Giacomo Poretti racconta la sua conversione

Il comico spiega il suo percorso. Dalla religione intesa come un ferrovecchio all'incontro con un prete “strano”.

del 01 ottobre 2013

In un certo senso, parlandone all’ultimo Meeting di Rimini – dove si era recato per presentare il suo libro "Alto come un vaso di gerani" – ne aveva già parlato. Ma in un’intervista pubblicata su Avvenire e tratta dalla rivista Credere, l’attore comico Giacomo Poretti («il 33 per cento del trio», come dice lui, con Aldo e Giovanni), spiega il suo percorso di riavvicinamento alla fede. E, come ormai ci ha ormai abituato, lo fa alternando l’ironia al racconto profondo del suo vissuto.

 

RELIGIONE? UN FERROVECCHIO

 

Giacomo parla degli anni spensierati dell’oratorio che oggi, rivisti con gli occhi di un padre, «sono ancora più importanti: proprio qualche giorno fa, insieme con altri genitori, io e mia moglie ci siamo interrogati su quale oratorio nella nostra zona potesse accogliere nostro figlio. Ma il suo ruolo è minacciato perché noi genitori abbiamo la fissa dell’eccellenza. Corsi di inglese, di judo, di pianoforte…: mettiamo addosso ai figli un’ansia da prestazione pazzesca».

Raccontando il suo percorso, Poretti spiega che, dopo quegli anni, si è sempre più allontanato dalla fedea: «Mi ero convinto che la Chiesa non potesse dare risposte alla mie inquietudini e che la religione fosse un ferrovecchio».

Il pregiudizio fu vinto in maniera strana. Inviato a partecipare a un cineforum con i gesuiti di San Fedele di Milano, Giacomo e la moglie conobbero padre Eugenio Bruno: «Diceva cose profonde, che mi colpivano, ma in modo strano, come se ti stesse prendendo in giro». Così si susseguono altri incontri e, in particolare, una cena con altri amici «con i quali da un po’ ci capitava di porci domande sul senso della vita e su Dio».

 

LA SCINTILLA

 

Di quella cena, Giacomo racconta un episodio: «A un certo punto è venuta fuori la domanda: “Come possiamo sapere se Dio esiste davvero?”. Lui ci ha guardato e ha detto: “Io mi sono fatto prete a vent’anni perché ho capito che Dio è amore”. E si è rimesso a mangiare. Lo so, è una frase che può sembrare vuota, retorica, ma per noi è scoccata la scintilla. Da quel momento io e Daniela (la moglie, ndr) e un’altra coppia abbiamo iniziato un percorso di fede con lui e un altro gesuita, fatto di preghiere e di conoscenza della Bibbia».

Giacomo spiega anche di amare la preghiera del Padre Nostro («c’è dentro tutto: la libertà, la misericordia…») e di essere impressionato dalla storia di Davide e Betsabea («parla dello sguardo: da come si orienta il tuo sguardo dipende il destino della tua vita»). Dice anche che «Dio dà senso alle cose. Dentro l’orizzonte della fede c’è un senso per la vita. Poi, certo, resta la fatica di declinare questa scelta nel comportamento di tutti i giorni, con le paure e i dubbi che tutti noi abbiamo».

 

DIO E’ UN ARTISTA

 

Per definire Dio, Giacomo tira fuori questa immagine: «È un grande artista. Se penso anche solo alla bellezza delle cose che ha fatto, non può che essere un artista. E il fatto che abbia sentito il desiderio di creare l’uomo, per mettersi in relazione con lui, è un mistero affascinante». Giacomo chiede a Dio per suo figlio la salute, ma anche qualcosa di meno scontato:  «Che trovi un bel gruppo di amici, perché è importante che a scuola e in oratorio faccia parte di un gruppo: in qualche modo, questo ti salva. Anche la scuola elementare, cattolica, l’abbiamo scelta con attenzione, per la stessa ragione».

 

IL MORALISMO E IL FASCINO

 

Se oggi i credenti sono rappresentati come tristi e musoni è a causa di «un insegnamento della fede spesso ancora intriso di moralismo. in cui la religione si identifica con un elenco di divieti, con una mancanza di libertà. Invece esiste – eccome! – una gioia della fede e credo che sia soprattutto la gioia della relazione, con lui e tra noi. Dio, secondo me, va più d’accordo con chi si relaziona con lui, anche se magari si arrabbia, come Giobbe. Bisogna avere il coraggio di fare delle domande a Dio, se no si vive tutto con paura».

 

GENITORE 1 E 2. UNA DOMANDA AL PAPA

 

Parlando di papa Francesco Gaicomo avverte che, purtroppo, oggi molti intendano le sue parole come «frasi da cioccolatino». «Mi pare – nota – che ancora si debba capire davvero chi è questo Papa. Io da lui mi aspetto anche, come papà, che mi aiuti ad orientarmi nel mondo di oggi. Quando sento che in Francia non ci sarà più la festa del papà o della mamma, ma del genitore uno e o del genitore due, sono curioso di sapere cosa ne pensa il Papa».

 

Di seguito l’intervento completo di Giacomo al Meeting di Rimini: link

 


tratto da http://www.tempi.it

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