Harry Potter VII: non il potere del successo, ma l'umiltà del dono di sé parte...

Nel mito di Harry Potter si può riscontrare una lettura intelligente dell'epoca che stiamo vivendo. Sotto forma di simboli, metafore, riferimenti diretti e indiretti, utilizzando anche la mitologia, ne esce una lettura sapienziale del tempo odierno...

Harry Potter VII: non il potere del successo, ma l'umiltà del dono di sé parte 2

da Quaderni Cannibali

del 02 dicembre 2008

Nel mito di Harry Potter si può riscontrare una lettura intelligente dell'epoca che stiamo vivendo. Sotto forma di simboli, metafore, riferimenti diretti e indiretti, utilizzando anche la mitologia, ne esce una lettura sapienziale del tempo odierno. Non è il potere, non è il successo, non è la vita facile che porta alle gioie più vere e più profonde, ma l'amicizia, il dono di sé, il sacrificio, l'adesione a una verità non costruita a immagine dell'uomo stesso.

Harry, il protagonista principale del libro, dopo aver vissuto un'infanzia senza vere relazioni significative, sempre soggetto a soprusi, non è a conoscenza della sua vera identità finché non succede qualcosa di particolare (l'arrivo della lettera che lo invita ad Hogwarts) che dà inizio ad un vero e proprio percorso di formazione. Fondamentale per lo sviluppo di Harry è l'opportunità di relazioni che la nuova vita gli presenta: da quelle con le persone che lo amano, gli amici, il guardiacaccia Hagrid, il preside Silente, a quelle con le persone che lo disprezzano, il professor Piton, la famiglia Malfoy. Harry impara da questi rapporti a conoscersi, ad apprezzarsi, anche a lottare per difendere se stesso e gli altri. Scopre una parte di sé che non conosceva, un mondo di sentimenti che lo arricchiscono nel cammino e lo aiutano a crescere nella consapevolezza di chi egli è di fronte a se stesso e agli altri.

In questo cammino di perfezionamento della sua natura, questi valori hanno un ruolo assolutamente più decisivo di quello della magia, che rappresenta l'elemento più appariscente delle storie (e che ha destato preoccupazioni in molti educatori), che svolge una funzione spettacolare e incantatrice agli occhi dei piccoli lettori, ma che non è tutto. Harry, entrando nel mondo dei maghi, scopre che la magia non è un giochetto da ragazzi, non basta avere una bacchetta magica per risolvere i problemi, ma c'è molto da studiare e faticare per imparare l'arte della magia. La stessa autrice lo mette bene in evidenza fin dal primo romanzo, “Harry Potter e la pietra filosofale”, dove Hagrid spiega a Harry che esiste un Ministero della Magia ed Harry domanda: 'Ma che cosa fa il ministero della Magia?' 'Be', il compito più importante è non far sapere ai Babbani che in giro per il paese ci sono ancora streghe e maghi'.

'E perché?'

'Perché? Ma dai, Harry, perché tutti allora vogliono risolvere i loro problemi con la magia' (pp. 65-66).

Oppure più oltre, quando viene detto: 'Come Harry scoprì ben presto, la magia era tutt'altra cosa dall'agitare semplicemente la bacchetta magica pronunciando parole incomprensibili”. (pp. 127-130).

Come scriveva il grande scrittore irlandese Clive Staples Lewis, autore delle “Cronache di Narnia”, esiste 'una magia più grande' di quella di stregoni e negromanti. In un mondo come quello contemporaneo, dove sembra non esista una verità oggettiva cui tendere ed aderire, ma solo verità soggettive che ognuno si crea, anche la Rowling presenta il suo concetto di verità. La verità è presentata come una cosa meravigliosa e terribile da trattare con cautela, come una cosa preziosa che non può essere manipolata a proprio piacimento, secondo i propri interessi.

C'è un altro aspetto che l'autrice vuol comunicare: non sono le grandi gesta eroiche quelle che contano, che valgono, ma piccoli gesti fatti per altruismo anche dalle persone 'meno dotate' sono molto più preziosi. L'accento è posto non sul potere del successo, ma sull'umiltà del dono di sé; a vincere è la debolezza, non la forza dei muscoli. Evidente è il richiamo ad un altro grande autore cristiano dell'Inghilterra del Novecento, John Ronald Reuel Tolkien, i cui eroi sono i piccoli, umili Hobbit, l'esatto contrario dei superbi supereroi, che hanno la pretesa di farsi totalmente da sé, e di dominare il mondo. E come in Tolkien, anche nella Rowling è presente con forza il tema della morte. Questo tema a prima vista sorprende in un libro per bambini, anche perché nel contesto odierno la morte viene spesso nascosta dai grandi ai bambini. In questa storia essa invece ha un posto ben definito e 'centrale'. Si parla della realtà della morte, dell'immortalità, e si cerca di fare intuire che può esistere un al di là.

Con l'espressione 'centralità del tema morte' si intende che l'episodio portante e che fa da sfondo alla storia è il dono della propria vita da parte della madre per salvare il figlio Harry. Più volte quest'episodio è ripreso per rilevare la forza dell'amore di un tale gesto. Nel mito di Harry Potter dunque si può riscontrare una lettura intelligente dell'epoca che stiamo vivendo. Sotto forma di simboli, metafore, riferimenti diretti e indiretti, utilizzando anche la mitologia, ne esce una lettura sapienziale del tempo odierno. Non è il potere, non è il successo, non è la vita facile che porta alle gioie più vere e più profonde, ma l'amicizia, il dono di sé, il sacrificio, l'adesione a una verità non costruita a immagine dell'uomo stesso.

L'uomo ha desideri grandi (vedi lo specchio delle brame), ma non può trasformarli in bisogni da soddisfare subito: se cerca di farlo perde la sua stessa identità di uomo; egli è invece chiamato ad aderire ad un progetto che lo supera. Da chi viene questo progetto? La Rowling non lo esplicita chiaramente, ma lascia in sospeso una domanda, quella che nasce ogni qualvolta l'uomo cerca di capire il senso della sua esistenza.

 

Paolo Gulisano

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