GxG MagazineEhi, tu! Sai cosa leggi?Attualità

Qual è lo scopo della comunicazione giornalistica? Quello di trasmettere alla comunità una verità, che non sia però chiusa, monopolizzata. Intervista al caporedattore del quotidiano Avvenire.

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da GxG Magazine

del 13 gennaio 2011

 

       Tra vulcani e tempeste… di notizie           Parole, fotografie, filmati, volti, voci. Questa è la comunicazione giornalistica: una storia cominciata grazie a pochi fogli stampati con torchio, matrici e inchiostro che passa oggi sui display multicolori dei notebook, dell’I-pad o dello Smartphone.Ansa, Reuters, Adn-Kronos le più grandi agenzie di notizie eruttano un flusso continuo di informazioni di tutti i tipi. Si mescolano così politica, gossip, economia, flirt dello star-system, cronaca nera... mentre quotidiani, periodici, radio e telegiornali filtrano, interpretano e ci offrono il magma organizzato.           Da ultimi finalmente arriviamo noi, i lettori. Il tornado dell'informazione ci travolge con le sue 4 milioni di copie di quotidiani venduti al giorno sull’intero pianeta, per non parlare dell’inimmaginabile flusso di notizie che gira sul web.   Lettori consapevoli           C’è bisogno di diventare lettori consapevoli, o meglio di essere avvertiti che, come ammoniva Norman Mailer, giornalista statunitense, “pretendere di dire la verità e tutta la verità con un giornale è come pretendere di suonare la Nona di Beethoven con un'ocarina: lo strumento non è molto adatto”. Ciò non significa che il mondo dell'informazione sia solo bugia, ma piuttosto che la verità ci giunge media-ta, ovvero filtrata attraverso il mezzo che ce la porta.  Il giornalista, con la sua sensibilità, il suo stile, il suo carattere, la sua formazione porta ai suoi lettori un pezzetto di mondo del quale in qualche modo diventa responsabile.  La sfida della verità           Cosa accade dunque nella comunicazione? Gli uomini entrano in un rapporto di reciproco scambio. Attraverso il linguaggio lo spirito degli uomini si mette in comunicazione, crea una comunità. Qual è lo scopo della comunicazione giornalistica? Quello di trasmettere alla comunità una verità, che non sia però chiusa, monopolizzata. Dev'essere una verità data in atteggiamento di ricerca. Verità non significa solo riportare oggettivamente una notizia. È essere veraci nell'atteggiamento con cui la si riporta. La menzogna infatti non è nell'errore, tutti possiamo sbagliare, ma è nella consapevolezza e nell'intenzione della difformità tra il pensato ed il comunicato.   Il vero ed il giusto           La verità, intesa come completezza di dettagli,è sempre un bene? In filosofia dovremmo certo rispondere di sì. Se però ci mettiamo in un'ottica di opportunità le cose cambiano. La legge spesso non ci permette di dire la verità, protegge e tutela il minore - per esempio – oggetto di violenza casalinga o di abusi. Pur essendo necessaria, va maneggiata con prudenza perché si tratta di un’arma a doppio taglio.            A volte però la necessità che ogni giornalista sente di essere veritiero, cozza contro la legge stessa ed il codice deontologico. È il caso del confronto tra chi scrive ed i gruppi d’interesse o di potere (proprietari, direttore, consiglio di redazione) nello sforzo di valutare se sia opportuno o meno presentare la verità in tutta la sua interezza. Un esempio molto comune può essere la decisione se descrivere o meno i suicidi, poiché questo può creare il terribile fenomeno dell'emulazione. Oppure decidere se pubblicare o meno delle immagini particolarmente raccapriccianti, come il video choc dell'omicidio di mafia in pieno centro a Napoli. Un video forte, giudicato dai più eccessivo, ma che ha sgretolato il muro di omertà e permesso di catturare l'assassino. Nelle redazioni giornalistiche si combatte quotidianamente con le mille variabili che modellano, scavano, inchiodano la notizia.   Giornalismo cattolico           Se l’amore alla verità è di ogni giornalista, ce n’è qualcuno che della Verità si fa portavoce speciale. Si tratta dei numerosi giornalisti cattolici, che alla verità ed alla sua ricerca devono aggiungere l'amore. Perché per avere una comunicazione cristiana non si può prescindere dall'amore, che deriva da una consapevolezza: Gesù è la Verità. E non si può trovare la Verità se non la si ama. Perché è Gesù, via, verità e vita, che sulla croce ci ha donato il suo amore sconfinato. Proprio questo amore guida il giornalista cristiano nella via per giungere ad un buon discernimento. Anche se non sempre è facile.            Informarsi implica fiducia, ma non dobbiamo dimenticare che spetta alla nostra voglia di cercare la verità di trovarla. Il giornalista è un ricercatore che espone il risultato del suo percorso. Al lettore la possibilità di confutarlo o sostenerlo. Ricercando a sua volta.   Intervista ad Umberto Folenacaporedattore del quotidiano Avvenire    1.        Cosa l'ha spinta ad intraprendere la carriera giornalistica?Ho scelto di fare il giornalista perché mi piace scrivere, guardare, ascoltare, vedere... e raccontare. Raccontare permette di condividere le cose che vivo, di interrogare e di ricevere risposte! Sono un giornalista che abbraccia i valori cristiani e cerca di viverli.  2.      Il giornale per cui lavora che indicazioni concrete dà, in un'ottica della comunicazione?Avvenire, come del resto nessun giornale, non dà indicazioni concrete ai giornalisti su cosa e come scrivere. Resta infatti all'intelligenza ed alla sensibilità del giornalista sapere che il giornale per cui lavora ha determinati valori politici, ideologici o religiosi. Aderire ad un sistema valoriale è comunque utile ed importante. Ti permette di avere un prodotto curato e ben costruito. È poi il consumatore che ti premia, scegliendo la tua testata perché abbraccia i tuoi valori di riferimento o apprezza il tuo stile d'informazione. I lettori sono un patrimonio da salvaguardare, sono il vero metro del tuo agire. Pur mantenendo il reverenziale “timore” dell'amministrazione, per un giornalista è il sano timore (inteso alla maniera cristiana) del lettore il metro di misura del proprio scrivere.  3.      Le è mai capitato di scontrarsi con casi dubbi, dove la verità avrebbe potuto “nuocere”?Naturalmente sì. Scegliere di non proporre la verità non è censurarsi. La verità a tutti i costi è un idolo. Anche la Bibbia, nei comandamenti, ci ammonisce, ricordandoci di non farci idoli, di nessun tipo. Un esempio concreto: Hitler sosteneva la sua verità, che ha portato la morte di 6 milioni di persone e la Shoah. La verità non dev'essere un'ideologia, ma una ricerca. E soprattutto non deve diventare un modo per ottemperare ai propri interessi.  4.      Come giudica i recenti casi giornalistici (Scazzi)? Come si sta evolvendo l'informazione?Il caso Scazzi è un caso limite, sfora anche dalla definizione di info-taitment (informazione spettacolo). Il cadavere della povera fanciulla è diventato MERCE, è stato venduto per scopi puramente commerciali, in particolare pubblicitari (notare che ogni 5 minuti dei programmi di approfondimento su Sara c'era uno spazio pubblicitario). Io stesso sono stato invitato da una trasmissione a parlare del caso, dopo gli articoli di Avvenire molto duri sul comportamento della Rai, visto il macabro annuncio in diretta della morte alla mamma di Sara. Naturalmente sono trasmissioni in cui è difficile comunicare, ma ho cercato di affermare che il caso Scazzi è un'enorme operazione commerciale.  5.      Informazione, comunicazione, educazione. Come legare questi termini?Sono tre termini contigui. Molto compenetrati tra di loro. Mi spiego con un esempio. Anche la telecronaca sportiva è un modo di fare comunicazione. Il più famoso commentatore è Caressa, molto apprezzato per il suo stile. Con lo stile si educa ed informa. Infatti non c'è solo la partita, ma un racconto, dove si mette al centro il commentatore e la sua bravura, indice dell'egocentrismo e dell'individualismo che sono ormai una tendenza culturale. Come si vede fare informazione (partita) gestendo la telecronaca in un certo modo (comunicazione) è un modo per trasmettere dei valori (educazione).

 

Cristiano De Marchi

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