Ha ragione Darwin o la fede? La scienza non ha l'ultima parola...

Alcuni attacchi frontali e alcune difese accorate hanno guadagnato segnalazioni in prima pagina, circostanza abbastanza inconsueta per un tema scientifico specialistico, come di fatto è quello trattato dai due autori.

Ha ragione Darwin o la fede? La scienza non ha l’ultima parola...

da Quaderni Cannibali

del 16 giugno 2010

 

              Il volume Gli errori di Darwin (Feltrinelli) scritto dagli scienziati cognitivi e filosofi Massimo Piattelli Palmarini e Jerry Fodor ha suscitato un ampio dibattito nel mondo anglosassone. Lo stesso sta accadendo in Italia in queste ultime settimane. Se dovunque i toni sono stati accesi, la discussione italiana intrecciata su quotidiani e riviste da studiosi e giornalisti sembra per buona parte uno specchio fedele di rocciose posizioni ideologiche diffuse e dell’incapacità di superarle (o dell’indisponibilità a farlo).              Alcuni attacchi frontali e alcune difese accorate hanno guadagnato segnalazioni in prima pagina, circostanza abbastanza inconsueta per un tema scientifico specialistico, come di fatto è quello trattato dai due autori. Certo, una ”critica” a Darwin può essere un elemento di polemica culturale e, quindi, di richiamo anche per i non addetti ai lavori. Ma probabilmente c’è di più.              Che cosa dicono, in estrema sintesi, Piattelli Palmarini e Fodor? Che la selezione naturale non è il meccanismo principale dell’evoluzione, ovvero che alla base della nascita e della modificazioni delle specie non c’è soltanto una trasmissione errata e casuale del patrimonio genetico dai genitori alla prole e il successivo processo di adattamento, cioè la sopravvivenza differenziale rispetto alle condizioni dell’ambiente propiziata dalle caratteristiche dei diversi individui di quella specie, sopravvivenza differenziale che si traduce in maggior possibilità di riproduzione. Sono all’opera, secondo i due autori, molteplici altri meccanismi, molto più complessi. E infatti quasi nessuno si è azzardato a spiegarli, o perché non ne ha gli strumenti o perché, è il caso degli esperti, non si ritiene né possibile farlo nel breve spazio di un articolo, né utile al lettore medio, che in quegli aspetti tecnici si perderebbe.              Se fosse la proposta di un mutamento all’interno di un altro paradigma scientifico, si può ipotizzare che non avrebbe attratto l’attenzione in questo modo. Ad esempio, le interpretazioni della meccanica quantistica riguardano uno snodo fondamentale del sapere circa la natura della realtà fisica su cui non c’è un accordo univoco, esistono tuttavia posizioni maggioritarie e posizioni minoritarie. Un tentativo di “sovvertire” i rapporti di forza con una rassegna aggiornata della letteratura esistente in fisica teorica e sperimentale (questo si fa in Gli errori di Darwin, e non è comunque poco) rischierebbe di trovare abbastanza tiepidi opinionisti, mass media e studiosi di altre discipline.

              Che Gli errori di Darwin sia un tentativo eroico o un esercizio futile, una lungimirante proposta di revisione del corpus darwiniano o un abborracciato pastiche di studi e ricerche, l’autorevolezza dei proponenti (ancorché non biologi, specialisti della materia) e l’apparentemente solida costruzione del volume imporrebbero tuttavia una valutazione nel merito e non stroncature o lodi preventive.              Quello che in vari interventi sembra invece prevalere è un corto circuito tra la teoria darwiniana e le visioni generali del mondo, e dell’uomo soprattutto, che ciascuno dei commentatori sostiene. Chi ha ancorato all’ortodossia evoluzionistica la propria idea metafisica della natura come meccanismo casuale, dell’homo sapiens come una specie tra le altre e priva di diversità qualitativa, della religione come sottoprodotto dell’adattamento frutto della selezione naturale cerca di squalificare in blocco la messa in discussione di alcuni presupposti scientifici che si presume puntellino tale edificio.               Chi, d’altra parte, abbraccia una prospettiva aperta all’idea metafisica di un finalismo nella natura, dell’eccezionalismo dell’essere umano (unico vivente dotato di uno spirito) e quindi della sua dignità assoluta, dell’adesione a una credenza religiosa come scelta libera, razionale e rilevante tende ad appoggiare acriticamente le teorie scientifiche che giudica capaci di sconfessare quelle incompatibili con tale Weltanschauung.               Non si tratta certo della totalità delle posizioni espresse. In entrambe i fronti, comunque, si vede all’opera la convinzione che la scienza abbia un’autorevolezza da cui non si può prescindere per sostenere la proprie posizioni “extra-scientifiche”. Di qui un ribaltamento “ideologico” con la pretesa che a guidare la ricerca empirica, fatta di ipotesi, esperimenti, confutazioni parziali, raffinamenti, rivoluzioni, cambi di paradigma legati a vari fattori, siano idee slegate dalla scienza in quanto tale, che però si considera capace di conferire loro maggiore credibilità e affidabilità.

              In questo modo, invece, gli scientisti darwiniani negano la loro stessa fiducia nei risultati sempre perfettibili e rivedibili della scienza in base alla ricerca e alla discussione pubbliche e a tutti accessibili. E gli anti-darwiniani si creano dei falsi alleati, solo in apparenza disposti ad affiancarli nella difesa delle loro visioni del mondo, dato che, nel caso specifico, Piattelli Palmarini e Fodor non li seguiranno sul terreno del creazionismo o del disegno intelligente o di posizioni che patentemente non sono scientifiche.              Un solo esempio per mostrare come sia contraddittorio interpretare il darwinismo in quanto teoria scientifica pro o contro una propria opzione di valore. Chi sostiene il valore personale e culturale della religione rigetta le recenti letture delle credenze nel sovrannaturale come sottoprodotti male adattivi della selezione naturale che ha agito su alcuni specifici moduli della nostra mente. Questi stessi critici saranno probabilmente contrari a un’eccessiva medicalizzazione della depressione e a un’euforizzazione innaturale del tono dell’umore attraverso psicofarmaci. E ciò in nome del fatto che la depressione esprime una condizione autentica della persona di fronte a se stessa e al suo ambiente, che può stimolare a migliorare e a trovare nuove soluzioni, mentre gli “euforizzati” grazie alla chimica sono sostanzialmente dei disadattati. Si tratta proprio della posizione espressa dai propugnatori di una medicina rigorosamente darwiniana la quale ritiene, in ossequio al meccanismo della selezione naturale, che la depressione sia stata selezionata e sia sopravvissuta per una funzione specifica.              Discutiamo pure di tutto, quindi, ma con attenzione a non cadere in trappole o in forzature ideologiche. Ricordando che la scienza ha i suoi metodi, che i suoi risultati sono rivedibili ma non tutti uguali per affidabilità in ogni dato momento, e che posizioni metafisiche o legate a scelte di valore sono in genere indipendenti da quanto la ricerca empirica può affermare. Forzare un “compatibilismo” tra visioni del mondo e scienza attuale non pare una strada che porti lontano. Anche perché la scienza di domani potrebbe essere molto diversa da quella di oggi.             

Andrea Lavazza

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