Giovedì 8 agosto 1957

Una donna molto gentile. Si è commossa per ciò che le ho fatto conoscere. Le ho parlato di te, bambina mia cara, e il suo cuore materno ha sofferto per le pene che ti colpiranno nella tua innocenza.

Giovedì 8 agosto 1957

da L'autore

del 05 novembre 2009

L'amore di Ges√π e la Croce

 

Giovedì 8 agosto.

 

Tutte le mattine, quando mi alzo, mi ritrovo solo e con lo spirito vuoto. M'invadono gli stessi pensieri acidetti di prima, ed è solo dopo aver pregato che mi sento forte e circondato di sollecitudine. Gesù è lì, vicino a me, quasi toccabile. Basta che lo chiami, e subito m'invade la sua dolcezza e vengo colmato di gioia. Come un bimbo!

 

Evidentemente i momenti di notte [aridità] che attraverso mi sono tanto più penosi in quanto posso paragonarli con quelli di consolazione. Manco di fiducia nel suo Amore. C'è dell'egoismo in ciò che sto facendo: cerco l'aiuto che mi porti. Faccio, sì, astrazione dalla mia volontà per sottomettermi alla Sua, ma aspetto soprattutto che faccia Lui tutto il lavoro.

 

Sono tanto più inquieto in quanto sento la mia miseria come mai, e in quanto i doni che ricevo non hanno proporzione con i miei pigolii di appello al soccorso. Potenza della preghiera! Devo fare uno sforzo di volontà più grande per credere, soprattutto durante la notte [spirituale], perché allora la mia preghiera avrà tutto il suo valore; e tuttavia, sul piano della sensibilità, sembra vero il contrario. Questa ricerca di Dio è estenuante.

 

Ho meditato sulla croce e mi è apparsa tutta la realtà dell'orazione: avendo conosciuto dall'annuncio dell'angelo l'incarnazione di Gesù Cristo tuo Figlio, fa', Signore, che per la sua passione e la sua croce giungiamo alla gloria della sua risurrezione. Parole tremende, ma chi ne afferra pienamente il senso?

 

La croce! Dovremmo essere ebbri di riconoscenza di fronte alla testimonianza di un cosi grande amore; ma anche impietriti di orrore perché essa è pure la proiezione delle nostre proprie sofferenze.

 

Quel viso contratto dal dolore è il mìo, è quello di tutti gli eletti. Abbiamo un bel dibatterci nel labirinto della vita, cercare espedienti: indubbiamente saremo trascinati ai piedi di quel legno e dovremo tendere le mani e i piedi perché vi siano conficcati i chiodi.

Quando si è giovani, pensiamo che la nostra sete di assoluto potrà essere soddisfatta dalla vita che ci si apre illimitata e piena di promesse; più tardi, da ciò che posso costatare, quando ci diviene possibile gettare attorno uno sguardo su quella che fu la nostra esistenza, l'inquietudine, i rammarichi, il disgusto di tutto c'invadono e ciò che abbiamo rifiutato negli anni addietro, si offre ai nostri occhi con una realtà tremenda. Ma chi l'accetta?

 

Se potessimo comprendere appena appena un po’ chino quanto Gesù ci ama! Ma questo non ci appare chiaramente. Quelli che vivono nel mondo sono turbati dalla manifestazione concreta dell'intelligenza creatrice di Dio, ma non possono concepire allo stesso modo l'amore infinito del Signore per le sue creature. Il ragionamento ci mostra piuttosto un Dio forte e vendicatore, che ama castigare per una specie di sadismo orgoglioso, e a lui il nostro proprio orgoglio risponde con bestemmie.

 

Beati siete voi, poveri in spirito, perché il regno dei cieli è vostro [cf Lc 6,20; Mt 5,3]. Come ogni argomento è sterile. Colui che trasalisce di allegrezza non ha bisogno di cercare come rispondere, gli basta sentire vicino a sé la dolcezza del suo Signore.

Ho ricevuto or ora la visita dell'assistente sociale. Una donna molto gentile. Si è commossa per ciò che le ho fatto conoscere. Le ho parlato di te, bambina mia cara, e il suo cuore materno ha sofferto per le pene che ti colpiranno nella tua innocenza.

 

Penso ancora a quell'incontro in parlatorio [con Pierrette] e sono in apprensione per i seguenti. ogni volta diciamo in noi stessi. uno di meno! Non voglio che Pierrette sappia quando sarà l'ultimo. l'estremo sguardo dietro quelle inferriate insensibili sarebbe superiore alle sue forze e alle mie. È meglio che ella ignori. Ma tutto questo è tanto duro.

 

Jacques Fesch

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