La catechista, una suora molto brava, sbianca. Di sicuro, tra sé e sé, avrà pensato come l'avrei giudicata: quarta elementare e non sa come è morto Gesù, chissà cosa gli avrà insegnato la catechista! Io però pensavo ad altro. Guardavo gli occhi del ragazzo. Aveva incontrato Gesù, aveva capito la cosa più importante: il Signore ha dato la sua vita per tutti.
del 17 aprile 2012
 
“Io offro la mia vita per le pecore” (Gv 10, 15)
          Tra le numerose proposte che mi piombano addosso, affollando all'inverosimile la mia agenda, non ho potuto dire di no a Norma, la responsabile delle catechiste della mia scalcinata (ma altrettanto amata) Parrocchia, che mi ha chiesto di fare un piccolo corso sui simboli della liturgia per i quattro (sic!) bambini che si stavano preparando per la prima comunione.
          Ora, un liturgista figlio d'arte, di sicuro non si tira indietro ad una simile proposta. Armato di foglio lenzuolo, ornato con tutti i disegni degli oggetti e dei simboli tipici della liturgia, mi accingo a cominciare il mio tour tra le splendide ed imponenti navate trecentesche. I bambini sono briosi, curiosi ed attenti; vengono sommersi da un sacco di nomi, alcuni noti, alcuni buffi.
          Come spiegare che il rettangolo che il sacerdote pone sopra il calice si chiama “palla”? Siamo ormai alla fine del percorso, quando un bambino guarda attentamente la croce a stile lignea policroma (stupenda e molto antica) che troneggia accanto all'altare. Resta un po' imbambolato a fissarla e pone la sua domanda, incredibile: “Ma allora Gesù è morto così?”
          La catechista, una suora molto brava, sbianca. Di sicuro, tra sé e sé, avrà pensato come l'avrei giudicata: quarta elementare e non sa come è morto Gesù, chissà cosa gli avrà insegnato la catechista! Io però pensavo ad altro. Guardavo gli occhi del ragazzo, un po' luccicanti nella penombra del Duomo. Aveva incontrato Gesù, aveva capito la cosa più importante: il Signore ha dato la sua vita per tutti. Questa frase, detta dalla catechista migliaia di volte (come il racconto della crocifissione), finalmente aveva senso. Era reale, un incontro, di nuovo. Perché serve ricordarselo: “Hei, Cristiano, Dio ha offerto la sua vita per te, sì, proprio per te!”.
          Di solito però a questo punto si alzano le barricate. Insomma, Gesù è Dio (oltre che uomo), aveva un vantaggio non indifferente. Io sono debole e stanco, cosa vuoi che faccia? E si ricomincia, immergendosi a capofitto nel proprio quotidiano grigiore, senza farsi domande e senza cercare risposte.
Questa però non è la Vita, quella vera.
          È come essere imbottiti di anestetici, rinchiusi nel proprio atollo (vero o presunto), nascondendosi dal dolore e dalla fatica. Invece il Signore ci dice: “Sveglia!”, io per te ho un grande progetto; “Simone, Andrea, Giacomo, Giovanni, seguitemi! Vi farò pescatori di uomini” (Mt 4, 19). Ho il mio lavoro, le mie cose, e tu vieni a dirmi che diventerò un apostolo? Ebbene Sì! Ognuno di noi è, fin dal battesimo, chiamato ad essere questo. Chiamato a fare della sua vita un dono.
          Don Bosco lo ha saputo a nove anni, con un sogno. Come realizzarlo però? Anche Giovannino, come chiunque di noi, è stato assalito dai dubbi. “Frate o non frate”? Le Memorie dell’Oratorio (cfr pg. 63-102) riportano, nella prima decade, proprio il percorso vocazionale del santo, fino al sacerdozio. Anni difficili, ricchi di incontri preziosi e fondamentali, corredati da impegni rinnovati e sempre più approfonditi, per indirizzare la propria crescita cristiana. Leggere i segni di Dio nella propria vita. Una volta interpretata la Sua voce, don Bosco ha cominciato a viverla. A mettere in atto, senza badare a conservare le forze vivendo al risparmio, il sogno che da sempre era stato pensato per lui. Ha donato la sua vita, nel senso letterale. I medici, alla sua morte, affermarono che il suo corpo era consumato, ogni cellula era stata offerta ai suoi giovani.
          Lasciamoci provocare proprio da don Bosco, grazie alle parole del suo successore, che ne continua l'opera, offrendo la sua vita alla congregazione ed a noi giovani: “Vorrei, mentre vi abbraccio tutti con affetto, rivelarvi il più grande segreto del mio cuore. Ho sempre creduto che la mia missione doveva avere una caratterizzazione particolare: salvare i giovani attraverso i giovani. Ho sempre voluto che il mio amore per voi fosse missione condivisa da voi e che voi stessi diventaste apostoli dei giovani. Nel formare il mio gruppo di Salesiani ho puntato tutto sui giovani ed è stata una folgorazione vincente! Solo voi giovani avete le potenzialità di trasformare le vostre conoscenze in sapienza, e di immettere questa sapienza nella vita. Non ripiegatevi su voi stessi, viandanti stanchi e rassegnati, ma interpretate la vostra condizione umana come “avventura divina”, coinvolgendovi ed integrandovi con tutti i figli di Dio sparsi nel mondo, nella splendida Storia della salvezza [1]”.
          Lasciamoci folgorare, come Saulo di Tarso sulla via di Damasco, dallo sguardo di Dio sulla nostra vita. Chiediamogli, con forza, di mostrarci come dobbiamo offrire il dono più grande che ci ha fatto, la Vita. Essa infatti non ci appartiene, non credete a quello che proclamano i falsi profeti, è Sua. E per ringraziarlo di ciò, per ricambiare il suo amore, siamo chiamati a renderla un capolavoro.
Recita lo splendido salmo 139:
“Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi
e tutto era scritto nel tuo libro;i miei giorni erano fissati,quando ancora non ne esisteva uno”.           Ascoltiamo la voce di Dio, offriamo la nostra vita per scrivere il nostro capitolo nel libro della Salvezza, per provare la felicità vera che ci è stata promessa. 
[1] Don Pascual Chavez: discorso augurale per la festa di San Giovanni Bosco, 2012
Cristiano Da Marchi
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