«Anche nel nostro tempo educare al bene è possibile, è una passione che dobbiamo portare nel cuore, è un impresa comune alla quale ciascuno è chiamato». Anche i più grandi valori del passato non possono semplicemente essere ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati attraverso una, spesso sofferta, scelta personale».
del 19 marzo 2010
 
 
 
 
 
L’urgenza di oggi e la sfida di sempre
          Ormai da qualche tempo la questione educativa sta assumendo i contorni di una vera urgenza e insieme di una sfida radicale. Ne è prova – oltre l’osservazione empirica di ciascuno di noi – una pubblicistica ormai diffusa che dedica all’argomento analisi puntuali, anche se non sempre riesce a far emergere una diagnosi adeguata e soprattutto praticabile.
          Chi, in realtà, ha tematizzato da tempo questa urgenza e questa sfida, senza peraltro fermarsi all’epifenomeno [cioè all’analisi di superficie], ma andando alla sua vera radice, è Benedetto XVI.
          Infatti, sin dall’esordio del suo pontificato Papa Ratzinger ha fatto della cosiddetta «emergenza educativa» una cifra interpretativa della stagione storica che stiamo attraversando. Egli stesso ha precisato il senso di questa emergenza, sottolineando che in realtà: «educare… non è mai stato facile, e oggi sembra diventare sempre più difficile. Lo sanno bene i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti e tutti coloro che hanno dirette responsabilità educative.
          Si parla perciò di una grande “emergenza educativa”, confermata dagli insuccessi a cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita. Viene spontaneo, allora, incolpare le nuove generazioni, come se i bambini che nascono oggi fossero diversi da quelli che nascevano nel passato. Si parla inoltre di una “frattura fra le generazioni”, che certamente esiste e pesa, ma che è l'effetto, piuttosto che la causa, della mancata trasmissione di certezze e di valori».
Una questione di libertà
          Il Papa è convinto che l’urgenza di oggi non sia dissimile da quella di sempre, perché dietro la sfida dell’educazione c’è in fondo la questione della libertà umana. Così egli scrive, nella citata Lettera sul compito urgente di educare: «Tutte queste difficoltà non sono insormontabili. Sono piuttosto, per così dire, il rovescio della medaglia di quel dono grande e prezioso che è la nostra libertà, con la responsabilità che giustamente l'accompagna.
          A differenza di quanto avviene in campo tecnico o economico, dove i progressi di oggi possono sommarsi a quelli del passato, nell'ambito della formazione e della crescita morale delle persone non esiste una simile possibilità di accumulazione, perché la libertà dell'uomo è sempre nuova e quindi ciascuna persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, e in proprio, le sue decisioni. Anche i più grandi valori del passato non possono semplicemente essere ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati attraverso una, spesso sofferta, scelta personale».
          Si coglie qui una prospettiva originale e decisamente propositiva. Ogni generazione infatti è sfidata a raccogliere il testimone della propria libertà, risvegliando il coraggio delle decisioni definitive, che sono necessarie per crescere e raggiungere qualcosa di grande nella vita, in particolare per far crescere l’amore in tutta la sua bellezza. Ecco perché il Papa puntualizza: «Il rapporto educativo è anzitutto l’incontro di due libertà (…): dobbiamo accettare il rischio della libertà».
Educare è diventare persona
          Si intuisce che la questione educativa non ha a che fare semplicemente con delle nozioni da trasmettere o dei comportamenti da replicare, ma in primo luogo con il risvegliarsi del soggetto che decide di sé. Solo dopo sarà possibile orientarsi nella serie delle decisioni da assumere non senza un confronto con ciò che ci precede e non senza una relazione stabile e critica con quanti vivono questa stagione storica. Alla fine, la vera radice del malessere così diffuso tra i giovani non è tanto la mancanza di possibilità di scelta – che sono al contrario infinite oggi – ma rinvenire un «perché» ultimo, ovvero un senso che dia alla vita un orientamento necessario. Senza la speranza, infatti anche la fiducia umana è destinata a ripiegarsi su se stessa, come dimostra la mancanza di desideri e di slancio che sembra far invecchiare precocemente chiunque.
          (…) L’uomo infatti non è riducibile ad un agglomerato di pulsioni e desideri, ma è un soggetto ricco e unitario; non è né una macchina corporea né un pensare disincarnato. È sempre “qualcuno”, non è e non diventa mai “qualcosa”, un “mezzo” per raggiungere altro. La sua ragione non solo è capace di autocoscienza, di ragionamenti formali, di applicazione alla realtà empirica, ma si apre anche ai significati e alla questione del bene e del male. Essa supera i limiti della sequenza dei fatti, della mera cronaca, e l’interpreta cercandone i perché, le direzioni future.
          In questo dinamismo si pone l’universale questione del senso del vivere e del morire, da cui la storia umana è attraversata, come da un sigillo bruciante, a testimonianza della capacità dell’uomo a trascendersi, della radicale apertura della sua anima sull’infinito, del richiamo ontologico della persona verso la trascendenza, cioè verso Dio.
 
La cura di Dio
          La nostra cultura diffusa instilla ovunque, ma soprattutto nei giovani, la convinzione che nulla di grande, bello, nobile, ci sia da perseguire nella vita, ma che ci si debba accontentare di un «qui e ora», di obiettivi di basso profilo, di una navigazione di piccolo cabotaggio, perché vano è puntare la prua verso il mare aperto. L’esito finale della cultura nichilista è una sorta di grande anestesia degli spiriti, incapaci di slanci e quindi inerti.
          In tal modo i sogni e i desideri tipici dei giovani vengono frantumati proprio mentre chiedono invece di essere protetti, coltivati nel lavoro educativo, e sospinti verso mete nobili e alte, che noi sappiamo essere a misura dei giovani.
          Questo, oggi, può essere considerato l’obiettivo di fondo dei «percorsi di evangelizzazione e di educazione» da proporre ai giovani, reagendo a quell’atteggiamento rinunciatario che sembra impedire questo obiettivo realistico anche nella situazione di oggi.
Card. Angelo Bagnasco
Chiara Bertato
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