Noi non siamo operatori sociali, siamo evangelizzatori. Harambée è un evento missionario, noi non siamo operatori sociali, anche se molto del vostro lavoro si svolge nel campo della promozione umana e dell'educazione; le vostre motivazioni più intime, sono religiose e gli altri devono vedere e sperimentare in noi la tenerezza di Dio che si avvicina per dare un po' di sollievo.
del 16 ottobre 2006
 
Buongiorno! ……….
Volevo solamente verificare se eravate assopiti o svegli…
 
Sono lieto di aver udito il resoconto di quello che avete fatto ieri, anche perché l’Harambée ha veramente senso nella misura in cui viene raccolta l’esperienza di volontariato, o missionaria, che state svolgendo, affinché diventi uno stimolo sia per i più piccoli di voi, sia per tutti quelli di voi che ancora non hanno avuto o la possibilità o il coraggio di intraprendere una esperienza di questo tipo e, al tempo stesso, concorra a rinsaldare quella che dovrebbe essere una scelta di vita.
 
In un’altro incontro come questo avevo già detto che il volontariato di per sé non è un progetto di vita: il volontariato è un mezzo per maturare progetti di vita. Penso quindi importante che il volontariato aiuti a capire quale potrebbe essere il nostro progetto di vita al servizio della Chiesa e della società.
 
Oggi ci troviamo qui, prima, per questo incontro, e poi parteciperemo insieme all’Eucaristia, in cui si darà l’avvio alla 137.ma spedizione missionaria. Vogliamo accompagnare con la nostra preghiera i nostri confratelli e le nostre consorelle missionari e i volontari che saranno inviati, perché sappiamo quanto a volte sia difficile lo svolgimento della missione nei diversi posti dove ci troviamo a operare.
 
Il tema che è stato proposto per questo Harambèe lo leggete qui sul manifesto ed è “Promuovere la vita: missione del cristiano”. Il 13 gennaio del 2005, circa quattro mesi prima della sua morte, Giovanni Paolo II, parlando quasi da grande statista al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, presentò la sua visione del mondo sintetizzandola in quattro parole: pane, pace, vita e libertà. Se si considerano queste quattro parole, si vede che esse, in fondo, racchiudono i diritti fondamentali di qualsiasi persona umana; perciò non si dovrebbe pensare a questo discorso al Corpo diplomatico come ad un discorso di tipo confessionale, rivolto esclusivamente ai credenti, assolutamente no, perché qui stiamo parlando dei diritti fondamentali di ogni persona umana; da questo discorso ognuno dovrebbe sentirsi direttamente interpellato.
 
Queste quattro parole, per non diventare retorica e vuota fraseologia, il Papa le ha subito riempite di significato e di tutti quegli elementi che lo portavano ad affermare che era attorno ad esse che si sintetizzava la sua visione del mondo.
 
Prima di tutto il pane, perché non è giustificabile che ci siano milioni e milioni di uomini e donne che muoiono di fame all’inizio di questo XXI secolo, quando abbiamo tutte le possibilità tecnologiche per coltivare la terra, per servire la tavola della umanità a tutti gli uomini e alle donne del mondo. Ma nel frattempo ci sono milioni e milioni di persone che muoiono di fame ogni anno. Allora, bisogna parlare per prima cosa del pane per dire che oggi l’umanità si trova davanti a una grossa sfida, certo…
 
La seconda parola è la parola ‘pace’. Voi tutti avete visto che, mentre si parlava della guerra in Iraq, si è parlato tanto della guerra tra Israele e Hezbollah e, di tanto in tanto, si è fatto anche qualche accenno a quanto sta avvenendo in Afghanistan. Tutto qui. Attenti però che le guerre in corso sono 35, ma non se ne parla: è come se non esistessero Io sono appena tornato dalla Costa d’Avorio: la Costa d’Avorio è divisa tra il nord e il sud, sono praticamente due paesi; basta anche andare nel Sudan e nel Darfur, malgrado tutti gli accordi ONU che sono stati fatti. Per costruire un mondo che finalmente scommetta sulla pace non si può andare avanti senza fare niente; sovente, davanti a Corpi accreditati e a politici, quindi non soltanto ai giovani, ai confratelli o ai membri della famiglia salesiana, dico e ripeto continuamente che la guerra non serve a nessuno se non ai trafficanti di armi. Per il resto non produce che morte, distruzione e una immane sofferenza e non fa altro che destare le peggiori energie che si possono trovare nelle persone, che si riempiono di rammarico, di rancore e di desiderio di vendetta. La guerra non fa altro che far regredire l’economia e la democrazia.
 
Non si può quindi stare senza fare nulla per costruire finalmente un mondo che scommetta sulla pace.
 
La terza parola che il santo Padre ha detto è stata ‘vita’. La vita che è minacciata dal momento della concezione fino al momento della sua conclusione finale e questo succede non soltanto a causa di una politica abortista che ha indotto il Santo Padre a pronunciare delle parole molto dure. Giovanni Paolo II si è azzardato a paragonare tutto questo all’olocausto, perché sono milioni di persone che vengono eliminate all’inizio della loro vita. Il Papa è persino arrivato a dire: “Non è il caso di Caino che uccide Abele. Qui ci troviamo davanti a un problema di dimensioni globali, di una morte che è premeditata”. Noi quindi non possiamo stare lì a non fare nulla e a non difendere la vita. C’è inoltre un seguito a tutto questo, c’è la manipolazione genetica e voi sapete quanto sta accadendo.
 
Per quanto mi riguarda come salesiano, il senso della vita e il problema dei giovani non è tanto dato dai milioni di ragazzi che vengono intrappolati nel consumo degli stupefacenti, nel traffico della droga, nell’alcol, nella confusione sessuale, ma è dato soprattutto da quella concezione per la quale la vita viene ridotta soltanto al ciclo di nascere, crescere, riprodursi e morire.
 
Questa però non è la vita, ma è la mancanza del senso della vita. Il vero problema è quello di non avere il coraggio di fare dei progetti di vita, è quello di vivere racchiusi in un presentismo, secondo cui basta vivere oggi perché domani chissà. Di fatto è una visione egoista. Infine esiste il fenomeno che oggi sta diventando sempre più diffuso nei paesi dell’Europa occidentale: la morte assistita, un eufemismo per dire l’eutanasia.
 
Allora, quando il Santo Padre parla della vita come un problema, lancia una sfida molto grande. Io ho già proposto fin d’ora che l’obbiettivo dell’anno 2007 sia proprio questo: promuovere la vita, difendere la vita, cercare di aiutare i giovani a trovare il senso della vita, aiutare i giovani a fare progetti di vita; in sintesi, a scommettere sulla vita. E qui ci troviamo di fronte ad una terza grande sfida.
 
E infine la quarta parola: ‘libertà’. Libertà fisica di potersi muovere, per andare dove si vuole, e mancanza di libertà in quei paesi ancora totalitari in cui non c’è la possibilità di fare nessun tipo di scelta; in Europa, infine, sta diventando sempre più pressante il tema della libertà religiosa.
 
Sembra che la Chiesa dovrà essere confinata sempre di più, tanto che si arriva a dire con una grande ipocrisia: “Voi potete credere qualsiasi cosa, però la vostra fede non ha niente a che vedere col tessuto sociale, con la vita politica”. Una fede, quindi, ad usum privatum, una fede che non ha delle manifestazioni sociali. Ma questa è mancanza di libertà. A questo punto sembra che l’ultimo pregiudizio sia quello di essere anticattolico.
 
Della Chiesa, del Santo Padre, si può dire qualsiasi cosa, tutti quanti possono dire delle stupidaggini, ma guai a te se dici qualcosa dell’Islam; sembra anzi che oggi essere umanista debba significare essere anticristiani, perché essere cristiano e essere umanista sembrerebbero essere due cose che si escludono a vicenda. Quale libertà religiosa è quella in cui ti dicono che puoi credere, però la tua fede non interessa niente, che è soltanto per tuo uso e consumo? Questo non è un rispetto di quello che dovrebbe essere un sano laicismo, un sano multiculturalismo, una sana multi-pluriconfessionalità, che dovrebbe garantire la possibilità della propria espressione religiosa. Per questo, a volte, quando sentiamo delle parole come ‘pane, pace, libertà, vita’ siamo portati a dire “va bene, è retorica”. State attenti, perché in gioco c’è tanto. Fin qui vi ho voluto ricordare la missione che Giovanni Paolo II aveva prima di morire e che ci lascia, in qualche modo, come sua eredità.
 
In questo momento vorrei invece accennare al tema della vita, perché questo è stato il tema che ho proposto per questa Harambèe. Mi piace, prima di tutto, quanto sta facendo in tutto il mondo la Famiglia Salesiana per cercare di promuovere una cultura della vita, che possa rispondere a questa anticultura della morte che si sta imponendo. Mi  piace, per esempio, aver visto come, davanti allo   tsunami, che ha devastato alcuni dei paesi del sud-est asiatico, sia seguito uno tsunami di una immensa solidarietà. Mi piace sapere che, immediatamente dopo il grande terremoto che ha devastato il sud del Pakistan, tutte le nostre agenzie si sono date da fare per cercare di attutire i grandi problemi che si sono creati, e sentite i nostri vescovi, quelli che per esempio stanno lavorando nella Tailandia, nella Sri Lanka, nella costa orientale dell’India. Una volta passata la notizia, gli stati si dimenticano; quelli che stanno lì, che continuano a cercare di ricostruire, di dare un po’ di speranza nel futuro sono i religiosi; quello che noi non facciamo, non lo farà nessuno. Sono lieto che, davanti ad attentati, incendi e guerre, la Famiglia salesiana stia rispondendo con molta generosità.
 
Ho parlato agli ex allievi radunati in Italia e non mi sono stancato di dire: “Noi dobbiamo cambiare, dobbiamo cercare di capire meglio don Bosco”. Don Bosco, prima di fondare la congregazione voleva  un immenso movimento di persone che condividesse la sua passione per la salvezza dei giovani. Come Famiglia Salesiana stiamo crescendo, perché ci sono 23 gruppi; sta bene, però non abbiamo la forza di un movimento e ciascun gruppo marcia per conto suo. Che cosa stiamo facendo per esempio in Africa per poter far fronte comune contro l’AIDS? Da quanto ne sappiamo, nel 2015 avrà portato via 40 milioni di africani e avrà lasciato una sequela da 5 a 10 milioni di orfani, che resteranno così allo sbaraglio se non ci saranno vere opportunità di sviluppo, se non ci saranno alternative. Ricordo che subito dopo lo tsunami nello Sri Lanka, ci sono state autorità civili a chiedere ai salesiani di prendere cura delle migliaia di bambini che erano rimasti orfani, perché altrimenti sarebbero stati preda della guerriglia. Quindi, se noi non abbiamo una maggiore visibilità come movimento salesiano, se non abbiamo più credibilità e più efficacia, non riusciamo a fare granché. Perciò a me interessa un raduno come questo perché è veramente il momento di promuovere una visione insieme della realtà, per poter fare alcune scelte insieme, e farle diventare progetti operativi. Quanto sto dicendo va bene per il 2006, ma io vorrei sapere in che cosa si impegnerà veramente la Famiglia Salesiana nel 2007.
 
C’è un’espressione bellissima tratta dal Libro della sapienza in cui Dio viene definito ‘filópsikhos’, amante delle vita (Sab 11,26).  Credere a questo Dio comporta amare la vita, difenderla, promuoverla. Quindi non è possibile che io, che credo in un Dio filópsikhos, non ami la vita io stesso, non creda nella vita, non promuova la vita e non la difenda, non educhi alla vita. Non ha senso credere a un Dio filópsikhos e avere al tempo stesso una tendenza necrofila. Il nostro Dio è amante della vita; perfino Gesù riassume tutta la sua missione in questa frase: sono venuto perché voi abbiate vita in abbondanza.
 
Dicevo che sono veramente lieto di quanto stiamo facendo come salesiani, non soltanto nelle situazioni di emergenza, perché il nostro modo di promuovere la vita si realizza soprattutto con la scuola e i centri di formazione professionale: promuovono veramente la vita nella misura in cui educano e preparano i giovani al futuro.
 
I giovani sono il futuro della società e io li voglio felici, cioè sicuri, capaci di inserirsi nel tessuto sociale in una forma efficace; anzi li voglio felici in cielo, in paradiso, sempre. Perciò la Famiglia Salesiana ha un sacco di lavoro attraverso le missioni, dove si difende e si promuove in modo integrale la vita. Dobbiamo pensare, per esempio, a tutti i confratelli, le consorelle e i volontari che lavorano nel campo della medicina alternativa, che lavorano nella creazione della difesa tra i popoli indigeni, nella costituzione della federazione dei popoli indigeni, nella difesa delle loro lingua, dei loro territori. Questo vuol dire promuovere la vita. Perciò dicevo che dobbiamo dare contenuto se non vogliamo scivolare nella retorica politica che serve a niente.
 
Nel caso vostro c’è una opportunità molto grande: attraverso il volontariato sociale in Italia, nei diversi gruppi dove voi lavorate come animatori, accompagnando i ragazzi in estate a fare esperienze, il volontariato missionario, potete fare tanto per promuovere la vita. Sono stato molto contento adesso che sono stato nell’Angola, perché lì ho trovato una visitatoria africana in cui la scelta del lavorare nel volontariato non dipende da un salesiano sensibile al lavoro dei laici o dei volontari; no, lì abbiamo una istituzione che, in quanto tale, ha fatto la scelta del volontariato. Mi è piaciuto che, un giorno che ho fatto un ritiro per i salesiani e le figlie di Maria Ausiliatrice, l’Ispettore mi abbia detto che voleva che partecipassero anche i volontari che da anni sono impegnati. E’ stato bello vedere una famiglia argentina, marito, moglie con i loro bambini, che è lì da ben due anni, tutti quanti coinvolti: questo vuol dire essere credenti in Dio amante della vita, che vuole quindi collaboratori per creare una cultura della vita.
 
Che cosa fare? Cosa vi propongo per questo anno come movimento giovanile salesiano attorno al volontariato, attorno all’Harambèe?
 
Prima di tutto difendere la vita. È urgente difendere il valore sacro e inviolabile di ogni vita umana. Mi auguro che la formazione della nostra coscienza sia tale da non farci cedere facilmente alle politiche e ai tentativi abortisti’. Non so se avete sentito qualche volta la frase di Madre Teresa di Calcutta: “Se non volete quel bambino, datelo a me” e questa frase l’ha gridata all’ONU, proprio per dire “basta! Dovete fermare queste politiche”. Sto venendo adesso dal Cile. Il grosso problema è che alle ragazze di 14 anni si può dare liberamente la pillola del giorno dopo; e la cosa più interessante è che, dopo avermi fatto un’intervista di circa un’ora sui temi educativi e su tutte le vicende del mondo, sono usciti dei gran titoli tipo “Il Rettor Maggiore è contro la pillola”. Io invece avevo detto che è importante cambiare il nostro comportamento, altrimenti si ottengono effetti contrari a quanto sperato. Andiamo in Africa, per esempio, e guardiamo a cosa serve la politica di distribuire semplicemente i profilattici; serve a niente. Se noi non aiutiamo attraverso l’educazione a promuovere davvero la vita, è inutile. Noi abbiamo tanto da offrire, però dobbiamo lavorare come un grande movimento.
 
E’ importante promuovere nei giovani un atteggiamento positivo verso la vita; “la vita è bella” diceva don Bosco molto prima che Roberto Benigni facesse quel film. La vita è bella, però come lo dici a un bambino che è stato sfruttato nel turismo sessuale? Come lo dici a un bambino della strada che ha dovuto scegliere la strada perché non si sente accolto a casa? Come dici agli adolescenti soldato che la vita è bella? Mentre parlavo nel Benin con un gruppo di ragazzi di strada, che avevo raccolto accanto a me, un bambino mi ha dato questo rosario che voi vedete. Mentre me lo metteva in mano, mi chiedeva una benedizione e mi ha detto: “È un regalo per te”. E io ho detto agli animatori e agli educatori: “Vedete, quando un ragazzo vi dice ‘grazie’, in quel momento ha aperto la porta del cuore. In quel momento comincia il lavoro di ricostruzione”. Allora, cosa diceva don Bosco ai suoi ragazzi dell’oratorio? “La vita è bella, ma per educare i giovani ad avere una visione positiva della vita, dovete imparare a trovare quanto c’è di buono, di bello, di vero in voi stessi, nelle vostre famiglie, nella vostra scuola, nella vostra città, in Italia, nel mondo”. Non tutto è cattivo, non tutto è falso, non tutto è brutto. Bisogna educare ad una visione positiva della vita; educare non vuol dire solamente ripetere delle frasi, ma vuol dire cercare di sviluppare quei valori che aiutano ad avere una visione positiva della vita.
 
Che cosa è necessario? E’ necessario promuovere il senso di gratitudine verso Dio, che è l’autore della vita. Guardate cosa dice ancora una volta il Papa Ratzinger: “Se continuiamo ad andare avanti con questo tentativo di produrre la vita in laboratorio, la vita non sarà più un dono, sarà un prodotto di laboratorio”. E questa sarà la fine, perché se uno non sente un dovere di riconoscenza verso nessuno per il dono della vita, la vivrà sempre di più in forma egoistica, ancora di più di quanto non facciamo oggi.
 
Perché don Bosco voleva che la sua scuola fosse gratuita? Perché diceva che i genitori e i ragazzi non dovevano dire che pagavano l’educazione. Le cose più preziose non hanno un prezzo. Infatti, come posso pagare per essere quello che sono come persona? E’ importante quindi sviluppare il senso di gratitudine verso chi ce l’ha donata e la vita è un dono di Dio.
 
A me è piaciuta la preghiera che abbiamo fatto oggi, proprio perché tende a sviluppare questo senso di gratitudine. A proposito di quel bambino, dicevo “una volta che ti fa un regalo, lui ha già aperto la porta del cuore”; e, quando questo succede, si può cominciare la ricostruzione persino di un ragazzo di strada o di un ragazzo che è stato sfruttato nel turismo sessuale.
 
Di cosa abbiamo bisogno? Di promuovere una visione integrale della vita fondata sul ben-essere, non sul ben-avere. Non è accumulando cose, soldi… Questo significa andare contro corrente perché il modello sociale ci dice che la grandezza della persona dipende da quanto riesce ad avere, non ad essere.
 
Cosa vorrei da voi? Che facessimo tutti una scelta libera del senso della vita, scommettendo soprattutto per i più poveri, per i più emarginati, per gli esclusi, per quelli che la società di consumo considera come qualcosa che non è capace di inserirsi nel tessuto sociale. Che sviluppassimo una sensibilità per i più poveri e i più bisognosi. Mi è piaciuto che ieri sul manifesto degli ex allievi ci fosse una frase che apprezzo molto: “Dare sempre di più a coloro che hanno ricevuto di meno”; a coloro a cui la vita ha dato meno, perché questo è stato il criterio con cui don Bosco ha agito, e guardate che don Bosco, per coloro a cui la vita ha dato di meno, voleva il meglio. A Luanda, in quella bidonville che copre gran parte della città, c’è la scuola di don Bosco, un edificio di cinque piani; i salesiani sono riusciti a fare quello che non è riuscito a fare il governo. Non è un scuola per i ragazzi delle famiglie agiate, è una scuola per i più poveri, perché don Bosco voleva dare il meglio a coloro che avevano ricevuto di meno, proprio per aiutarli a sviluppare tutte le loro potenzialità.
 
Che cosa potete fare? Diventare guida dei vostri compagni per trovare il senso della vita e per fare progetti di vita. C’è un senso di solitudine molto grande negli adolescenti. Il 22 maggio sono venuti salesiani, educatori e studenti dal collegio Pio XI alla casa generalizia a prendermi per portarmi alla scuola per passare una giornata completa da loro. E durante il tragitto i ragazzi mi hanno domandato quale era la differenza tra il tempo in cui io ero un ragazzo come loro e il tempo attuale. Ho risposto: “Forse noi eravamo molto più poveri, e non avevamo tante possibilità, ma eravamo molto più felici di voi; voi vivete in una grande solitudine”. I ragazzi hanno cominciato a chiedere perché dicessi questo e io ho risposto: “Io vorrei saper quando avete parlato con la vostra mamma o il vostro papà” e nessuno diceva niente. I genitori li lasciano fare, invece di parlare danno dei soldi. Quando hanno sentito questo, i ragazzi hanno detto: “Lei ci ha detto una grande cosa, viviamo in una grande solitudine”. Un grande dono che oggi possiamo fare agli adolescenti e ai giovani è quello di diventare loro compagni di vita; è l’unico modo per aiutarli a trovare il senso della loro vita e a fare progetti di vita. Possiamo educarli alla vita, e questo vuol dire la necessità che genitori, catechisti ed educatori siano maestri di vita per le nuove generazioni. Dobbiamo riscoprire il valore della testimonianza, il chè vuol dire un approccio positivo e gioioso alla vita.
 
Bisogna capire la vita come vocazione, non come semplice ciclo vitale del nascere, crescere, riprodursi e morire. Dietro ogni vita c’è una vocazione e una missione da svolgere.
 
Concludo ripetendo: che cosa possiamo fare? Dobbiamo portare i giovani a Cristo che è la sorgente della vita. Dobbiamo avere una presenza più esplicitamente evangelizzatrice; l’unico che potrà garantire ai giovani la pienezza di vita è Gesù, non siamo noi. Quindi, quando il Papa Benedetto XVI, parlando ai due milioni di persone radunate nella Marienplatz di Colonia per la Giornata mondiale della gioventù, ha detto “voi avete diritto alla felicità, avete diritto alla vita, avete diritto alla morte”, voleva dire “dovete incontrare il Cristo, perché è l’unico che vi potrà garantire una pienezza di vita, una piena felicità e amore per sempre”.
 
Noi non siamo operatori sociali, siamo evangelizzatori. Harambée è un evento missionario, noi non siamo operatori sociali, anche se molto del vostro lavoro si svolge nel campo della promozione umana e dell’educazione; le vostre motivazioni più intime, sono religiose e gli altri devono vedere e sperimentare in noi la tenerezza di Dio che si avvicina per dare un po’ di sollievo.
 
Io mi auguro che voi, quando alla fine oggi riceverete questo braccialetto, lo porterete come l’impegno di quest’anno a testimoniare che promuovere la vita è la missione del cristiano. Non dimenticate che noi crediamo a un Dio filópsikhos, amante della vita e i Suoi credenti diventano cultori della vita e costruttori di una cultura della vita.
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