Giovani e gratuità

Molti giovani non credono che si possa agire non per interesse: pensano che ci debba sempre essere un qualche tornaconto materiale. L'idea della gratuità non c'è. La gratuità è il senso della vita, secondo me. Se siamo su questa terra, è perché abbiamo avuto il dono di esistere, il dono delle cose, il dono di amare. Tutto questo è gratuito. Sono tutte cose da vivere con gratuità, ma adesso quest'idea non esiste più: “Faccio questo se tu mi dai questo”.

Giovani e gratuità

da Teologo Borèl

del 01 gennaio 2002

Ci dovrebbero essere persone di buona volontà, insegnanti che stanno vicino ai ragazzi. Ci dovrebbe essere anche una coscienza di civiltà in chi dirige i mass media… Invece tutto è lasciato a pochi, pochissimi eroi.

Ci si dovrebbe sempre sforzare di essere testimoni e dunque non deludere, di comunicare ai ragazzi l’idea che c’è qualcosa di “fermo”, che non cambia; qualcosa di coerente e di concreto. È una cosa che ogni persona con una visibilità sociale dovrebbe ricordarsi di fare con serietà. Mancano modelli positivi, mancano delle persone.

Si offre sempre un modello volgare della realtà ai ragazzi. Cioè viene offerta la volgarità come principio: se fai una cosa, la fai per un tornaconto.

Io ricevo migliaia di lettere, soprattutto di giovani, e quindi posso affermare di “avere il polso” della realtà giovanile di oggi. Ho tante lettere di ragazze e ragazzi di questo tenore: “Mi piace scrivere, vorrei tanto fare la scrittrice, vorrei diventare ricca e famosa come lei, ma mi dica se è molto faticoso”.

Proprio così. Vuol dire che è diventato dominante un modello per cui vuoi i soldi e vuoi apparire in televisione, però senza fare fatica: qual è il valore di questo modello?

Molti giovani non credono che si possa agire non per interesse: pensano che ci debba sempre essere un qualche tornaconto materiale. L’idea della gratuità non c’è.

La gratuità è il senso della vita, secondo me. Se siamo su questa terra, è perché abbiamo avuto il dono di esistere, il dono delle cose, il dono di amare. Tutto questo è gratuito. Sono tutte cose da vivere con gratuità, ma adesso quest’idea non esiste più: “Faccio questo se tu mi dai questo”.

Sembra inconcepibile che tu faccia qualcosa gratuitamente: la gente non crede che ci sia qualcuno che si muove non per un proprio tornaconto personale ma per un sentimento di condivisione, di amore.

E l’amore vero – non il “vogliamoci bene” – richiede forza; se ami, molte volte devi dire di no, devi affrontare questioni impegnative. Siamo una società decaduta, come un impero dopo l’invasione. Un popolo che non sa educare è un popolo decaduto. Per esempio, la figlie di alcuni miei amici stranieri, che hanno 9 e 6 anni, hanno un profondo rispetto per le persone anziane e per tutta una serie di valori, per loro basilari. Sono atteggiamenti che pochi bambini italiani hanno.

I bambini hanno bisogno di un mondo di valori di base, che gli adulti dovrebbero trasmettere con fermezza. Penso che alla fine, anche vedendo come funziona la scuola, il futuro appartenga ai figli di persone come i miei amici stranieri.

Non hanno paura di affrontare situazioni difficili, hanno voglia di conoscere, hanno una mentalità sana, non sono sazi come molti bambini italiani, superprotetti e supertutelati, ma che non hanno nessuna preparazione alla vita e si arrendono alle prime difficoltà, non hanno entusiasmo.

È una cosa molto triste. Io spero che questi popoli che arrivano portino una linfa nuova, per una società più sana, più umana… Anche solo in Italia, secondo me, ci sono situazioni differenti a seconda delle zone: ad esempio, qui in Umbria, venendo dal Nord-est, ti accorgi che c’è un altro livello di civiltà, più umana; c’è più accoglienza alle persone. È passato un gruppo di poveri di casa in casa, e tutte le persone hanno aperto la porta, per dare un pezzo di pane o qualcosa. Al Nord è molto più difficile che accada. C’è l’antifurto, l’allarme, la cancellata. C’è una barriera assoluta, non ti avvicini mai. È tutta una questione di sicurezza.

Una persona ricca, che ha tutto chiuso in cassaforte, mi fa pena, perché vive nel terrore dell’altro. E la paura porta alla chiusura in se stessi e all’allontanamento dagli altri. Manca completamente l’idea che l’altro sia una ricchezza, qualcuno da conoscere, con cui può esserci uno scambio, non qualcuno davanti al quale bisogna chiudere le cancellate. Certo non dover mai confrontarsi con l’altro è più riposante, ma alla fine anche sbagliato, oltre che noioso. Hai un bene, ma per paura che te lo prendano metti una cancellata, ti chiudi sempre di più. Era meglio non avere quel bene, dico io…

Articolo pubblicato su “Nuovo progetto”, il mensile del Sermig di Torino

Susanna Tamaro

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