali accenti penetranti che trafiggono l'anima e la fanno fremere e la strappano ai suoi interessi materiali: «Cercate dapprima...».

 

In questa completa indipendenza è il primo astratto fondamento della spiritualità. È qui presente la morale come morale, ma come in una posizione subordinata e qui non ha niente di particolare. I comandamenti di Cristo si trovano in gran parte nell' Antico Testamento. Sotto altro aspetto, e come fatto nuovo, l'amore è il più alto comandamento; ma non l'amore impotente che si rivolge a tutti gli uomini, ma quello reciproco nella comunità; per questo il legame spirituale può essere l'universale. Ciò che può essere considerato come comandamento morale si trova anche sia nelle altre religioni sia nella religione ebraica.

 

Per ciò che riguarda il particolare, esso vi è, come già si è detto, giunto da altra parte per la coscienza rappresentante. Qui si trovano esempi, del tutto concreti, in altre sfere. Nella dottrina maomettana vi è solo il timore di Dio; Dio si deve onorare come l'unico e si deve rimanere fermi in questa astrazione. Perciò la religione maomettana è formalismo, completo formalismo che non lascia che si formi niente contro di sé; dunque è fanatismo. Ovvero nella rivoluzione francese la libertà e l'uguaglianza furono proclamate in tal modo che tutto ciò che è spirituale - leggi, talento, rapporti vitali - doveva scomparire dinanzi a questa astrazione, cosicché l'ordine della costituzione dovette venire da altra parte e opporsi con la forza a questa astrazione, poiché quelli che tengono ferma questa astrazione non possono ammettere che avvenga una cosa determinata, perché è un particolare, una differenza contro questa astrazione. Io cito questi esempi per mostrare fin dove può andare la coscienza rappresentativa; il particolare però deve aggiungervisi in altro modo.

 

Il particolare, la determinazione, qui si aggiunge ugualmente in modo strano. Se nel generale la dottrina è il fondamento, tuttavia diverse indicazioni conducono alla determinazione particolare, ma la cosa più importante è che questo contenuto venga dato non attraverso la dottrina, ma per mezzo dell'intuizione sensibile. Questo contenuto non è altro che la vita, la sofferenza e la morte di Cristo.

 

Così entrano in questa dottrina questo momento, questa determinazione che, mentre si pronuncia tale richiesta: «Cercate prima, immergetevi nella verità», viene pure immediatamente pronunciata come massima soggettiva e allora viene presa in considerazione la persona del maestro. Cristo non parla solo come maestro, che espone il suo punto di vista soggettivo ed ha la coscienza di ciò che produce, della sua attività; ma egli parla come profeta. E perciò la sua esigenza è immediata, le sue parole vengono immediatamente da Dio e Dio parla attraverso lui. Avere questa vita dello spirito nella verità cosicché essa non è mediata, ha espressione nella profezia in modo tale che è Dio che dice questo. Si tratta della verità assoluta, divina in e per sé, della sua espressione e volontà, e l'attestazione di questa espressione viene intuita come l'atto di Dio; è la coscienza della reale unità, della volontà divina, della sua concordanza. Nella forma di questa espressione l'accento è però posto in ciò che colui che parla così è essenzialmente e contemporaneamente l'uomo, che è il Figlio dell'uomo che dice questo, che in lui queste parole, questa realizzazione di ciò che è in e per sé è essenzialmente l'azione di Dio; ma non come qualche cosa di super-umano, come qualche cosa che viene nella forma di una rivelazione esteriore, ma come l'azione in un uomo, cosicché la presenza divina è essenzialmente identica con questo uomo.

 

È ancora da aggiungere il destino di questo individuo che, espresso umanamente, è divenuto martire della verità in stretta connessione con la sua apparizione, perché la fondazione del regno di Dio si opponeva direttamente allo stato esistente, fondato su un altro modo, su una determinazione diversa della religione, con la quale sta addirittura in contrasto.Questi sono i momenti principali nell'apparizione dell'uomo, nella considerazione umana. Ma sono solo un lato e non sono ancora una considerazione religiosa.

 

L'apparizione dell'uomo-Dio è da considerare contemporaneamente in due modi; la prima come uomo, secondo il suo stato esteriore, secondo una considerazione non religiosa, come egli appare, in quanto uomo ordinario. C'è, in secondo luogo, la considerazione nello spirito, la considerazione con lo spirito che penetra nella sua verità, perché egli ha in sé questa infinita scissione, questo dolore perché vuole la verità, vuole e deve avere il bisogno della verità e della certezza della verità. Solo questo secondo è il momento religioso.

 

Se si considera Cristo come Socrate, lo si considera come un uomo ordinario, come lo ritengono i maomettani, un inviato da Dio, allo stesso modo che tutti i grandi uomini sono in generale inviati, messaggeri di Dio. Se si dice di Cristo solamente che egli è il maestro dell'umanità, il martire della verità, non si sta dal punto di vista religioso. Questo lato umano in Cristo, la sua apparizione come uomo vivente è un lato e sono qui da menzionare brevemente i suoi momenti.

Il primo momento è che egli è un uomo immediato, con tutte le accidentalità esteriori, con tutti i rapporti e condizioni temporali; egli è nato, ha, come uomo, i bisogni degli altri uomini, salvo che non cade nella corruzione, nelle passioni e nelle cattive inclinazioni degli altri uomini, né si mescola agli interessi particolari della mondanità, nei quali può trovarsi anche la capacità di giustizia e la dottrina. Al contrario egli vive per la verità e per annunciarla; la sua attività è solo per soddisfare i più alti bisogni dell'uomo.

 

Così il secondo momento è il suo insegnamento. La domanda è ora come può essere e come deve essere questo insegnamento. Esso non può, come già è stato detto, essere come la successiva dottrina della Chiesa. Esso deve avere in sé delle caratteristiche che nella Chiesa in parte riceveranno altre determinazioni, in parte verranno messe da un lato. Quando la comunità è stabilita, quando il regno di Dio ha raggiunto la sua esistenza, la sua realtà, questi insegnamenti non hanno altre determinazioni e si lasciano da parte.

 

In quanto si ha qui a che fare con la coscienza dell'assoluta riconciliazione, vi è qui una nuova coscienza dell'uomo, una nuova religione. Da ciò è condizionato un nuovo mondo, una nuova realtà, un altro stato del mondo, perché l'esistenza esteriore, l'esistenza naturale, ha per sua sostanzialità la religione. La nuova religione si esprime come una nuova coscienza, la coscienza della riconciliazione dell'uomo con Dio. Questa riconciliazione, espressa come uno stato, è il regno di Dio; la sua realtà, gli spiriti, i cuori sono riconciliati con Dio e così è Dio che domina in loro, che è giunto alla sovranità. Questo è il fondamento generale e l'intenzione che conferisce il valore, t ma non un'intenzione astratta, una tale o tale altra opinione, ma l'intenzione assoluta, che ha la sua base nel regno di Dio. Si è così mostrato per prima cosa il valore infinito dell'interiorità.

 

 

Da G. W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della religione, tr. it. di Elisa Oberti e Gaetano Borruso, 2 voll., Bologna, Zanichelli, 1973-1974, vol. II, 1974, pp. 349-359.

 

 

 

Georg Wilhelm Friedrich Hegel

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