I credenti sono chiamati a «confrontarsi» e a «dialogare» con la diversità dei linguaggi e delle culture. Si tratta di una sfida che rivela un'attualità sconvolgente, sollecitata dai rapidi cambiamenti sociali e dal fenomeno della comunicazione di massa.
L’invito che il Risorto rivolge ai discepoli in vista della missione «universale» del Vangelo (Mt 28,16-20) implica un’ulteriore riflessione per l’apostolato della Chiesa. I credenti sono chiamati a «confrontarsi» e a «dialogare» con la diversità dei linguaggi e delle culture. Si tratta di una sfida che rivela un’attualità sconvolgente, sollecitata dai rapidi cambiamenti sociali e dal fenomeno della comunicazione di massa. In prima persona sono coinvolte le giovani generazioni, chiamate ad accogliere la ricchezza del messaggio evangelico e a testimoniarlo negli ambienti più diversi. Questo processo implica un’apertura culturale senza precedenti e domanda un impegno di qualificazione e di rinnovamento interiore. Focalizzando alcune tappe del processo di «inculturazione» nella Bibbia, comprenderemo meglio il senso del messaggio di Gesù e l’orientamento del cammino richiesto alla Chiesa e soprattutto ai giovani.
La Bibbia «codice» delle culture
Un primo aspetto dell’evangelizzazione è rappresentato dal fenomeno della Bibbia. L’annuncio del Vangelo è stato realizzato mediante testimonianza personale ma anche attraverso il «dato letterario» e «culturale». In questa prospettiva la sacra Scrittura va collocata nell’orizzonte del processo culturale del mondo medio-orientale e della realtà europea, prima ancora della diffusione del cristianesimo oltre i confini dell’Europa. Essa è un «libro», anzi, è l’insieme di molti libri. L’immagine del libro è fissata nell’Antico Testamento e ripresa nel Nuovo Testamento, mediante l’icona del rotolo donato da Dio e mangiato dal profeta (cf Ez 3,1-3; Ap 10,8-10). Nella storia della comunità dei credenti occorre riconoscere che il processo di annuncio e di testimonianza si compie mediante la trasmissione e la necessaria inculturazione del messaggio che Dio ha voluto rivelare all’uomo.
È nota la riflessione proposta da N. Frye, sulla scia di W. Blake, che ha presentato la Bibbia come «grande codice» delle culture. Tale consapevolezza riprende le indicazioni del Concilio Vaticano II e della Costituzione Dogmatica Dei Verbum. Il Sinodo sulla «Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa» (Roma, 5-26 ottobre 2008) ha ribadito l’impegno dell’annuncio evangelico mediante il dialogo culturale. Scrive Benedetto XVI nell’Esortazione Apostolica Verbum Domini:
«Dio non si rivela all’uomo in astratto, ma assumendo linguaggi, immagini ed espressioni legati alle diverse culture. Si tratta di un rapporto fecondo, testimoniato ampiamente nella storia della Chiesa. Oggi tale rapporto entra anche in una nuova fase dovuta all’estendersi e al radicarsi dell’evangelizzazione all’interno delle diverse culture e ai più recenti sviluppi della cultura occidentale. Esso innanzitutto implica riconoscere l’importanza della cultura come tale per la vita di ogni uomo» (Benedetto XVI, Verbum Domini, Città del Vaticano 2010, n. 109).
Il processo di inculturazione del messaggio religioso è strettamente connesso con la natura del «dialogo» tra Dio e l’uomo. Accogliere la missione di «andare, fare discepoli tutti i popoli e di insegnare loro a osservare quanto il Signore ha comandato» (Mt 28,19-20) significa accettare la sfida della conoscenza e del confronto culturale.
Il Vangelo e la via culturale del linguaggio
La mediazione del messaggio biblico che concerne il processo d’inculturazione del Vangelo può essere individuata nei profili di alcune «città-simbolo» menzionate nella Bibbia. In tal modo proponiamo di approfondire la relazione tra linguaggi culturali e Vangelo tematizzando alcuni contenuti derivanti dall’analisi di tre città-simbolo della Bibbia: Babele: la confusione delle lingue; Gerusalemme: la comprensione delle lingue; Atene: il confronto delle lingue.
Babele: la confusione delle lingue
Nella narrazione delle origini dell’umanità, l’episodio della «torre di Babele» (cf Gen 11,1-9) riveste una funzione simbolica di notevole rilievo. L’intenzione del narratore mira a presentare la «diversità delle lingue», partendo dall’unità dei popoli dopo il diluvio universale (cf Gen 9,18-28). In Gen 10-11 si trova una seconda «tavola di popoli», che formano le nazioni (Gen 10,32). La diversità delle lingue che ha origine dalla «confusione» di Babele esprime la differenza tra le civiltà antiche. Pur essendo la terra popolata da numerose famiglie, tutti avevano originariamente una sola lingua. L’esperienza di Babele evidenzia l’orgoglio e la pretesa degli uomini di dominare il mondo e di ergersi contro Dio stesso (cf Gen 11,6-7). Si coglie dal racconto genesiaco come la ricchezza della diversità intellettuale del genere umano ha come radice il principio d’incomprensione che inquina le relazioni sociali e religiose.
In definitiva l’originaria struttura plurietnica e pluriculturale è condizionata, agli albori della storia dell’umanità, dal peccato di Babele. Sullo sfondo di questa colpa, le differenze culturali e linguistiche cessano di essere dono di Dio e diventano motivo d’incomprensione e di conflitti, le differenze assumono la rigidità della divisione, anziché della verità e dell’arricchimento antropologico. Pertanto accanto al valore della diversità etnica e linguistica, che rientra nell’ordine della creazione, sussiste il condizionamento del peccato generato dall’orgoglio umano e dalla presunzione di porsi sullo stesso piano divino.
Rielaborando il messaggio biblico derivante da questa prima città, che evoca l’arroganza di Babilonia, metropoli «devastatrice», s’individuano alcune prospettive. In primo luogo Babele rappresenta il motivo della confusione delle lingue. Il processo d’inculturazione del Vangelo è ostacolato dalla persistente frammentazione e confusione della comunicazione sociale e interpersonale. Un secondo aspetto è ritratto dalla seduzione del potere comunicativo rappresentato dalla «torre» e dalla «città». Tale potere seduttivo si propone di rovesciare l’ordine cosmico e di mettersi al posto di Dio, salendo fino al Cielo. Una terza prospettiva è delineata dalla «divisione delle lingue», che definisce le differenze culturali dei popoli del mondo.
Gerusalemme: la comprensione delle lingue
La seconda città del nostro «viaggio ideale» collegato ai linguaggi è Gerusalemme. Secondo i racconti biblici Gerusalemme era l’antica città dei Gebusei, roccaforte espugnata da Davide (cf 2 Sam 5, 6ss.) e divenuta sede dell’arca dell’alleanza e del tempio salomonico (cf 1 Re 6-8). Lungo i secoli Gerusalemme è diventata la patria dei popoli, conoscendo alterne vicende. La caduta della città per mano dell’esercito babilonese segnò un evento tragico per la storia del popolo eletto. Tale rovina fu interpretata come conseguenza dell’infedeltà a Dio e frutto del peccato d’idolatria (cf Ez 9,1-10,7).
Pur essendo una città dalle piccole dimensioni, capitale del regno di Giuda, Gerusalemme è rappresentata come «luogo» della riunione dei popoli e della comprensione delle lingue. Infatti, parallelamente al dramma della città occupata e sottomessa, si trovano diversi oracoli profetici che prefigurano la gloria di Gerusalemme «madre dei popoli». Secondo la profezia di Is 1,26, dopo aver superato la prova, Gerusalemme diventa «città di giustizia e di fedeltà». Nello stesso libro, anche se in un periodo diverso, la città santa sarà accostata al simbolismo nuziale (cf Is 54,4-10) e vedrà nascere in essa nuovi figli (cf Is 49,4-26; 54,1ss.). Troviamo oracoli di speranza riguardo alla città anche in Ger 21,6.12 e in Es 47,1-48,29. In particolare il profeta Ezechiele, che vive nel gruppo degli esiliati, descrive la «Gerusalemme futura» ricostruita attorno al tempio, aperta al culto di Jhwh, sede ideale di tutte le tribù (Ez 48,35). Nella tradizione religiosa la «cittadella di Sion» diviene meta di pellegrinaggi (cf Sal 122; 125; 126; 132). In essa si pone la propria gioia nel dimorarvi (cf Sal 84; Sir 50,1-21). Diversi salmi celebrano la residenza di Jhwh (cf Sal 46; 48). Spicca tra le diverse composizioni il Sal 87, che celebra Gerusalemme come la «madre di tutte le genti» (Sal 87). La missione di Cristo culmina nella città santa, dove il Signore è rigettato dal popolo (Mc 15,6-15), condannato dai capi (14,53-64), crocefisso fuori della città (15,20ss.). Nell’ora della morte il velo del tempio si lacera, simbolo della fine del culto templare (cf Mc 15,33-38). È la comunità cristiana che attende nel cenacolo, a sperimentare l’unità delle lingue nel compiersi del «giorno di Pentecoste» (cf At 2,1.12).
Da Babele a Gerusalemme, il lungo cammino della dispersione e della confusione finalmente trova la sua unità mediante l’intervento dello Spirito di Dio. Gerusalemme diventa la città della comprensione e della missione: la prima comunità cristiana, rinnovata dall’azione dello Spirito Santo, inizia il cammino della testimonianza del Vangelo a partire da Gerusalemme, fino agli estremi confini della terra (cf. At 1,8).
Atene: il confronto delle lingue
La terza città che simboleggia un nuovo ambiente linguistico è Atene, capitale del mondo greco e sede della ricerca filosofica e delle conoscenze scientifiche dell’antichità. Atene è descritta dagli autori come una città «religiosa», modello di venerazione degli dei di ogni tipo. Oltre alle divinità ellenistiche, sappiamo che vi erano stati eretti diversi altari a «déi ignoti». Essi servivano a intercedere nei momenti difficili a favore dell’integrità e della pace. È in tale contesto che va interpretato il discorso di San Paolo nell’areopago (cf At 17,22-31) e il tentativo di dialogare con il mondo culturale pagano.
Partendo dalla «ricerca» del «dio ignoto» e dal sottofondo «religioso» dei suoi interlocutori, San Paolo cerca di aprire la mente e il cuore all’accoglienza di Gesù Cristo, Figlio di Dio e al mistero pasquale. In tal modo quel «dio ignoto» ai pagani diventa «comunicabile» attraverso il linguaggio della scienza e della ricerca del «senso religioso». Partendo dalla realtà della creazione e dall’armonia del cosmo, Paolo invita i filosofi a risalire alla perfezione di Dio che si rivela mediante Gesù Cristo «morto e risorto». Nel sentire parlare di risurrezione i presenti rinunciano a confrontarsi e deridono Paolo. Anche se l’esperienza appare fallimentare, lo sforzo dell’Apostolo non è stato vano. Dionigi, Damaris e altri greci aderiscono alla fede cristiana, accogliendo la predicazione evangelica (cf At 17,32-34).
Nel progetto narrativo lucano l’esperienza dell’Apostolo ad Atene rappresenta un importante esempio d’incontro con il mondo pagano. Paolo sperimenta la difficoltà di comunicare agli uomini di scienza e ai filosofi. L’annuncio del Vangelo ai pagani è un banco di prova per la diffusione del cristianesimo. Esso implica non solo la capacità di spiegare, ma soprattutto la forza di testimoniare. In tal senso scrivendo ai Tessalonicesi l’Apostolo asserisce:
«Per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne. Sono essi infatti a raccontare come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall’ira che viene» (1Ts 1,8-10).
La sfida dell’inculturazione del Vangelo è una permanente condizione dell’evangelizzazione. Essa rimane aperta e continua soprattutto oggi a interrogare pastori e comunità su «come» assumere le diversità dei linguaggi e costruire ponti comunicativi che possano raggiungere il cuore degli uomini.
Ripercorrendo l’epistolario paolino si coglie lo sforzo di dialogare con le culture del tempo, di elaborare un vocabolario di mediazione che possa essere «significativo» e «attrattivo» per quanti si aprono al confronto. La passione ecclesiale spinge Paolo a coniare nuovi termini, a riscrivere il vocabolario della salvezza e a tradurlo efficacemente perché tutti possano incontrare l’Amore di Dio nel suo Figlio Gesù. Per tale ragione l’Apostolo rappresenta un modello per tradurre il messaggio della fede nella semplicità e nella quotidianità. Similmente al «metodo parabolico» assunto da Gesù nell’ambiente palestinese (cf Mt,13,10-13), la rielaborazione paolina della fede cristiana costituisce un «tesoro» esemplare per la missione della Chiesa odierna.
I giovani «attraversano» le città della Bibbia
Il mandato missionario è affidato a una comunità che deve saper dialogare, attraversando idealmente le città e i luoghi dove abitano gli uomini. È nota la capacità dei giovani di apprendere e di utilizzare i vecchi e i nuovi linguaggi della comunicazione. Culture e Vangelo rappresentano un binomio essenziale per la trasmissione della fede nelle comunità odierne, soggette a rapidi cambiamenti. I giovani sono chiamati idealmente ad «attraversare» le città e le strade nelle quali s’incrociano linguaggi diversi e si scoprono contemporaneamente le condizioni emerse dalle tre città-simbolo della Bibbia.
Talvolta il messaggio evangelico si scontra con la «confusione delle lingue» (Babele).
I giovani sono chiamati a vivere il «discernimento» della verità, senza lasciarsi coinvolgere nel vortice delle appartenenze «parziali» e dell’incomunicabilità.
Alla confusione segue la «comprensione» dell’annuncio evangelico, simboleggiata dall’evento di Pentecoste nel cenacolo (Gerusalemme).
Il mandato missionario rappresenta una «nuova Pentecoste» per la Chiesa e soprattutto per l’incontro delle giovani generazioni. La spinta missionaria implica un necessario e rinnovato processo di incontro e di inculturazione del mistero cristiano (Atene).
In questo senso non deve venire meno la consapevolezza che il rapporto tra culture e Vangelo si gioca sulla forza e sull’attendibilità della testimonianza personale e comunitaria, che apre il dialogo con l’altro e conduce alla comune ricerca della Verità.
Giuseppe De Virgilio
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