Quasi una supplica, un'implorazione di L., una mamma che da cinque anni sta lottando con un tumore alla testa, forse nella fase terminale, in ospedale. La malattia ha quasi cancellato le fattezze di un volto di donna amabile, tenero e forte allo stesso tempo. «Ti prego, guardami negli occhi!». Non erano limpidi, come nel tempo della giovinezza, quando, per usare i versi di Garcia Lorca «in fondo agli occhi si aprono infiniti sentieri e le pupille non hanno orizzonti».
del 20 gennaio 2008
Quasi una supplica, un’implorazione di L., una mamma che da cinque anni sta lottando con un tumore alla testa, forse nella fase terminale, in ospedale. La malattia ha quasi cancellato le fattezze di un volto di donna amabile, tenero e forte allo stesso tempo. «Ti prego, guardami negli occhi!». Non erano limpidi, come nel tempo della giovinezza, quando, per usare i versi di Garcia Lorca «in fondo agli occhi si aprono infiniti sentieri e le pupille non hanno orizzonti».
Erano gli occhi tristi di chi stava per lasciare il marito, i tre figli, la piccola frequenta la seconda elementare: «La mamma muore, non la vedrò più?». L’ho guardata attentamente negli occhi e poi le ho sussurrato: «Vedo sofferenza ma anche una vita compiuta, la tua! Tu sei amore e il Dio dell’amore non faticherà a riconoscerti per quello che hai donato ai tuoi figli, a tuo marito, ai ragazzi della scuola, quando tu non rifiutavi i più difficili, eri orgogliosa che li affidassero a te...».
Per un lampo, li ho visti luminosi, mentre insieme, con dolce tenerezza, abbiamo pregato l’Ave Maria, una preghiera carica di fede e di speranza nella vita che continua, nell’amore, le cui «vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del Signore!», parole del Cantico dei Cantici che tante volte ha cantato in coro, nella Chiesa, in oratorio.
«Guardami negli occhi!». Non me l’ha detto la vecchina, accanto a lei, una donna minuta, che ogni mattina invoca dal medico una puntura per farla finita. Non ha potuto dirlo neppure l’adolescente di 16 anni, che si è schiantato contro un muro, in una gara assurda di velocità, dove la vita non conta ma solo «il coraggio». Ma quale coraggio? Occhi straziati dal dolore quelli di sua madre, occhi sbarrati dal terrore quelli del figlio di fronte a una morte così inutile!
Gli occhi sono il riflesso di un’anima, di una vita. Si ha paura di guardare negli occhi del violento, dell’arrogante, di chi disprezza l’altro: occhi gelidi ma anche occhi senza luce e colore; si prova malinconia quando incontri gli occhi spenti di chi beve, lucidi di chi si droga...
Mentre possiamo truccare il volto, non possiamo truccare lo sguardo! Esso rivela quello che uno è, in qualsiasi stagione della vita: «Non sopportavo il suo sguardo», confessò il marito, che aveva tentato di accecare la moglie, che con occhi muti, condannava il suo rientro a casa, la sera, ubriaco: la sua brutalità metteva paura ai figli, che si vergognavano di lui, lo evitavano.
«E tu, bambina, perché tieni gli occhi bassi a terra?». Aveva sei anni! Non voleva che i compagni leggessero nel suo sguardo la tristezza. Ridare la luce agli sguardi dei bimbi e delle bimbe, potrebbe essere «il fioretto d’Avvento », quello che ci permette di essere scritti, il giorno del Giudizio, nel Libro della vita.
Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano
don Vittorio Chiari
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