L'adolescente, in questa fase di passaggio, conosce la crisi di identità, perché ragazzo non è più e giovane non è ancora, e prova insicurezza circa il ruolo futuro. Egli diventa problematico...
del 24 novembre 2008Tweet!function(d,s,id){var js,fjs=d.getElementsByTagName(s)[0],p=/^http:/.test(d.location)?'http':'https';if(!d.getElementById(id)){js=d.createElement(s);js.id=id;js.src=p+'://platform.twitter.com/widgets.js';fjs.parentNode.insertBefore(js,fjs);}}(document, 'script', 'twitter-wjs');(function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk'));
Da un po’ di tempo tornano alla ribalta sempre più frequentemente fatti di cronaca riguardanti comportamenti adolescenziali devianti: violenze, consumo di droga, rapine, omicidi, suicidi.
I magistrati, chiamati a giudicare questi comportamenti antisociali,parlano di adolescenti con i «freni inibitori» saltati, sprovvisti di valori, «eticamente anestetizzati», con assenza di emozioni e di sentimenti di pietà. Gli psicologi affermano che in essi si è ingenerato un «ottundimento del senso fondamentale dell’esistenza».
Tali adolescenti uniti in gruppo danno origine al branco antisociale, al fenomeno in espansione del bullismo, delle baby gang che coinvolgono minori di classi disagiate, ma particolarmente minori del ceto medio-alto, quelli che hanno tutto: computer, stereo, motorini, ricchi di beni materiali, ma vuoti di significati di vita ed annoiati.
Gli esperti, che studiano il fenomeno della devianza minorile, in genere sono convinti che il problema non va affrontato seguendo la linea della repressione, anche se chi sbaglia necessita di correzione, bensì chiamando in causa la scuola e la famiglia, la Chiesa e la società civile, realtà capaci di contrastare il fenomeno. È chiaro che, stretti dall’emergenza, occorre intervenire per correggere, per tamponare, per curare i soggetti malati, ma soprattutto urge prevenire ed educare il mondo adolescenziale.
Orbene noi, con la convinzione che prevenire, educare è meglio che curare, intendiamo indicare la strada della educazione-prevenzione per tutto il mondo degli adolescenti che vivono l’età critica della transizione dalla dipendenza infantile alla autonomia giovanile, così da promuoverli alla vita, evitando eventuali derive di degrado.
 
La via educativo-preventiva
 
L’adolescente, in questa fase di passaggio, conosce la crisi di identità, perché ragazzo non è più e giovane non è ancora, e prova insicurezza circa il ruolo futuro. Egli diventa problematico: in lui si riscontrano alternanze emotive, aggressività e timidezza, alti e bassi, loquacità e solitudine; non si sente capito dagli altri, specie dagli adulti, e rinuncia a capire se stesso. Si deve aggiungere che i problemi, tipici di questa età, vengono acuiti dal fatto che gli adolescenti si trovano a vivere in una società dove si registra la caduta dei valori guida, comunemente accettati, sguarniti, perciò, nelle loro difficoltà esistenziali, di una bussola orientativa.
Essi abbisognano di punti di riferimento, di agenzie educative, di maestri che li aiutino a maturare una sana concezione di vita. Pertanto la famiglia, la scuola, la comunità civile e religiosa, e pure i mass media possono realizzare una concertazione di una positiva proposta educativa adolescenziale. Specialmente la famiglia si sente interpellata dalle situazioni problematiche dei figli. Gli adolescenti cercano nei padri maestri di vita, mamme educatrici e avvertono la poca significatività dei genitori, magari latitanti, pallide ombre educative, generosi di oggetti, ma conteggiati nel comunicare la passione per la vita, che comporta fatica e gioia.
Serve un’alleanza forte tra scuola e genitori per affrontare adeguatamente il disagio di ragazzi e giovani. La scuola per parte sua non deve essere una mera agenzia di trasmissione del sapere, ma soggetto, che in collaborazione con le famiglie, promuove la persona nella sua integralità.
Ci si augura che la scuola, fuoriuscita dalle varie riforme, sia una scuola non all’insegna, come usasi dire, delle tre «i»: inglese, internet, impresa, ma ricca di un «neo-umanesimo», di una nuova «paideia», che sappia coniugare con equilibrio la cultura classica-umanistica e quella scientifico-tecnica.
Anche la comunità cristiana sente la sfida educativa che sale dal mondo adolescenziale.
In questi tempi l’oratorio, vero settore pedagogico della pastorale parrocchiale, va rinnovandosi nelle strutture, nelle strategie aggregative e di formazione, e la sua funzione sociale ed educativa è riconosciuta anche sul piano legislativo nazionale e regionale; esso si pone come fulcro per l’educazione degli adolescenti e tende decisamente a riqualificarsi come ambiente, dove si educa alla fede in una logica di educazione alla vita, formando bravi cittadini e buoni cristiani, come intendeva S. Giovanni Bosco.
Anche la comunità civile deve sentirsi impegnata sul fronte dell’educazione degli adolescenti, premurata di promuovere il benessere della persona nella sua globalità.
Dalla mobilitazione generale di forze per un rilancio di una valida cultura della vita non devono andare esenti i mass-media, i quali dovrebbero dare meno rilievo ai fatti di violenza e più agli «esempi positivi» e dovrebbero preoccuparsi, più che della rincorsa all’audience, del vero bene degli utenti, specie se minori.
 
Linee di marcia
 
E quali sono le linee di marcia per un’educazione adolescenziale «diffusa», promossa da vari enti, dentro la società complessa?
 
Innanzitutto occorre educare alla riflessione, al ragionamento, al senso critico. Nel clima di pluralismo culturale e relativismo morale in cui una certa «cultura» viene propinata attraverso frasi fatte, slogans, canzoni… l’adolescente va guidato a pensare con la propria testa. Ma sarà in grado di pensare con criterio e decidere con responsabilità, se avrà la «coscienza».
Occorre, dunque, formare la coscienza, come capacità di motivare le azioni in base ai valori, di discernere il bene dal male e, soprattutto, di conseguire il bene. È importante che l’attività dell’adolescente sia ordinata verso un centro esistenziale, verso la coscienza, verso «l’io intimo» da cui partire, a cui tornare, capace questo io di stabilire delle priorità e delle gerarchie di valori, capace di giudizio critico, diversamente l’identità adolescenziale risulta frammentata, destrutturata, appiattita sul presente.
Urge insegnare agli adolescenti una piccola grammatica dell’esistenza, secondo la quale i pensieri, i sentimenti, gli atteggiamenti e comportamenti devono trovare il perno nell’«io» interiore, fare capo, cioè, all’anima spirituale che a tutto dà vita: un’anima desta, tesa alla verità, ricca di amore, aperta a Dio e al prossimo.
Oltre l’educazione della coscienza è necessario promuovere nell’animo dell’adolescente i fondamentali sensi del «ben vivere»: sentimenti verso la vita accolta volentieri, passione per il bene e il bello, slanci verso un futuro di speranza. Secondo Bergson l’adolescente è carico di una spinta vitale che lo porta a realizzarsi nella società, a diventare «qualcuno»; e secondo Debesse le aspirazioni ideali sono congeniali agli adolescenti; così Nietzsche parla del culto dell’eroe proprio di essi. Ora Maritain suggerisce di valorizzare questo desiderio degli adolescenti di diventare degli eroi, degli scienziati, degli artisti, dei santi, lanciandoli ad investire la vita secondo nobili ideali.
Val la pena che gli educatori, facendo leva sul tipico idealismo adolescenziale (anche se oggi secondo gli psicologi si è un po’ affievolito), invitino gli adolescenti a guardare alle vette, mettendo in conto la fatica della salita e la gioia della conquista, a progettare il proprio futuro, con la prospettiva di giocare la vita per dei valori validi.
E gli educatori cristiani portino con coraggio gli adolescenti a coltivare la vita spirituale fino a osare la santità. Su questa strada educativa sono stati preceduti da Giovanni Paolo II che, incontrando i giovani di tutto il mondo, li sollecitava a non adattarsi a vivere giù nella valle con le «ali spezzate», ma a volare ad alta quota, sia pur con sacrificio, e a «sognare in grande» la vita alla scoperta di Dio e nella dedizione ai fratelli, con la consapevolezza che nel dono della vita sta la vera felicità.
 
Franco Dorofatti
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