Giovanni Baglioni conosciuto dalle sue ombre dietro le quinte!!! Testimone della Festa dei Giovani 2010, abbiamo avuto modo di stare un con lui, di chiacchierare e di porgli alcune domande.
del 22 luglio 2010
 
 
 
 
 
                A tutti piace e tanti ammirano il mestiere del musicista. Lavoro difficile, fatto di rinunce, di esercizio, di fatica. Il percorso è duro ma qualcuno ha già avuto modo di camminare per un po’ su di esso: Giovanni Baglioni. Testimone della Festa dei Giovani 2010, abbiamo avuto modo di stare un con lui, di chiacchierare e di porgli alcune domande.
Giovanni, il fatto di essere «figlio d’arte» blocca oppure stimola?                 «È più adatto a risponderti qualcuno che non lo è, essendo la normalità, per me non è facile capirne la specialità. Ho capito poi, nel tempo, che la vicenda era particolare; comunque uno la vive in modo normale. Dal punto di vista professionale ci sono pro e contro, se da una parte c’è un’attenzione che viene da questo fatto, da un’altra è più difficile sconfiggere il fatto che sia soltanto questo. È una medaglia a due facce.»
Com’è nata questa tua passione?                 «Suonare la chitarra in questa maniera l’ho visto fare soltanto sei o sette anni fa… prima pensavo fosse qualcosa di noioso, poi mi sono ricreduto. Fin da piccolo sono stato messo nelle condizioni di poter sviluppare le mie potenzialità: il fatto di avere un padre che lavora nel campo della musica ha rappresentato qualcosa che ha fatto nascere in me una sorta di ammirazione verso questa forma d’arte. In fondo l’attività creativa del musicista è quella che ha un po’ più di magia. Non credo sia predestinazione: in qualche modo l’ho sempre fatto pensando restasse relegato alla sfera degli hobby.»
Scopriamo un po’ più nel dettaglio questo giovane ventisettenne: Giovanni, se vedessi una rosa, che diresti?                 «Be, fiore che per antonomasia rappresenta la passione, è così che è stato l’incontro con la chitarra acustica; l’ho individuata come mia passione e poi successivamente come mia missione. È l’inizio del percorso!»
Se ti dicessimo: allegria ed entusiasmo?                «Rappresenta la parte iniziale della passione, quello che la fa muovere e che la fa riconoscere come tale, che ce la insegna e che la inculca dentro… non è sempre presente ed è li che subentra la scelta, la volontà, l’impegno nei momenti in cui perde questo carattere e di questa spontaneità!»
E, se avessi di fronte a te uno scheletro di chitarra?                 «Non sono un grande conoscitore di chitarre, nonostante qualcuno lo pensi! Infatti mi è capitato che qualche liutaio mi chieda un parere, ma mio malgrado non ne so offrire uno. E questo, mi fa pensare all’importanza che queste persone hanno relativamente al mio lavoro, quanto ci sia una suddivisione di ruoli e una dignità in ogni ruolo, quanto dobbiamo ad altre persone che ci mettono in condizione di fare le cose che facciamo.»
Cosa ti suscita la parola notte?                 «La notte per gli artisti, ma anche per le atre persone, è il momento dell’intimità, della meditazione; ma per gli artisti è soprattutto il momento di maggiore ispirazione. È una situazione in cui i pensieri sono più offuscati e si fa fatica a capire quello a cui si pensa. È forse questa difficoltà che ti permette di vedere le cose da un punto di vista diverso. Ti tira fuori, in qualche modo, l’originalità. A proposito di questo, un mio brano L’insonne è stato scritto quasi tutto in una notte. Una notte in cui ci si sveglia e si capisce che non ci sarà più modo di riaddormentarsi: e proprio in tale istante ti assale un nervosismo. Dico: “Prendo la chitarra e magari ne viene fuori qualcosa di buono”.
                Anche se ero fortemente dubbioso potesse accadere una cosa di questo tipo, mi sono messo a studiare il brano di un altro chitarrista pensando che, almeno meccanicamente, avrei potuto guadagnare qualcosa e le mie mani sarebbero potute diventare un pochino più abili del solito. Invece, contro la mia volontà, si è fatta strada un’idea musicale: forse prima nelle mie mani ancor prima che nella mia testa, come se le avessi messe lì per caso. Mi ha colpito subito e mi sono reso conto che era qualcosa di valido, allora ho cercato di portarla avanti, come una specie di caccia al tesoro, una ricerca affascinante che mi ha immerso totalmente nel discorso musicale. Per la prima volta sono andato a dormire felice invece di angosciato e frustrato per non aver concluso niente.»
E, la preghiera, cosa rappresenta per te?                 «È un momento nel quale, da un certo punto di vista, siamo soli con noi stessi però in realtà siamo nella comunione più intima e più sincera con i piani alti. È un momento tutto speciale in cui se abbiamo il coraggio e l’onestà intellettuale di essere veramente sinceri possiamo spogliarci di tutti i nostri sovrapensieri, le nostre sovrastrutture, le indulgenze verso noi stessi e capire veramente chi siamo. Credo sia alla nostra portata capire tante cose che magari ci sembrano incomprensibili, se veramente ci mettiamo in queste condizioni.»
Come dunque la fede ha influito e influisce sul tuo modo di comporre?                 «A volte, come tutti, ci si sente più distanti da quello che è divino, mentre altre volte più vicino. Nonostante questo, anche involontariamente, mi sono reso conto che, nella composizione, non sono mai uscito da quei binari che la fede mi suggerisce.»
                Essere a fianco di Giovanni Baglioni e del suo manager per quasi due giornate è stato proprio importante anche per noi giovani. Il suo talento, la sua particolare modalità di suonare ha suscitato l’ammirazione di tutti, oltre che la voglia ed il desiderio di seguire le proprie passioni, senza aver paura di puntare in alto! Non è mai troppo tardi per seguire i propri sogni, dobbiamo credere in ciò che facciamo!
                Grazie Giovanni, per esser stato semplicemente e gioiosamente UNO DI NOI !!!
Silvia Lancerotto
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