Non ci sono statistiche e le stime sono per difetto. Ma sono diverse centinaia di migliaia, almeno un milione e mezzo, i ragazzi coinvolti a vario titolo nelle proposte educative “estive” delle parrocchie, cui aggiungere quelle delle associazioni e dei movimenti, delle tante realtà che caratterizzano la capillare presenza ecclesiale in Italia...
del 16 luglio 2011
Non ci sono statistiche e le stime sono per difetto. Ma sono diverse centinaia di migliaia, almeno un milione e mezzo, i ragazzi coinvolti a vario titolo nelle proposte educative “estive” delle parrocchie, cui aggiungere quelle delle associazioni e dei movimenti, delle tante realtà che caratterizzano la capillare presenza ecclesiale in Italia.
E i ragazzi non sono soli. Questo capillare movimento coinvolge centinaia di migliaia di adulti e giovani adulti, proprio perché l’originalità delle proposte estive è proprio lo spessore educativo. Non si tratta di aiutare le famiglie a risolvere il problema del tempo lasciato libero dalla scuola creando parcheggi il meglio organizzati possibile. La scommessa che, anno per anno, si ripete è fare in modo che il tempo della vacanza, molto spesso della vacanza obbligata in città, diventi occasione per crescere, nel divertimento, nell’ attività fisica e sportiva, nell’amicizia e nello spirito.
Gli oratori estivi, i campi, le mille e mille iniziative diventano così un po’ il paradigma di una società vivace, spesso molto più impegnata e attenta e capace di auto-organizzazione di quanto non la rappresentino le immagini più corrive.
EÃÄ un tessuto, fatto di rapporti consolidati di fiducia, di progetti, di gratuitaÃÄ, di volontariato, capace di percorrere e tenere vivo tutto il Paese.
Ma questo tessuto va sostenuto. E non è tanto questione di risorse, che pure sono necessarie. È giusto che le amministrazioni pubbliche sostengano queste iniziative di così evidente respiro sociale, come si fa per tante proposte culturali estive. Ma probabilmente non è questo il punto-chiave. È necessario soprattutto prendere coscienza. Non è un fatto “naturale” questo grande investimento. È un riflesso “gratuito” che nasce da una storia. Ma la storia continua se ci sono energie, risorse, soprattutto etiche, spirituali e morali. Qui si misura il “capitale sociale” di un Paese. Proprio in questi tempi di grande incertezza servono due impegni. Da una parte, bisogna essere consapevoli delle ricchezze di capitale sociale di cui disponiamo: non si può dare nulla per scontato, ma valutarlo per quel che merita e, dunque, fare di tutto per non consumare queste risorse, sovrapponendo alla vita vera delle persone e delle famiglie stili e linguaggi discorsivi e corrosivi propri di minoranze chiassose. Il “capitale sociale” infatti si può consumare, dilapidare. Non è un dato permanente. Ecco, allora, l’altro e conseguente impegno a continuare e, se possibile, sviluppare l’investimento. L’educazione risalta così come un asse essenziale, di cui dobbiamo avere sempre maggiore e migliore cura. Educare è necessario ma non si può educare se non ci si assume una responsabilità̀ chiara e precisa, che è quella di chiamare le cose con il loro nome e prima di tutto il bene e il male. L’impegno è molto arduo, perché è controcorrente rispetto a indirizzi culturali effimeri e roboanti, ma lo reclamano i fatti, oltre che una tradizione che continua e risponde ai bisogni veri della gente.
 
Francesco Bonini
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