Gogo, scomparso il 5 novembre a causa di una malattia degenerativa, viene cresciuto a Calcutta dalle suore di Madre Teresa, e poi adottato da Marina e Tommaso. Pubblichiamo parte di ciò che ha detto il padre ai funerali del figlio. Una testimonianza che colpisce!
del 22 dicembre 2010
          Govindo era un ragazzo di 18 anni. Aveva il sorriso e il fisico di un bimbo. Gogo, come era chiamato da tutti, era affetto da una malattia incurabile. Era nato in India, la mamma lo aveva abbandonato e le suore di Madre Teresa si erano prese cura di lui. Nell’orfanatrofio di Calcutta, nel 1996, lo conobbe Marina. Marina era in India per lavoro, perché doveva realizzare un reportage sulle case di Madre Teresa. In quella di Shaishu Bhavan incontrò Govindo. Di figli in Italia lei e suo marito Tommaso ne avevano già quattro. Poi c’era il lavoro impegnativo, la famiglia...           Eppure, una sera da Calcutta Marina chiamò Tommaso e gli raccontò di Gogo e lui tranquillamente: «Va bene adottiamolo. Ce la faremo». Le suore furono esplicite, non nascosero la diagnosi durissima: «Quella di Gogo è una malattia degenerativa. Non crescerà, non camminerà».           Govindo arrivò in Italia nel giugno 1998. I medici gli avevano dato pochi anni di vita e invece è vissuto fino al 5 novembre scorso.          
          A un mese dalla morte pubblichiamo parte di ciò che il papà ha detto il giorno dei funerali, ricostruito sugli appunti e sulla memoria di alcuni presenti. Una testimonianza semplice del dono prezioso che è stato Govindo per la sua famiglia, e per chi, attraverso genitori fratelli e amici, lo ha conosciuto, magari anche per pochi minuti.
          «Quella di Govindo è stata una storia avventurosa, drammatica, bellissima e misteriosa. E interrogando questo mistero in questi giorni mi si è fissata in cuore l’immagine, indelebile, di venerdì scorso, il giorno della morte: tutta la mia famiglia in ginocchio, in lacrime e in preghiera, attorno al letto di Govindo che ci lasciava.
          Ecco dunque una prima risposta, un primo pezzo di quel mistero: Govindo, come una lanterna viva, ha tenuto insieme la mia famiglia. Poi in quella stessa immagine ho visto anche un piccolo patriarca che, dal suo letto di morte, con i suoi occhi da bambino posati su di noi benché mezzi nascosti da una maschera ad ossigeno non adatta per il suo piccolo viso, diceva: vi ho rifornito di amore fino ad oggi, continuerò a farlo anche dopo. È per questo che non di strazio vi voglio parlare, ma di gratitudine. E ho tanti grazie da dire.
          Innanzitutto grazie a Te Signore della vita, che hai chiamato all’esistenza Govindo, senza di Te Govindo non poteva esserci. Tu gli hai disegnato un destino pieno di sorprese, scritto con tante matite colorate, con tante persone. E ci hai anche ridetto attraverso di lui il Tuo sistema preferito, il Tuo trucco per farTi trovare: Tu nascondi le gemme più preziose della Tua creazione in involucri da poco, poveri, fragili, malati. In involucri spesso rifiutati. Come disse la sister all’orfanotrofio a Calcutta a mia moglie Marina: non prendete un bambino sano, prendete uno di quelli che nessuno vuole.
          Grazie alla Madonna, che in tutti questi anni, densi di problemi e di tribolazioni, che non sono mancate, ed anche di gioie e di allegria, non ci ha mai fatto mancare nulla, ha tenuto tutta la mia famiglia sotto il Suo manto protettivo. Ci tengo a ringraziarla qui, in questa chiesa dedicata alla Vergine del Carmelo, alla Madonna della Traspontina, di cui sono devoto perché è la mia parrocchia.
          E, dovete sapere, che Govindo ha avuto una apparizione di questa venerata Madonna. Qui devo aggiungere un grazie a Mario, membro della Confraternita dello Scapolare, che ogni anno porta in processione nel quartiere di Borgo la bella statua della Madonna. Non posso dimenticare quella volta che Mario fece fermare la Madonna sotto casa mia, perché vide da sotto Govindo affacciato in braccio a me. E così la Madonna ci ha salutato appena fuori della finestra, ci ha quasi guardati in faccia e ci fu uno spontaneo applauso dei fedeli in processione.
          Govindo ha avuto tanti amici. Lo vediamo anche oggi in questa chiesa così piena. Ma oggi si prega per lui in varie parti del mondo, a Buenos Aires, a Gerusalemme, a Calcutta, a Milano (il giorno dopo ho saputo anche in Africa e in Cina, ndr).           Govindo è arrivato in una famiglia numerosa, ma era anche circondato da famiglie numerose. Perciò ha avuto tanti parenti. Qualcuno lo voglio ricordare, innanzitutto le due nonne: la nonna Liliana che lo ha preceduto qualche mese fa andando a fare un picchetto d’onore di famiglia in Paradiso, e la nonna Klara, che è qui, ed ha condiviso fino all’ultimo le ansie e le gioie di Govindo. Gli zii li salto perché sono troppi, così anche i cugini.
          Voglio invece spendere due parole sui nipotini di Govindo, i figli dei cugini nati in questi dodici anni e che guardavano questo strano bambino che non cresceva, che restava sempre uguale mentre loro ogni anno diventavano più grandi, che non mangiava per bocca come loro, bensì tramite un tubo, che negli ultimi anni aveva anche un po’ di barba, ma una corporatura più piccola della loro; facevano all’inizio, timorosi, qualche domanda perplessa, poi alla fine Gogo è diventato per tutti una presenza familiare su cui riversavano il loro affetto di bambini.
          Da ultimo grazie a mia sorella Margherita e a suo marito Maurizio, a Nicola e Gigina di Gallipoli per essersi assunti davanti alla legge l’impegno di occuparsi di Govindo nel caso della scomparsa dei suoi genitori adottivi. Govindo ha avuto tante mamme. Quella Celeste l’ho già ringraziata. Voglio qui ringraziare la mamma carnale, che io non conosco. Tu hai abbandonato tuo figlio, sicuramente in preda all’angoscia, non so perché, forse la malattia incurabile, d’altra parte in India con un sistema sociale così diverso dal nostro… forse altro. Sicuramente ti è costato molto. Grazie perché non lo hai soppresso, lo hai dato a chi poteva farlo vivere.
          E qui siamo arrivati ad una mamma potente, madre di tantissimi figli, come Madre Teresa. Cara Madre, in questi giorni di intenso dolore in cui ho pregato tanto ed ho chiesto di pregare perché Govindo ci fosse risparmiato mi sono sentito un po’ in conflitto di preghiera con te. Ho infatti avuto il sospetto che tu invece pregassi perché avevi voglia di tornare a giocare con lui come accadeva nell’ultimo anno della tua vita, quando Govindo all’orfanotrofio era diventato un po’ la tua mascotte. E ho immaginato che in Cielo si fosse aperto un arbitrato, quale preghiera deve vincere? Naturalmente non c’è stato nessun arbitrato e le tue preghiere hanno vinto perché tu, Beata, conosci il vero bene delle persone e di Govindo. Un bene che ha come misura l’infinito Bene e che spacca, supera, i criteri umani, anche quelli buoni e sinceri dei nostri affetti più profondi. Ultima mamma è arrivata Marina, mia moglie. Questa parte della storia di Govindo è iniziata con te, nel novembre di 14 anni fa quando hai incontrato Govindo a Calcutta, dove ti aveva mandato il tuo direttore per un servizio su Madre Teresa. Da uno di quegli slanci del tuo cuore generoso, è fuoriuscito quello sguardo di intesa tra te e Govindo che è all’origine del suo arrivo nella nostra famiglia.
          In appendice non posso non ringraziare i miei splendidi figlioli, la vice mamma Maria, la primogenita, che ha accudito il fratellino quando papà e mamma erano al lavoro e le donne erano di riposo; grazie alla assennata Angela che ha avuto l’onere di fare le punture di antibiotico nel corpicino gracile del fratellino in questi ultimi giorni, noi non osavamo, lei ha preso il coraggio a due mani e le ha fatte; grazie a Cristina, che è stata la cantante, la fotografa, lo vestiva per le foto, e quindi è stata modista per Gogo; grazie a Luigi, il compagno prediletto di giochi.
          Da ultimo un doppio grazie a te, figlio mio. Mi hai fatto sentire una papà scelto da suo figlio, prescelto, mi hai fatto sentire un papà migliore di quello che ero, non mi hai mai lesinato un sorriso, mi hai sempre cercato con le tue braccia, ti sei sempre avvinghiato al mio collo, anche quando non ero d’umore giusto. Mi hai reso, insieme coi tuoi fratelli, un papà felice. Il secondo grazie te lo preannuncio soltanto. La mia anima così appesantita da peccati, incoerenze, aridità, non può competere con la tua, così pura, limpida, innocente e perciò vicinissima a Dio.
          Però ho ancora una carta da giocare, sono tuo padre, mi devi l’obbedienza, ti chiedo perciò di aiutarmi a trasformare, d’ora innanzi, questo vuoto che mi annichilisce, che ci annichilisce, in qualcosa di buono, in una nuova forma di quel bene che tanto ci hai regalato. Tu sei un figlio buono e so che lo farai. E io allora verrò a dirti il mio secondo grazie, quello definitivo, di persona, quando Iddio vorrà».
 
 
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