Quest'anno in occasione della Strenna 2010 “Vogliamo vedere Gesù”, l'Harambée ha come tema il portare Cristo e il suo Vangelo: in effetti non c'è notizia più bella da dare ai giovani. Sono stato sempre molto fortunato nella mia vita, ma in particolare quest'anno. Nel mese di febbraio sono andato in India e visitando l'Ispettoria di Chennai...
del 19 ottobre 2009
Harambée 2009 Torino
Teatro di Valdocco
27 settembre ’09
 
DISCORSO DEL RETTOR MAGGIORE DEI SALESIANI
don PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA
 
“Veramente non c’è niente di più bello che incontrare e comunicare Cristo a tutti”
 
Buon giorno! Prima di tutto vorrei dare il benvenuto alla Madre Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Madre Yvonne Reungoat, che per la prima volta partecipa all’Harambèe. Ne sono molto lieto perché ha fatto un grande sforzo per essere presente: sta facendo una visita in Portogallo e l’ha interrotta soltanto per unirsi a noi in questo incontro con gli Animatori Missionari e nella Messa di invio della 140° spedizione missionaria. La ringrazio molto. Sono presenti due Consiglieri per le Missioni, don Vaklav Klement e sr. Alaíde Deretti, l’Ispettrice nuova del Piemonte sr. Angela Schiavi, l’Ispettore dell’Austria don Rudolf Osanger e ora vedo entrare l’Ispettore di Milano don Agostino Sosio, accompagnato da don Vladimir Fekete già Ispettore slovacco e adesso missionario e don Ferdinando Colombo.
 
Quest’anno in occasione della Strenna 2010 “Vogliamo vedere Gesù”, l’Harambée ha come tema il portare Cristo e il suo Vangelo: in effetti non c’è notizia più bella da dare ai giovani. Sono stato sempre molto fortunato nella mia vita, ma in particolare quest’anno. Nel mese di febbraio sono andato in India e visitando l’Ispettoria di Chennai ho pregato presso la tomba di san Tommaso apostolo, colui che ha portato il Vangelo in India. In India i cattolici sono solo il 2% della popolazione, ma per quanto riguarda noi Salesiani è la Regione che ha il maggior numero di sdb: ci sono più di 2500 sdb, ha già superato l’Italia. Stando presso la tomba di san Tommaso cercavo di mettermi nei suoi panni, quando avendo visto la forma in cui Gesù era morto, appeso ad una croce, riceve la notizia dagli altri Apostoli che Gesù era risorto, era vivo. Voi conoscete bene la sua risposta, potrebbe essere anche la nostra: “Se non vedo e non metto la mia mano nel suo costato e il dito nelle sue mani, forati dai chiodi, non crederò”. Eppure, una volta che Gesù si presenta davanti a lui san Tommaso fa la professione di fede più completa: “Mio Signore e mio Dio!” Davanti alla sua tomba, ecco che allora dicevo a san Tommaso: “Sto già pensando alla Strenna del 2010 e ho bisogno che l’intera famiglia salesiana e anche i giovani abbiano un cuore di apostolo: aiutaci a superare i nostri dubbi e le nostre incertezze, in modo da poter confessare con te “mio Signore e mio Dio” e annunciarlo in tutto il mondo, perché non c’è notizia più bella di questa”.
 
A fine giugno con tutto il Consiglio Generale sono andato a fare un pellegrinaggio sulle orme di san Paolo. Abbiamo iniziato da Damasco, dove il Signore rovesciò completamente la vita di quest’uomo che arrivò a dire di non volere sapere nient’altro che Gesù, e questi Crocifisso. Da quel momento per san Paolo sembra infatti che non ci sia al mondo nient’altro che Gesù. Il nostro pellegrinaggio ci ha portati, tra altri luoghi, anche ad Antiochia, dove in una grotta si radunavano i seguaci di Gesù. Lì, per prima volta, essi sono stati chiamati cristiani, e sono stati scelti Paolo e Barnaba per intraprendere il primo viaggio missionario. Siamo stati ad Atene, nella piazza dove Paolo disse agli Ateniesi: “Voi adorate colui che non conoscete, ecco, io vengo ad annunciarvelo”. In quell’occasione ho espresso anche a san Paolo, come avevo già fatto con san Tommaso, il grande desiderio di avere un cuore apostolico come il suo.
 
La grandezza di san Paolo consiste in 4 cose, per noi oggi importantissime. Prima di tutto, per Paolo non c’era niente nel mondo paragonabile alla persona di Gesù che era tutto per lui. Questo amore per Gesù aveva cambiato completamente la sua vita e lo aveva lanciato verso traguardi incommensurabili.
 
La sua seconda grande convinzione, collegata a questo amore totalizzante per Cristo, è la certezza di essere nato per evangelizzare. Lui sente che la sua vita aveva senso solo se evangelizzava, se portava Cristo agli altri. Lo dice espressamente: “Guai a me se non evangelizzassi!”: sarebbe stato un fallimento totale. L’evangelizzazione non è un supplemento, un’attività che si aggiunge al nostro impegno sociale contro l’ingiustizia e la povertà. Io dico sempre ai miei confratelli che se realizziamo tante attività ma non diamo Cristo, diamo pochissimo alle persone. Talvolta facciamo un lavoro da antropologi ad esempio, difendendo le etnie, o da promotori sociali, nella lotta contro la povertà. Tutto questo va bene, ma questo non significa evangelizzare, né ci accredita come apostoli. Evangelizzare significa dare Gesù, portarlo alle persone come l’unico che può rispondere alle attese più profonde dell’essere umano. Naturalmente, l’evangelizzazione va accompagnata dalla promozione umana e dal nostro impegno sociale, ma non si riduce a questo.
 
La terza convinzione di Paolo è la necessità di accompagnare l’evangelizzazione con la dedizione a costruire la Chiesa: non si possono portare le persone, i giovani a Cristo senza la Chiesa. La Chiesa è la comunità di credenti che ha Cristo come capo, Maria come madre, come anima lo Spirito Santo, che poggia su 12 colonne che sono gli Apostoli ed è formata da una schiera infinita di uomini, donne, consacrati, non consacrati, martiri, vergini, santi. E lì che Cristo è riconosciuto come Signore, è lì che si confessa Cristo vivo e operante in mezzo a noi e che si fa memoria delle sue parole, è lì che si conosce cosa lui oggi vuole da noi suoi discepoli, è lì che maturiamo.
 
La quarta convinzione di Paolo era il sapere che l’amore appassionato per Gesù, la dedizione completa per l’evangelizzazione, l’impegno per l’edificazione della Chiesa sono inseparabili dalla croce. Noi siamo invitati ad una identificazione totale con Gesù, come ci dice l’Apostolo: “Facciamo nostri i sentimenti di Cristo Gesù” che “si svuotò completamente fino all’estremo della morte in croce”. In altro testo dirà: “Porto nel mio corpo le stimmate del mio Signore”. La croce è inseparabile dall’amore per Gesù, è inseparabile dalla dedizione per l’evangelizzazione e dall’impegno per la costruzione della Chiesa.
 
Adesso capite perché durante il pellegrinaggio chiedevo a Paolo di farci la grazia di fare nostre queste sue quattro grandi convinzioni. L’ho ripetuto anche recentemente, un mese fa, quando ho fatto il cammino di Santiago, celebrando la Messa proprio davanti alla tomba dell’apostolo. Gli dicevo: “Ecco, tu eri uno Zelota, con un concetto nazionalista di liberazione finché non incontrasti Gesù e dietro la sua sequela cominciasti a cambiare fino a dedicare la tua vita ad annunciarlo a tutti: come vorrei davvero vivere un simile cambiamento di mente, fino a diventare apostolo!” Sono dunque lieto che il VIS, i Dicasteri per le Missioni siano oggi orientati all’impegno più importante: l’evangelizzazione, inseparabile dalla lotta per la promozione umana. Che cosa è dunque evangelizzare?
 
Evangelizzare significa proporre a tutti la vita come l’ha vissuta Gesù. Partendo dunque dall’annuncio di Gesù l’evangelizzazione deve prima di tutto invitare alla conversione, ad un cambio cioè di mentalità. Mi ricordo che un vescovo del Messico durante la conferenza episcopale a Medellin disse che la grande maggioranza della popolazione dell’America Latina era battezzata ma non evangelizzata. Una cosa infatti è sottoporsi ad un rito, un’altra è compiere un’autentica conversione, una autentica rivoluzione culturale nella propria forma di pensare, di vedere le cose. È questo ciò di cui oggi c’è bisogno. Evangelizzare significa tutto questo.
 
Non significa dunque fare proselitismo, ma instillare nel quotidiano un lievito che sprigiona un’energia tale da cambiare il cuore e la mentalità delle persone e attraverso questo le strutture sociali. Ogni cristiano in virtù del battesimo ricevuto è chiamato ad essere evangelizzatore e tutti noi qui presenti - non solo i missionari che partiranno in missione - siamo chiamati prima di tutto ad essere discepoli che accolgono con entusiasmo il Vangelo e poi a diventare apostoli che trasmettono con passione e con gioia la buona novella. Vorrei spiegare meglio la differenza tra essere discepoli e essere apostoli: non si può essere apostolo se non si è prima discepoli. Essere discepoli significa imparare a stare con Gesù, conoscerlo in profondità, entrare in amicizia con lui.
 
Non si tratta di andare a fare delle cose: è interessante che nel Vangelo solo una volta si dice che Gesù mandò i suoi a predicare, per il resto li ha tenuti con lui cercando di formarli e istruirli tanto da dire “Non vi chiamo servi, ma amici” e ancora “Io sono la vite, voi i tralci”. Un tralcio separato dalla vite è condannato alla sterilità, non ha frutto né futuro. Ecco allora che solo dopo aver imparato ad essere discepoli possiamo diventare apostoli ardenti, capaci di sentire l’urgenza di portare il Vangelo. Per evangelizzare c’è bisogno di persone capaci di percepire nel cuore della gente, nelle loro gioie e paure, il desiderio - non sempre esplicito - di incontrare Gesù.
 
Mi riferisco particolarmente alla situazione dei giovani: l’evangelizzazione dei giovani deve partire dalla situazione concreta in cui il giovane si trova, con una attenzione particolare alla cultura giovanile. Spesso i valori della soggettività, della autoreferenzialità, il pensare solo a se stessi, portano i giovani a raggrupparsi tra coetanei e ad allontanarsi dal mondo degli adulti: occorre allora imparare ad ascoltare il grido dei giovani che, implicito o esplicito, dice: “Vogliamo vedere Gesù”.
 
Per far vedere Gesù ai giovani, dicevo prima, bisogna prima imparare a conoscerlo, vivere con lui, imparare ad essere dei suoi: non si può essere testimoni, primo, e apostoli, secondo, se non si è suoi discepoli. Cosa serve oggi per evangelizzare i giovani? Innanzitutto serve superare alcuni ostacoli. Il primo è la disinformazione: oggi non soltanto si parla poco di Gesù ma soprattutto si cerca di farlo sparire dalla cultura. Farlo sparire dall’organizzazione sociale e dalla coscienza personale, in modo da agire come se Dio non esistesse. Il secondo ostacolo è una visione soggettivistica di Gesù, che viene privato della sua reale storicità e diventa un Cristo a nostra misura. Gesù stesso domandò: “Chi dite che io sia?” E ognuno rispose in modo diverso. C’è una visione molto soggettivistica della figura di Gesù e dunque per evangelizzare come prima cosa dobbiamo partire dalla storia: senza la sua storicità, Gesù o è un mito o una ideologia. Occorre presentare Gesù dalla sua radice storica, poi corrisponde alla fede dare la sua risposta, perché questa è una scelta personale.
 
È vero che i Vangeli, che sono la principale fonte per conoscere Gesù, sono scritti da credenti quindi non sono asettici e non vogliono dare informazioni bensì provocare la fede (ad es. il Vangelo di Marco, il primo Vangelo, inizia con una chiara professione di fede e l’ultimo Vangelo, quello di Giovanni, si conclude con lo scopo dichiarato di suscitare la fede), ma questo non toglie che essi narrino avvenimenti storici. Occorre presentare ai giovani un Gesù storico, anche se viene presentato da persone credenti. Il terzo ostacolo nella nostra evangelizzazione dei giovani è dato dal tentativo, sempre più frequente, di ridurre Gesù a un maestro di spiritualità o a un fondatore di una religione, al pari di Maometto o di Buddha. Ma così non c’è più bisogno di ricorrere a lui per ottenere la salvezza! Con il pretesto del dialogo interreligioso e del rispetto per tutte le fedi si livellano queste figure di maestri di spiritualità mettendole tutte sullo stesso piano. Il quarto problema è provocato da noi cristiani quando pensiamo di conoscere ormai molto bene il Vangelo. Iniziamo a non leggerlo più ritenendo che esso non abbia più nulla di nuovo da dirci: così facendo però esso smette di essere una “buona novella”. Ecco, dunque, che siamo invitati ad aiutare i giovani a correggere l’immagine deformata di Cristo e a recuperare il loro distacco dalla Chiesa, facendo loro scoprire la Chiesa come una comunità di persone e luogo dove vive la memoria del Risorto. Noi dobbiamo aiutare a correggere l’immagine deformata di Dio che hanno i ragazzi e mi piace raccontare come concluderà la Strenna del prossimo anno, presentando un’icona in cui don Bosco si identifica con Gesù che a sua volta incarna l’amore misericordioso del Padre abbracciando un “figliol prodigo” che per noi sono i ragazzi abbandonati, confusi, smarriti a cui vogliamo trasmettere la tenerezza e l’amore di Dio.
 
Questo è evangelizzare.
 
L’urgenza di evangelizzare nasce dalla passione per la salvezza degli altri. Non nasce da una scelta di un Capitolo Generale, ma dal cuore di chi desidera vedere tutti felici, come diceva don Bosco ai suoi ragazzi: “Vi voglio felici ora e sempre”. Ora e sempre: ecco da dove nasce la passione per l’evangelizzazione: dal cuore, dalla gioia di condividere l’esperienza di vivere con Gesù. Una volta incontrato Gesù, non lo si può ridurre al silenzio, ma ci si sente portati a proclamarlo, a condividerlo. Don Bosco fin dall’inizio della sua opera si consacrò a portare il Vangelo ai giovani poveri. L’oratorio non è nato con l’ordinazione sacerdotale di don Bosco ma ben prima: è nato quando da adolescente radunava i ragazzi attorno a sé e univa istruzione, divertimento e preghiera. L’oratorio non è nato a Valdocco, ma sul prato di Colle don Bosco, dove don Bosco radunava i coetanei. Cosa occorre oggi a noi Salesiani per sentire questa urgenza evangelizzatrice e questo ardore missionario?
 
Dobbiamo ripensare la nostra pastorale, non possiamo continuare a mantenere opere e strutture che non portano all’incontro con Cristo. La nostra azione pastorale deve essere incentrata su Gesù Cristo, e il suo messaggio non può essere separato dalla sua persona. Non posso annunciare Gesù senza offrire la sua persona, è lui la Parola per eccellenza. Questo richiede la testimonianza di una comunità evangelizzata e nel contempo con un grande ardore evangelizzatore. Richiede l’inscindibile legame tra educazione ed evangelizzazione. L’evangelizzazione garantisce l’integralità dell’annuncio, l’educazione garantisce la gradualità della proposta: non posso annunciare Cristo allo stesso modo ad un bambino ad un adolescente o a un adulto. Oggi siamo invitati a fare una scelta molto coraggiosa: diventare innanzitutto discepoli che entrano alla scuola di Gesù e si fanno rivoluzionare culturalmente dal suo vangelo, quindi essere testimoni di Gesù con la propria vita - non solo con la parola - e infine diventare apostoli coraggiosi che portano agli altri l’annuncio della salvezza. Sono contento della 140° spedizione missionaria di oggi.
 
A Roma incontrando i missionari ho detto loro che questa è una spedizione commemorativa perché 150 anni fa un gruppo di ragazzi, di soli 20 anni, cresciuti qui a Valdocco, decise di mettere da parte i loro pur validi progetti e assumere il sogno di don Bosco che voleva vedere felici i ragazzi ovunque e per sempre, sì da poter garantire la continuità nello sviluppo di quel sogno. Un anno fa chiedevo per oggi 100 missionari, ne vedo 33: bene, io come don Bosco devo sognare in grande e anche se poi la realtà è più umile non è per questo meno valida. Grazie.
 
(n.d.r. Segue un riassunto in Inglese di quanto detto).
 
DOMANDE
Qual è la prima raccomandazione che farebbe ai giovani missionari?
 
Prima di tutto di imparare a stare alla scuola di Gesù: noi stessi dobbiamo imparare ad essere suoi discepoli, dobbiamo sentire il bisogno di conoscerlo sempre più, di approfondire il suo insegnamento. Io ho avuto il privilegio di essere stato inviato a studiare Sacre Scritture e quindi tutta la mia vita gira intorno alla Parola. Da Direttore del Teologato non solo conducevo la scuola di Sacre Scritture ma avevo almeno 15 gruppi di studio sulla Sacra Scrittura, gruppi formati da professori dell’Università fino alle comunità cristiane di base. La prima cosa dunque è suscitare in noi il desiderio di conoscere Gesù, anche per superare gli ostacoli di cui ho parlato prima. L’ostacolo più dannoso da abbattere è il tentativo di cancellare Gesù e il suo Vangelo dalla coscienza personale. La seconda cosa: don Bosco faceva diventare apostoli i suoi ragazzi dell’oratorio e con gioia so che molti di voi passano l’estate in una missione cercando di comunicare la propria fede con varie attività. Naturalmente sono più favorevole ad un volontariato missionario di 1-2 anni. Infine, abbiamo bisogno di persone completamente consacrate: date a Dio l’opportunità di vivere solo per lui, per la causa del Vangelo. Vi invito dunque oggi, cari ragazzi, care ragazze, a pensare alla vocazione di Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice. È la cosa più bella, non potete immaginare! Dunque la prima raccomandazione è di imparare a maturare il nostro amore a Gesù e la nostra conoscenza, in una sequela e imitazione sempre più radicale.
 
(Parla un sdb) Sono perfettamente d’accordo quando dice che prima occorre essere discepoli e poi apostoli. Prima ci deve essere un legame forte con Cristo e poi si può fare animazione. Mi sono perciò trovato in difficoltà quando un ragazzo musulmano a Latina si è offerto di dare una mano durante l’“Estate ragazzi”. Gli ho detto di sì però in lui mancava tutto quello che credevo fosse il fondamento dell’animazione: l’eucaristia, la preghiera, il contatto con Gesù. Mi si è aperto un problema nel cuore, i nostri oratori sono frequentati sempre più spesso da ragazzi non cristiani e altri chiederanno di far parte del gruppo degli animatori. Come ci dobbiamo comportare in questi casi?
 
Dicevo prima che evangelizzare non significa fare proselitismo, non significa convertire per forza qualcuno. L’evangelizzazione nasce prima di tutto dall’urgenza di vedere la felicità degli altri e la loro salvezza, condividendo la gioia che scaturisce dall’aver impostato la propria vita dietro Gesù, nel rispetto delle altre fedi e culture. Ci sarà il dialogo con le altre religioni senza costrizione alcuna da parte nostra e anche senza cancellare la nostra identità. Occorre essere rispettosi della diversità e far sì che a proporre il Vangelo siano persone che con la vita personale e comunitaria rendono testimonianza di quanto dicono.
 
Don Pascual Ch√°vez Villanueva
Rettor Maggiore 
 
don Pascual Ch√°vez Villanueva
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