Emarginazione sociale e povertà sono le caratteristiche di chi non ha una casa e una famiglia. Per loro il Natale rischia di essere un giorno come tanti altri, se non ci fossero i volontari.
del 21 dicembre 2009
 
Li vediamo subito. Sono lì, per strada, cenciosi con la testa affogata in un cassonetto in cerca di un brandello di rifiuto che li sostenga, di un tozzo di pane che li sfami, di uno straccio che li rivesta. I barboni sono l’icona di una società, che tende a escludere chi non riesce a stare al passo con un modello di vita improntato al successo. Sono vulnerabili perché non hanno risorse né personali né relazionali. Per dormire le loro coperte sono i cartoni, per tetto le stelle.
 
Essendo soggetti, che vivono ai margini della nostra società, sono il più delle volte compatiti, derisi, e vittime di violenze gratuite. La celebre figura, immortalata da Charlie Chaplin, “Charlot”, il vagabondo per antonomasia, al di là del romanticismo e della vena comica che suscita, in qualche modo ne interpreta la completa estraneità, l’evidente frattura dal corpo sociale, dal sistema di valori e comportamenti urbani generalmente condivisi, dai quali il barbone, si separa, non possedendo un lavoro, non abitando una casa, ed essendo privo ormai del tutto di quella dignità sociale che chiunque si conquista sul campo, quando perfettamente inserito nella società.
 
Solitudine e dolore esistenziali
Così destrutturato, e disumanizzato, il senza fissa dimora, viene privato di identità e dignità, sul piano umano e sociale, sino a essere etichettato, secondo uno stereotipo che lo vede sempre solo e derelitto, che si adatta, per sopravvivere, a “scegliere” uno stile di vita alternativo a quello istituzionalizzato, uno stile di vita che, drammaticamente, lo segrega in un abisso di solitudine e dolore esistenziali.
Nella cultura occidentale, chi è costretto a vivere con l’etichetta cucita addosso di senza fissa dimora, rappresenta la classica metafora per descrivere forme di povertà estreme, che si esprimono in genere nel fuggire volutamente il contesto sociale e nell’incapacità di far fronte ai bisogni quotidiani. Un’etichetta che viene di solito affibbiata a un’eterogeneità di individui che hanno in comune la grave pregiudiziale dell’emarginazione sociale: i malati psichici, i tossicodipendenti, gli alcolizzati, i disoccupati, i disabili, gli immigrati, i degradati dal punto di vista dell’igiene, dell’istruzione, del decoro.
A queste categorie di persone, per le quali la precarietà, il disagio, la povertà materiale ne costituiscono una costante distintiva, si aggiungono gli anziani soli, e persino uomini e donne che hanno vissuto l’esperienza amara dell’abbandono affettivo, dell’esclusione dalla compagine familiare, della separazione coniugale o del divorzio. Hanno come habitat l’asfalto delle strade, e – concedendoci un afflato romantico – per tetto le stelle. Una rete di solidarietà
Da parte della Chiesa e delle istituzioni, dei servizi sociali pubblici e privati, e del mondo del volontariato (Caritas in testa) si è creato a favore di questi ultimi una rete organizzata e presente sul territorio cittadino di solidarietà, che assicura un pasto caldo, un posto letto, un trattamento sanitario, addirittura un lavoro, se non una casa, o la possibilità di usufruire di mezzi come i giornali o le reti tv, che li aiuta a far riconoscere la loro dignità e sensibilizza l’opinione pubblica (basta citare periodici come “Scarp de’tenis” di Milano, “Piazza Grande” di Bologna, “Foglio di via” di Foggia, o l’emittente “Telestrada” di Catania). I senza fissa dimora hanno comunque dimostrato di sapersi adattare alla vita di strada, fatta di stenti e caratterizzata dalla frammentarietà della totalità delle cose. Tanto che recenti analisi sociologiche li hanno tipizzati come poveri “strong”, in grado di tradurre in risorse le loro stesse privazioni materiali.
Ma chi è il senza fissa dimora? Cosa lo rende tale? Anzitutto l’assenza di una residenza stabile; poi il fatto che per sopravvivere chiedono l’elemosina lungo la strada o alla porta delle parrocchie, e trascorrono la notte dentro l’automobile, su una panchina, sotto i portici, o nei pressi delle stazioni ferroviarie. I servizi sociali consentono ad essi un riparo temporaneo o periodico, come i dormitori pubblici e privati o gestiti da associazioni di volontariato, da cui possono, per legge, ricavarne anche una sorta di residenza anagrafica.
 
L’identità dei senza tetto
L’età media di un barbone si aggira intorno ai 40 anni. L’80% sono maschi adulti (il 70% ha meno di 48 anni). Alle spalle il vagabondo ha un vissuto di fallimento esistenziale, affettivo o economico. Il 10% dei senza fissa dimora è prostrato dal disagio psichico. Il 21% risulterebbe convivente o sposato. Dal punto di vista dell’istruzione: il 34% ha conseguito un diploma di scuola media inferiore, il 18% di scuola media superiore, il 4% una laurea universitaria. Il 37% dei senza fissa dimora sopravvive grazie all’accattonaggio, il 10% campa con la pensione. Sorprendentemente di lavoro saltuario e occasionale vive il 35% dei senza fissa dimora.
I dati Istat confermano che le famiglie in stato di povertà assoluta si aggirano intorno al milione, perciò 3.028.000 persone sono inquadrabili nella categoria dei senza fissa dimora. In questi ultimi anni l’attenzione verso i senza fissa dimora si è fatta più sensibile,se si fa riferimento alle potenzialità di assistenza che le strutture pubbliche e religiose offrono agli indigenti, tra cui oltre al senza fissa dimora si sono aggiunti gli immigrati extracomunitari, che non si sono ancora inseriti nella società, e famiglie di operai, piccoli imprenditori, artigiani, commercianti, pensionati, rovinati dal collasso economico contemporaneo, che tendono a rovistare tra i cassonetti della spazzatura, fanno la fila nei dormitori pubblici o presso le mense delle associazioni di volontariato.
Il VII Rapporto 2007 della Fondazione Zancan e della Caritas italiana sui senza fissa dimora si era aperto con questo interrogativo: «Rassegnarsi alla povertà?». Tra i relatori c’era chi sosteneva che, dato la situazione di conclamata crisi politica ed economica italiana, non rimane allora che togliere il punto interrogativo…
 
La testimonianza
Abbiamo posto alcune domande a un responsabile di un’associazione di volontariato torinese, che si occupa dell’assistenza ai senza fissa dimora, il presidente della Bartolomeo & C. Onlus (www.bartolomeo.net; www.liavaresio.it), Marco Gremo.
Barboni, clochard, senza fissa dimora, chi sono queste persone?
«Generalmente vengono individuate con queste espressioni, le persone senza dimora abituale, che vivono lungo le strade della città, nelle sale di attesa delle stazioni metropolitane o ferroviarie e nei parchi cittadini. È ovvio che in questa categoria si raggruppano diversi tipi di marginalità: persone con disagio psichico più o meno grave (spesso ex dimessi dagli ospedali psichiatrici); ex tossicodipendenti non più giovani e con varie problematiche d’inserimento sociale e, comunque, con dipendenze di diverso tipo – alcolisti , gioco ecc.; ex prostitute di basso rango con situazioni di depressione e prive di sostegno economico; transessuali, omosessuali con situazioni di instabilità affettiva, privi di riferimenti famigliari, e reduci di una vita di strada senza successi ne gratificazioni, con gravi conflitti di identità; pensionati poveri, che non riescono a far fronte alle prime necessità; giovani con problemi di lievi invalidità sia psichiche sia fisiche, che non riescono a inserirsi nel mondo del lavoro; persone di mezza età, che hanno perso il lavoro, la casa, la famiglia per vari motivi».
Cosa vuol dire il vostro nome?
«In nome del gruppo fu scelto nel 1979, in occasione di una ronda notturna, durante la quale, Lia Varesio (la fondatrice, recentemente scomparsa) e alcuni volontari trovarono morto per assideramento, sotto un cumulo di stracci e cartoni, Bartolomeo, un barbone che dormiva sulla strada in una zona del centro storico di Torino. Fu allora che venne presa definitivamente la decisione di dedicarsi alle persone come Bartolomeo, offrendo loro compagnia e accoglienza. Oggi lo facciamo anche in sintonia con altre associazioni e gli enti pubblici, le Asl e vari centri di assistenza. Cerchiamo di risolvere concretamente e in modo mirato le molteplici esigenze di natura sociale e sanitaria di questi soggetti sfortunati».
Che cos’è cambiato oggi rispetto al passato nell’universo dei barboni?
«Rispetto agli anni scorsi è raddoppiata la richiesta di viveri e prime necessità a causa dell’aumento della disoccupazione. I tagli della spesa pubblica sull’assistenza e sulle erogazioni dei servizi hanno determinato un aumento delle persone che si rivolgono alle associazioni di volontariato per aiuti diretti e immediati sulle emergenze».
Che cosa fate per loro?
«Il tipo d’intervento verso i nostri assistiti consiste in una gamma di servizi, come la realizzazione di progetti lavoro, l’elargizione di sussidi, l’organizzazione di cene e gite, il trattamento sanitario, la ricerca di alloggiamenti per ospitare provvisoriamente o anche definitivamente coloro che si rivolgono a noi, la distribuzione di abbigliamento e ci preoccupiamo di fornire loro documenti, biglietti ferroviari, buoni doccia ecc.».
Chi può fare il volontario?
«Ruolo essenziale dei volontari è il contatto diretto con l’utenza mediante l’ascolto e la condivisione delle problematiche dei disagiati sia presso il centro di accoglienza di Via Camerana, nel dormitorio di Via Saluzzo (Il Bivacco), sia presso le residenze di alcuni di loro in piccolissime unità immobiliari di tipo popolare, messe a disposizione dagli enti preposti, quali per esempio il Comune, ecc. I nostri volontari devono avere un’età superiore ai 21 anni; dimostrare costanza nell’impegno ed essere mossi da una motivazione di fondo. Chiediamo loro la disponibilità temporale di 1 giovedì ogni 15 giorni, e il sabato pomeriggio per iniziare il contatto con l’utenza, seguiti da un volontario esperto referente».
Il senza fissa dimora: un cittadino di serie B, dimenticato dalle istituzioni?
«Il problema dei senza dimora è, in primo luogo, che spesso non hanno voce, non sono rappresentati da nessun partito politico e quindi, a volte, proprio dimenticati da tutti… È il nostro ruolo, quello dei volontari, di dare una voce e gridare per loro, e aiutarli a rialzarsi e acquistare una nuova dignità. Questo non vuol dire che le istituzioni non fanno nulla, ma spetta a noi porre in evidenza le situazioni più gravi e invitare gli enti a farsi carico delle situazioni che spesso per la burocrazia e le difficoltà di bilancio non riescono a soddisfare integralmente».
Nicola Di Mauro
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