Album dopo album, viaggio dopo viaggio in Africa, alla ricerca di valori e cose vere su cui poggiare l'esistenza, per Niccolò Fabi, oggi, scrivere canzoni significa «partire da un pezzo di me per arrivare a qualcosa che in un modo o nell'altro possa assomigliare ad un brandello di pensiero collettivo».
Non crede più ai grandi sogni, ma alle piccole cose utili e realizzabili il Niccolò Fabi di Ecco, settimo capitolo di una carriera iniziata cantando dei propri capelli e poi trasformata dall’esperienza nel seme da cui far germogliare la pianta della condivisione e della solidarietà.
Uno strumento d’indagine interiore affinato canzone dopo canzone, album dopo album, viaggio dopo viaggio in Africa, alla ricerca di valori e cose vere su cui poggiare l’esistenza senza farsi condizionare più di tanto da un progresso spesso rivolto più a «consumare cose che non ci servono e nemmeno ci piacciono» che a costruire speranze. Per lui, oggi, scrivere canzoni significa innanzitutto «partire da un pezzo di me per arrivare a qualcosa che in un modo o nell’altro possa assomigliare ad un brandello di pensiero collettivo». E in questo viaggio verso gli altri il cantautore romano, 44 anni, preferisce farsi accompagnare dalla famiglia e dalle buone letture come Le cose che non ti ho detto di Azar Nafisi o quel Molto forte, incredibilmente vicino di Jonathan Safran Foer che nel suo sorprendente finale riavvolge la pellicola del salto nel vuoto di una vittima dell’attacco alle Torri Gemelle riportandola in ufficio e poi a casa tra i tepori delle mura domestiche. Un "rewind" che lui applica alla freccia nel suo viaggio a ritroso dal ramo dell’albero all’arco impugnato sulla foto di copertina, ma in cuor suo pure alla sventura di Olivia, la figlia persa due anni fa per una malattia fulminante (cui ha dedicato la Fondazione Parole di Lulù Onlus che aiuta l’infanzia), e ai vagiti del piccolo Kim che il mese scorso è tornato a riconciliarlo in qualche modo con la vita. «Faccio un lavoro che aiuta a metabolizzare il dolore trasformandolo in qualcos’altro» spiega lui, intenzionato a presentare Ecco (sul mercato da martedì prossimo) con un giro di concerti nelle Fnac assieme a Pier Cortese e Roberto Angelini nell’attesa di varare a gennaio un nuovo tour teatrale. «Gli artisti, infatti, si cibano di gioie e dolori e non scorderò mai che la mia prima canzone l’ho scritta sulla scia di una delusione sentimentale». Verosimile è un dito puntato contro la tv del dolore, Indipendente è contro l’effimero "bisogno" di libertà che pervade la vita d’oggi. «Tutti vogliono sentirsi indipendenti, dai genitori, dalla famiglia, dal capoufficio… ma io mi domando se davvero si può essere indipendenti da tutti e da tutto se essere dipendenti da qualcuno non vuol dire amarlo ed essere amati». Tutto con sensibilità musicali che spaziano da Bon Iver a Beirut o Mogwai, le sue frequentazioni più assidue del momento. Una buona idea è un affondo sulle «ideologie perdute, le religioni evaporate, le nostre vite senza direzione e senza meta» in cui Fabi si dichiara orfano dell’illusione della sua disillusione / di uno slancio che ci porti verso l’alto / di una cometa da seguire / di un maestro da ascoltare». Di una vita in cui è sempre più faticoso riconoscersi se non hai valori che ti possano venire in soccorso perché «quando abbracci un albero di duecento anni, le tue problematiche si ridimensionano».
Niccolò Fabi
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