Testimonianza di don Aurelio che questo weekend in occasione dell'Harambèe riceverà il crocifisso e partirà per il Perù in missione. "Non penso di fare una cosa straordinaria, penso solo che il buon Dio mi abbia chiesto qualcosa di più e se chiede mi darà le relative risorse e forze per poter vivere al meglio questa nuova avventura".
Come le scintille luminose di un falò che non si spegne mai.
«Prenderanno il crocifisso» e lasceranno la loro terra per portare il Vangelo in tutte le parti del mondo. Tra loro c’è anche don Aurelio Di Quattro, 38 anni.
Che cosa significa per te questa volta “partire”?
Partire richiama sempre nuove sfide e nuove avventure e senza dubbio apre le porte ad alcune paure legate alla novità di ciò che ti aspetta. Per me significa rimodulare la vita ad un mondo nuovo.
Attualmente qual è il tuo compito?
Quest’anno, ma anche l’anno scorso e così da sei anni a questa parte, sono stato (contemporaneamente) incaricato dell’oratorio, docente di religione nelle scuole statali del quartiere ed economo.
Come hai sentito la vocazione? Perché hai preso questa decisione?
Fin da bambino mi appassionava l’idea di “lasciare tutto” per guadagnare tutto. Mi sentivo così fortunato della mia vita che quasi mi sentivo quasi ingiustamente fortunato rispetto a ciò che vedevo in televisione o che sentivo dai racconti di coloro che erano andati in missione.
All’inizio mi frenava in questa scelta l’affetto per mio padre. Inoltre in questo quartiere mi sono sentito a casa e voluto bene: 6 anni bellissimi e mi sentivo quasi un traditore a dover lasciarli, loro che mi sono stati vicini dall’accolitato al sacerdozio. Dunque, trascorso un congruo periodo di tempo, ho fatto la richiesta anche perché nel frattempo era venuto a mancare mio padre.
Che cosa ne pensa la tua famiglia?
Non avendo più genitori la scelta è stata più semplice. L’affetto per mio fratello, per mia cognata e per i miei nipoti (il secondo non lo vedrò nascere) mi ha fatto riflettere e infatti ne abbiamo discusso insieme ma alla fine hanno condiviso e mi hanno incoraggiato nella scelta. Il legame familiare è importante ma deve aiutarci a fare le scelte più giuste anche se queste costano sacrifici.
Chi per primo ti ha raccontato la storia di Gesù?
I miei genitori. Ancora i salesiani di una certa età si ricordano di come noi, famiglia al completo, andavamo tutte le domeniche a messa alle 9,30 all’oratorio di Gesù Adolescente di Palermo (città dove ho vissuto fino a 24 anni).
Quali sono i momenti più belli in famiglia che ricordi?
Le cose fatte insieme. Dalle gite al mare, alla costruzione del presepe, alla messa domenicale; sono tante. Mi ricordo tutte le sere prima di andare a letto le preghiere della sera con i miei genitori (ci insegnarono una filastrocca su Gesù che ancora ricordo).
Sentirai la nostalgia? Di che cosa soprattutto? Quale rinuncia ti pesa di più?
Nostalgia non ne sento perché le persone si allontanano da noi quando le dimentichiamo se no sono sempre presenti nella vita di tutti i giorni. Quante persone camminano tutti i giorni e sono morte dentro perché nessuno si ricorda di loro.
Quale sarà la tua destinazione?
Destinazione è l’ispettoria del Perù a lavorare nella foresta amazzonica con don Luigi Bolla con gli indios della foresta della tribù degli Shuar.
Quali difficoltà ti aspetti di dover affrontare? Come ti sei preparato?
Non penso mai alle difficoltà; dico sempre ai miei ragazzi: la vita è piena di difficoltà e problemi, noi dobbiamo trovare soluzioni.
C’è molto coraggio in questa tua scelta. Dove lo attingi?
Sinceramente non ho avuto tempo: faccio anche il manutentore in comunità e dunque questo è periodo di sistemazioni e manutenzioni degli ambienti per far partire al meglio delle possibilità il nuovo anno pastorale.
Vale la pena dedicare la vita agli altri in questo modo così radicale?
Non penso di fare una cosa straordinaria, penso solo che il buon Dio mi abbia chiesto qualcosa di più e se chiede mi darà le relative risorse e forze per poter vivere al meglio questa nuova avventura.
Che messaggio vorresti lasciare alla Famiglia Salesiana?
Gli adulti spesso si lamentano dei giovani e della società dove vivono senza considerare o facendo finta di non ricordare che la società in cui oggi viviamo l’hanno costruita gli stessi adulti che se ne lamentano. Ora se le persone invece di nutrire il proprio egoismo attraverso la ricerca frenetica e consumistica delle cose si preoccupassero di donare risorse e soprattutto tempo ai più deboli, i loro stessi figli o nipoti vivrebbero un giorno in un mondo migliore. Ne vale sempre la pena anche se fosse per un’unica persona che altrimenti non avrebbe altre alternative.
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