Non è con la repressione che si aiuta un giovane a crescere, ma scommettendo sulle sue capacità. La scelta dei giovani non deve spaventarci: ci sono segni di speranza, che stentano ad emergere, che richiedono tempi forse lunghi per le nostre attese, che amerebbero risposte rapide: le famiglie sembrano maggiormente preoccupate dei loro figli, del mondo che li circonda e chiedono con frequenza aiuto e consiglio.
del 01 gennaio 2002
Prima di noi l’hanno fatto altri preti, altre famiglie, in situazioni difficili, di grande povertà. Se uno fruga nei vari archivi parrocchiali, ove si è tenuta con fedeltà una Cronaca della vita della Comunità, si rende conto di come nel dopoguerra hanno lavorato i nostri Oratori e Parrocchie attraverso l’impegno di tanti sacerdoti e laici, che non hanno esitato a scommettere sui giovani, investendo tempo, energie e soldi, affidandosi alla bontà dei parrocchiani e dei “benefattori”, come erano chiamati in quegli anni, ma soprattutto alla Provvidenza di Dio, che non si è mai tirata indietro quando si trattava dei giovani e del loro futuro.
La scelta dei giovani non deve spaventarci: ci sono segni di speranza, che stentano ad emergere, che richiedono tempi forse lunghi per le nostre attese, che amerebbero risposte rapide: le famiglie sembrano maggiormente preoccupate dei loro figli, del mondo che li circonda e chiedono con frequenza aiuto e consiglio.
Si rivolgono a psicologi ed educatori, leggono libri e non cambiano canale se c’è un dibattito che riguarda i giovani, i loro problemi. Le coppie giovani, che hanno dei bimbi alla scuola materna, alla sera escono di casa, se vengono convocati sui temi dell’educazione che, a ben guardare, incomincia già nel grembo materno, ancora prima che i bimbi vengano al mondo.
La stessa Chiesa, attraverso la voce del Papa e dei Vescovi, di tanti preti e laici, parla di emergenza educativa. Il tema è ripreso dalle autorità civili che, soprattutto quando succede qualcosa di drammatico – aumento dell’uso della droga, imperversare di episodi di bullismo, incidenti stradali non facili da spiegare e da accettare per l’assurdità con cui avvengono -, che richiama severamente la responsabilità delle Istituzioni.
Scommettere sui giovani vuol dire credere nelle loro capacità, significa dare spazio alla voglia che hanno di sentirsi utili, valore. Non si scommette sui giovani “dando cose” ma “togliendole” per lasciarli più liberi nel sognare il loro futuro.
Neppure si scommette su di loro aumentando le regole, usando metodi repressivi, autoritari, nutrendo sfiducia su quanto fanno.
Nella Bibbia, più volte leggiamo che Dio scommette sui giovani, dando loro compiti, che a noi sembrano superiori alle loro forze. Davide era un giovane quando sfidava Golia; come lui, erano giovani Giuseppe, il profeta Samuele ed altri personaggi, che hanno costituito “il filo rosso” della Bibbia. Maria di Nazaret era ragazza giovane quando Gabriele le ha annunciato la sua vocazione: diventare la madre di Gesù il Cristo.
Non credo che i nostri giovani siano tutti omologati o bruciati dal consumismo o da altre mode legate alla fuga da Dio che i vari profeti del laicismo favoriscono. Forse attendono che qualcuno li chiami: un padre o una madre, un prete, un educatore, un gruppo o un movimento, che diventi “voce di Dio”, strumento del Padre, che su ogni ragazzo o ragazza ha un sogno da ridestare! Dobbiamo comunicare che Dio ha bisogno di loro, conta sulla loro intelligenza, il loro cuore.
Non c’è alternativa di futuro se non li coinvolgiamo.
Papa Benedetto ha raccolto la fiducia di Giovanni Paolo II, che ai giovani chiedeva di costruire la casa Europa, la testimonianza di volontariato al servizio della carità, del Vangelo. I “papaboys”, per usare il termine dei mass-media, ci sono, si fanno sentire. Il volontariato appare più qualificato e significativo, più stabile, anche se diminuito nel numero.
E’ cresciuta la voglia di relazioni, di amicizia, ma appare ancora troppo alta la percentuale di chi vive confusamente la propria stagione giovanile, con scarso senso critico e rifiuto di vere responsabilità.
Bisogna insistere, non arrendersi, rendendo “efficace ed amata l’arte delle arti , che è quella di formare uomini veri” attraverso l’educazione (Paolo VI), nella convinzione che prima o poi i giovani rifiuteranno uno stile di vita che non li accontenta, che li rende fragili di fronte alle frustrazioni, facendoli sentire soli, insoddisfatti di quanto il mondo propone, pieni di paure di fronte ad un futuro troppo improvvisato che non dà loro quella sicurezza che solo Cristo può dare.
don Vittorio Chiari
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