I minori che commettono reati sono stranieri che non trovano altra accoglienza se non il reclutamento nell'esercito del crimine di strada, ragazzi poveri italiani che si ritrovano delinquenti in maniera del tutto naturale o borghesi, che soffrono il cosiddetto 'malessere del benessere'.
del 29 settembre 2007
 
 
Il dibattito sui giovani coinvolti in episodi di violenza è sempre vivo, alimentato quotidianamente da fatti di cronaca, a volte eclatanti, che impongono momenti di riflessioni ponderate su un fenomeno tante volte liquidato, purtroppo, frettolosamente e sommariamente, proponendosi, magari, ricette e rimedi improvvisati oltre che inadeguati.
La risposta alla cosiddetta criminalità minorile, infatti, non può consistere, come troppo spesso avviene (anche da autorevoli ambiti istituzionali), nell’arroccamento sulla linea della pura repressione, dell’inasprimento delle sanzioni, dell’abbassamento della soglia dell’età imputabile, facendo leva unicamente sullo strumento penale.
Chi scrive fa per mestiere il magistrato minorile, e nell’ambito di tale funzione viene ogni giorno a contatto con tanta umanità 'dolente', con tanti giovani 'perduti' lungo le spoglie vie della società odierna, incapaci di ritrovare la giusta direzione. Si tratta di ragazzi coinvolti in episodi non necessariamente di rilevanza penale, ma comunque denotanti situazioni di disagio esistenziale (prostituzione, tossicodipendenza, fughe da casa, comportamenti autodistruttivi, ecc.), che esigono la medesima attenzione e necessità di intervento, in termini di responsabilizzazione e recupero educativo.
L’aspetto che più comunemente colpisce è la difficoltà a concentrarsi sul proprio presente, l’incapacità di progettare il proprio futuro, ma, soprattutto, l’assenza di validi riferimenti nel mondo adulto, capaci di porsi come positiva guida, dosando, equamente e opportunamente, senso protettivo e senso critico. In poche parole: adulti che aiutino a crescere.
Ragioni di sintesi consigliano di limitare l’ambito della presente trattazione ai giovani autori di reato. La prospettiva sarà, chiaramente, condizionata dall’esperienza professionale maturata presso il Tribunale per i minorenni di Milano.
Parlare di minorenni che commettono reati non è semplice, in quanto si rischia di essere fortemente condizionati dalla prospettiva da cui si affronta il problema, e soprattutto dal livello di conoscenze, o meglio di informazioni disponibili sulla realtà del fenomeno giovanile.
In effetti, bisognerebbe prima cominciare a parlare dei minorenni, senza altra qualificazione, per poi passare a quelli che 'agiscono' condotte delittuose. E una volta giunti in questo ambito, studiare, analizzare e raccontare, una per una, le vicende dei giovani che delinquono; e questo perché ogni ragazzo ha una sua storia personale, all’interno della quale si collocano gli episodi trasgressivi, che non sempre possono essere compresi prescindendo dal contesto personale e ambientale nel quale maturano e vengono a esistenza.
Capita, invece, che, sotto la spinta emotiva di fatti eclatanti, che turbano particolarmente l’opinione pubblica, aumentando le preoccupazioni e le richieste di sicurezza sociale, si tenda a liquidare l’intero fenomeno etichettandolo come 'criminalità minorile', o 'devianza minorile', concetti che rappresentano, senza dubbio, un comodo e indifferenziato contenitore entro cui rinchiudere ogni forma di violazione commessa da giovani e adolescenti, senza però compiere, il più delle volte, il minimo tentativo per provare a diversificarne il contenuto, allo scopo di fornire risposte adeguate circa le cause e i motivi che possono spingere tanti ragazzi a infrangere le regole di condotta; senza, soprattutto, offrire una possibile soluzione che serva a recuperare (o forse 'raddrizzare') un percorso di vita incrinato, in modo da favorire l’ingresso dei giovani nel mondo adulto attraverso la porta principale.
Come è stato acutamente osservato, infatti, «il problema del ragazzo deviante è, sì, un problema psicologico e sociale, ma è principalmente un problema pedagogico. (...) Si tratta di innescare un processo riabilitativo cha passi attraverso fasi diverse: comprendere la visione del mondo del ragazzo, mettere in crisi la sua visione del mondo e ristrutturarne una nuova, aiutare il soggetto a costruire un vero e proprio 'ottimismo esistenziale' attraverso la proposta di molteplici interventi e attività che possano dilatare il suo campo di esperienza, educarlo all’intersoggettività».
Il punto di partenza, per capire chi e quanti sono i 'giovani criminali', è rappresentato dall’analisi dei dati statistici disponibili. Il primo aspetto che viene in evidenza riguarda il tasso di criminalità minorile in Italia, che non raggiunge livelli allarmanti, almeno se lo si guarda in relazione agli altri Paesi europei, e all’andamento temporale degli ultimi anni, rispetto al quale non è in aumento, e sotto certi aspetti addirittura in calo.
Secondo uno studio diffuso dall’Interpol, e relativo ai dati delle forze di polizia dei Paesi dell’Unione europea per l’anno 2001, l’Italia ha un’incidenza di criminalità minorile del 2,48% rispetto al totale delle denunce (vale a dire che per ogni 100 denunce, 2,48 riguardano un minorenne di età compresa tra i 14 e i 17 anni), la qual cosa ci colloca al penultimo posto in Europa, seguiti solo dal Portogallo che ha fatto registrare un indice del 2,10%, (anche se nel caso del Portogallo, i minori considerati sono soltanto quelli della fascia di età 0-16 anni, per cui a parità di classi di età, detto indice del 2,10% subirebbe un sicuro incremento).
Gli altri Paesi europei hanno invece fatto registrare indici molto più elevati: 21% circa la Francia (fascia di età 13-18 anni), addirittura 24% la Gran Bretagna (fascia d’età 10-17 anni), 13% circa la Germania (fascia di età 14-17 anni).
La lettura di questi dati, seppur non omogenei, evidenzia, comunque, che la criminalità minorile in Italia è un fenomeno di gran lunga inferiore al resto d’Europa.
 I dati italiani
Passando all’esame dei dati relativi al nostro Paese, balza subito all’occhio la leggera diminuzione del numero dei minori denunciati negli ultimi 15 anni. Nel 1991 erano 44.977 quelli denunciati per aver commesso delitti (di questi 37.049 italiani). Nel 1998 il numero dei minori denunciati cala a 42.107 unità (31.181 italiani).
Vediamo adesso gli ultimi cinque anni disponibili. Nel 2000 sono stati 38.963 i minori denunciati per delitto, di cui 9.124 erano stranieri. Nel 2001 il numero dei minori denunciati è stato 39.735, dei quali 8.720 stranieri. Nel 2002 il totale degli indagati minorenni aumenta a 40.588 unità, di cui 10.009 il numero dei ragazzi non italiani. Nel 2003 i minori denunciati sono stati 41.212, mentre la quota di stranieri corrispondeva a 11.465 unità. Nel 2004, infine, il totale dei minorenni denunciati è di 41.529, di cui 12.053 sono stranieri (e quindi, si attesta ancora al di sotto delle 30.000 unità la quota di ragazzi italiani denunciati).
All’interno di questi numeri, si mantiene abbastanza stabile anche la percentuale di minori infraquattordicenni denunciati: 6.417 nel 2000 (di cui 2.561 quelli stranieri); 6.755 nel 2001 (2.699 gli stranieri); 6.664 nel 2002 (2.199 gli stranieri); 7.102 nel 2003 (2.641 gli stranieri); 6.653 nel 2004 (2.645 gli stranieri).
Come si può notare, il numero dei denunciati totali si è assestato intorno alle 40.000 unità all’anno, mentre è in calo il numero dei minori italiani autori di reato (29.476 nel 2004), con un progressivo aumento di quelli stranieri, che nella fascia degli ultraquattordicenni rappresenta, ormai, circa il 25-28% dei denunciati, mentre tale rapporto si attesta attorno al 40% circa nella categoria dei minori infraquattordicenni.
Va aggiunta un’importante precisazione: i dati statistici forniti attengono alle denunce a carico dei minorenni, ma sappiamo bene che non tutti i reati vengono denunciati, come non tutte le persone denunciate sono effettivamente responsabili dei reati di cui sono accusate.
È bene allora dare uno sguardo anche al momento terminativo dei procedimenti penali instaurati a carico dei minorenni. Così, prendendo come riferimento sempre l’anno 2004 (ma negli anni precedenti non vi sono sostanziali differenze numeriche), si può notare che vi sono state ben 15.758 archiviazioni, all’esito della fase delle indagini preliminari, motivate dall’infondatezza della notizia del reato ovvero da mancanza di condizioni di procedibilità (per esempio, mancanza di querela da parte della persona offesa). In 17.740 casi vi è stata la richiesta di celebrare il processo (giudizio ordinario o giudizio immediato); mentre in 3.151 casi, pur in presenza di un reato, è stata emessa pronuncia di 'irrilevanza penale del fatto' (trattandosi, evidentemente, di condotte che, pur rientrando formalmente in una figura di reato, di fatto non apparivano offensive). È evidente, pertanto, come il dato iniziale delle denunce venga notevolmente ridimensionato.
I dati riportati rappresentano la sintesi nazionale del fenomeno minorile; per tentare di delineare una mappa della geografia criminale minorile, sarebbe opportuno passare dal livello nazionale a quello territoriale, analizzando le peculiarità proprie di quest’ultimo. In generale, da questo punto di vista, si può, schematicamente, suddividere la criminalità minorile in tre grosse aree, distinte secondo l’estrazione socio-ambientale degli autori, nonché la tipologia di reati commessi: 
minori stranieri, autori della gran parte dei reati commessi nel Centro-nord (dove si concentrano in special modo intorno ai grossi agglomerati urbani). Si tratta soprattutto di ragazzi provenienti dall’Est europeo (Romania in testa), e dal Nord Africa (specialmente Marocco), che arrivano in Italia, il più delle volte non accompagnati da genitori o parenti, alla ricerca di condizioni di benessere economico, e che non trovano altra accoglienza se non il reclutamento nell’esercito del crimine di strada: basti pensare, per esempio, che nel distretto di Milano gli stranieri rappresentano ormai quasi il 50% del totale dei minori sottoposti a procedimento penale. La tipologia di reati ascrivibile a quest’area criminale consiste grosso modo in reati contro il patrimonio (furti e rapine) e in materia di stupefacenti.
Minori italiani che vivono in condizioni di disagio socio-economico, concentrati principalmente nel territorio meridionale e isolano. Il disagio socio-economico favorisce di per sé, in assenza di forti interventi di sostegno, scelte di vita devianti, per cui molti di questi ragazzi si ritrovano (specialmente in regioni ad alto tasso di criminalità organizzata) a operare in circuiti delinquenziali in maniera del tutto 'naturale', come evoluzione fisiologica della loro crescita sociale, non avendo trovato e sperimentato valide alternative. I reati tipicamente commessi riguardano il patrimonio e la persona (per lo più, rapine, estorsioni, ricettazione).
Vi è infine l’area del cosiddetto'malessere del benessere': minori italiani, cresciuti in situazioni di benessere socio-economico, e che comunque cadono in scelte delinquenziali perché non riescono a riempire i 'vuoti' della propria vita con azioni diverse o che offrano un appagamento maggiore o uguale a quello derivante dalla trasgressione alle regole. 
È l’area meno studiata e più inquietante, la più imprevedibile, connotata, il più delle volte, da ragazzi che vivono un disagio derivante da una sorta di abbandono 'morale' da parte della famiglia d’origine, incapace di rappresentare un valido riferimento etico-educativo. I reati riscontrabili in tale area sono, per lo più, quelli tipicamente, e spesso impropriamente, definiti di 'bullismo' (comportamenti abituali che si risolvono in atti di prevaricazione verso soggetti più deboli, specialmente in ambito scolastico), o di 'baby gang' (ragazzi, solitamente di estrazione sociale medio borghese, che si aggregano, anche occasionalmente, per commettere rapine o piccole estorsioni a danni di altri giovani). Non mancano, in questo ambito, reati a sfondo sessuale, nonché in materia di stupefacenti.
Discorso a parte va fatto per i reati gravi contro la persona: nel 2004 si sono avute 37 denunce per omicidio a livello nazionale (il triste primato, 5, è andato al distretto di Milano, seguito da Torino, Bologna e Napoli con 3). I minori denunciati per lesioni personali sono stati complessivamente 3.518, con una punta di 391 a Torino, seguita da Milano con 297, e Roma con 257. Sono stati 738 invece i minori denunciati per violenza sessuale: i dati indicano Milano al primo posto con 95 indagati, seguita da Torino con 91 e Roma con 75. 
Complessivamente, sono state 14.349 le denunce per delitti contro la persona (contro le 14.036 del 2003), di cui 1.566 nel distretto di Torino, 1.310 in quello di Milano, 1.039 in quello di Roma. Il dato, sotto certi aspetti preoccupante, riguarda proprio l’elevato numero dei delitti contro la persona: paradigmatico, da questo punto di vista, l’aumento delle rapine (2.111 nel 2004, contro le 1.890 dell’anno precedente), la cui finalità prevalente è l’aggressione alla persona piuttosto che l’offesa al patrimonio; nonché dei fatti di lesioni personali volontarie (4.809 nel 2004, con leggero aumento rispetto all’anno precedente, in cui erano state 4.468), sintomo di indifferenza e disprezzo per il proprio simile, come pure dei delitti di violenza sessuale, che registrano una diffusione costante (899 nel 2004, contro le 714 del 2003).
Si potrebbe continuare a commentare tutti i dati statistici, ma, va ribadito che, finché ci si limita a guardare i numeri e le statistiche, sembra facile e scontato trarne delle conclusioni, col rischio, però, di dare un’immagine non sempre aderente, e, in qualche caso, addirittura fuorviante, rispetto alla realtà.
L’analisi statistica dei dati relativi ai reati commessi da soggetti minorenni offre, infatti, interessanti spunti di riflessione in ordine alla portata complessiva del fenomeno, e alle tendenze dei comportamenti devianti dei giovani. Ma non offre, purtroppo risposte risolutive, anzi, pone ulteriori domande, compendiabili, sostanzialmente, nella seguente: cosa fare per prevenire?
 Quale prevenzione
Fra le tante risposte possibili (in questo caso può, davvero, trovare applicazione concreta il principio tot capita tot sententiae), andrebbe privilegiata quella che appare più semplice, e al contempo provocatoria: educare i giovani, inculcargli il rispetto delle regole, il senso di legalità. Il problema viene soltanto spostato: come educare i giovani, chi deve farlo, con quali strumenti?
L’educazione di un minore comincia, infatti, sin dalla nascita (e, secondo alcuni, anche prima), ed è rimessa, in prima battuta, ai genitori, alla famiglia. Accanto alla famiglia, un ruolo determinante lo ricopre la scuola, a tutti i livelli, a iniziare dalle scuole dell’infanzia (per non parlare dei 'nidi', quasi ovunque ancora di fatto inesistenti). Ma l’educazione di un minore non si 'completa' soltanto in questi ambiti (l’educazione, infatti, è qualcosa di più e di diverso dalla semplice 'istruzione', la sola che, tante volte, purtroppo, la scuola si limita a impartire), risentendo massicciamente delle condizioni socio-ambientali in cui si vive.
E l’esempio (o gli esempi) che la società d’oggi offre ai minori ha davvero poco di educativo: i messaggi che quotidianamente vengono, da più parti, inviati (magari acriticamente amplificati e rimbalzati dai media) attengono principalmente alla ricerca esasperata del successo e dell’affermazione personale, a qualsiasi costo, in un’ottica scevra, ormai, da valori etici di riferimento. In questo contesto, come è stato efficacemente osservato, «regole e norme sono percepite come intralcio alla propria affermazione e ai propri interessi, in un quadro culturale di riferimento per di più dominato dal culto della forza».
Il rispetto delle regole diviene pertanto un optional, apparendo tante volte più semplice piegarle ai propri scopi, attraverso l’elusione o la trasgressione diretta, spesso addirittura giustificata in nome di un preteso 'diritto di disapplicazione' delle norme soggettivamente non condivise, e pertanto unilateralmente qualificate 'ingiuste'.
Il corollario ulteriore che deriva da tale impostazione è la possibilità di risolvere autonomamente le controversie e i conflitti che possono insorgere nella società, attraverso l’uso della forza (che può essere la forza di posizione, la forza contrattuale, o semplicemente la forza fisica, cioè la violenza), accompagnata dalla successiva minimizzazione e autoassoluzione. Tutto questo non sfugge di certo ai giovani e ai bambini, che ci osservano silenziosamente, assorbendo lentamente, quasi per osmosi, i modi di fare e di agire dei 'grandi'.
Se un minore cresce in un ambiente (o, peggio, in una fetta di società) dove si respira un senso di illegalità diffusa, anche se coperto da maschere di facciata, dove il rispetto per la dignità e la libertà della persona, di qualunque persona, non esiste, o comunque viene solo 'predicato' ma non attuato, non farà altro che 'conformarsi' a questa filosofia di vita, sentendosi in pieno diritto di applicarla e viverla.
Poi, magari, arriva anche qualche agìto violento, la commissione di un reato, lieve o grave che sia, poco importa, e qual è in questi casi la reazione degli adulti? Semplice, tutti lì a chiedersi come mai ciò sia accaduto, magari giurando e spergiurando che non era assolutamente prevedibile, che c’è sicuramente una spiegazione (cioè il vero colpevole: qualcun altro...!), e con la tentazione (e il rischio) di giustificare ancora una volta (ma sì, in fondo son ragazzi...!), dimenticando che non c’è nulla di peggio (e di più diseducativo) che non aiutare un ragazzo (o un adolescente, o un bambino, è uguale) che ha infranto una regola di condotta a riflettere criticamente sulla propria azione, cogliendone la portata trasgressiva e la conseguente sanzionabilità.
 Il rispetto delle regole
Per educare efficacemente bisogna, allora, invertire tutto questo, offrendo, in generale, esempi diversi, a tutti i livelli. Nello specifico, lavorare di pi√π sui ragazzi, formandoli al rispetto delle regole del vivere civile.
Tale ultima attività richiede una messa in campo di risorse da parte di tutte le agenzie socio-educative operanti sul territorio, a cominciare dalla scuola, che dovrebbe, in qualche caso, puntare di più sulle offerte educative in senso stretto, distinte da quelle di mera istruzione: oggi, più che mai, è attraverso la scuola che tanti giovani varcano la porta principale che conduce alla vita sociale, ed è lì che si può giocare la partita (in qualche caso l’ultima partita) più importante.
Detto questo, si può anche discutere, poi, di sistema penale minorile, tenendo ben presente, però, che quest’ultimo ha una funzione meramente strumentale, ancillare, rispetto al necessario e preliminare approccio culturale di cui sopra. Fortunatamente, il processo penale minorile oggi vigente in Italia rappresenta, pur con le sue inevitabili imperfezioni e ambiguità, uno strumento eccezionale e lungimirante in tale direzione, imperniato, com’è, sull’idea di recupero e responsabilizzazione dell’autore di reato, a tutti i livelli, finanche quello, estremo, di inflizione della sanzione (anche una sentenza di condanna può, a volte, rappresentare un momento di recupero, attraverso l’inizio di un percorso di rimeditazione critica delle proprie azioni).
Ma non è certo con lo strumento penale che si potrà 'fermare' la cosiddetta criminalità minorile, non è attraverso la repressione e l’'isolamento fisico' della devianza che si potrà garantire la sicurezza sociale.
Anche perché stiamo discutendo di minorenni, di giovani vite in formazione, in crescita, degli uomini di domani. La vera sfida sta non nel punire questi ragazzi (ché in tal modo il problema sarebbe soltanto spostato in avanti), ma nel recuperarli al vivere civile, nel 'raddrizzare' il loro percorso educativo incrinato, nel 'rieducarli' (o educarli per la prima volta).
Il microesercito della devianza minorile può essere efficacemente combattuto e sconfitto soltanto sottraendogli risorse, ovvero recuperando il più alto numero possibile dei suoi 'militanti', così impedendo che possano, tanti di loro, andare alla deriva verso le file della devianza adulta.
Ancora una volta, più che mai, la prevenzione rappresenta l’unica strada praticabile.
Se non sono giglison pur sempre figlivittime di questo mondo (F. De André, La città vecchia).
Ciro Cascone
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