Testimoniare ogni giorno la gioia del Signore risorto significa vivere sempre in "modo pasquale" e far risuonare il lieto annuncio che Cristo non è un'idea o un ricordo del passato, ma una Persona che vive con noi, per noi e in noi, e con Lui, per e in Lui possiamo fare nuove tutte le cose!
del 28 aprile 2011
 
 
 
          Nell'udienza di mercoledì 27 aprile Benedetto XVI ha continuato le sue riflessioni sulla Pasqua, «cuore del mistero cristiano». Quest'anno il Papa fa del tempo di Pasqua l'occasione per un dialogo serrato con le forme vecchie e nuove dell'ateismo.  
          Nella prima udienza generale successiva alla Pasqua, il Pontefice è dunque anzitutto tornato sul punto centrale del suo Messaggio pasquale: la Resurrezione è un fatto storico. Qualunque concezione della Resurrezione come un evento puramente spirituale, che «avviene» non nella realtà di quella tomba che da piena si fa vuota ma solo nei cuori dei discepoli, è storicamente falsa e non può essere quel fondamento su cui giochiamo tutta la nostra vita di cui ci parla san Paolo. Riprendendo un tema del suo libro «Gesù di Nazaret. Seconda parte», il Papa insiste pure sul fatto che la Pasqua è diversa dai miracoli di resurrezione, pure grandi, che Gesù opera nel corso della sua predicazione. Lazzaro e le altre persone che Gesù risuscita moriranno di nuovo. Solo Gesù non morirà più, e dunque la sua Resurrezione «non è un semplice ritorno alla vita precedente, come lo fu per Lazzaro, per la figlia di Giairo o per il giovane di Nain, ma è qualcosa di completamente nuovo e diverso. La risurrezione di Cristo è l’approdo verso una vita non più sottomessa alla caducità del tempo, una vita immersa nell’eternità di Dio. Nella risurrezione di Gesù inizia una nuova condizione dell’essere uomini, che illumina e trasforma il nostro cammino di ogni giorno e apre un futuro qualitativamente diverso e nuovo per l’intera umanità».  
          Ma ecco che l'ateo prospetta un'altra obiezione, quella che Karl Marx (1818-1883) formulava parlando di «alienazione» e che i nuovi atei, che forse non leggono più Marx, ripetono oggi in altri termini. Mantenere lo sguardo fisso sul Risorto, cioè su una persona che supera in modo così evidente la nostra dimensione quotidiana di uomini, non rischia forse di condurci a un atteggiamento spiritualista, che guardando soltanto al Cielo si disinteressa della Terra, della società, della politica? Apparentemente, nota Benedetto XVI, un brano della Lettera ai Colossesi di san Paolo sembrerebbe dare ragione a questa obiezione: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo seduto alla destra di Dio, rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra» (3,1-2). «A prima vista - afferma il Pontefice - leggendo questo testo, potrebbe sembrare che l'Apostolo intenda favorire il disprezzo delle realtà terrene, invitando cioè a dimenticarsi di questo mondo di sofferenze, di ingiustizie, di peccati, per vivere in anticipo in un paradiso celeste. Il pensiero del 'cielo' sarebbe in tale caso una specie di alienazione».  
          Ma chi legge in questo modo il brano di san Paolo non ha capito che cosa sono veramente «le cose di lassù» e «le cose della terra». E non si tratta di un semplice problema esegetico: è in gioco l'essenziale della vita cristiana. Nello stesso contesto immediato della Lettera ai Colossesi, «ecco anzitutto quali sono 'le cose della terra' che bisogna evitare: 'Fate morire – scrive san Paolo – ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria' (3,5-6). Far morire in noi il desiderio insaziabile di beni materiali, l’egoismo, radice di ogni peccato. Dunque, quando l'Apostolo invita i cristiani a distaccarsi con decisione dalle 'cose della terra', vuole chiaramente far capire ciò che appartiene all’'uomo vecchio' di cui il cristiano deve spogliarsi, per rivestirsi di Cristo».  
          Non si tratta di un rifiuto del mondo materiale e della politica ma dell'abuso delle cose del mondo e del potere che deriva dal peccato. «Come è stato chiaro nel dire quali sono le cose verso le quali non bisogna fissare il proprio cuore, con altrettanta chiarezza san Paolo ci indica quali sono le 'cose di lassù', che il cristiano deve invece cercare e gustare. Esse riguardano ciò che appartiene all’'uomo nuovo', che si è rivestito di Cristo una volta per tutte nel Battesimo, ma che ha sempre bisogno di rinnovarsi 'ad immagine di Colui che lo ha creato' (Col 3,10). Ecco come l’Apostolo delle Genti descrive queste 'cose di lassù': 'Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri (...). Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto' (Col 3,12-14)».  
          Le «cose di lassù» non sono soltanto i beni del Paradiso ma comprendono a pieno titolo una vita nuova su questa Terra, trasformata a immagine della Città Celeste anche attraverso la carità sociale e politica. San Paolo «è dunque ben lontano dall'invitare i cristiani, ciascuno di noi, ad evadere dal mondo nel quale Dio ci ha posti. E’ vero che noi siamo cittadini di un'altra 'città', dove si trova la nostra vera patria, ma il cammino verso questa meta dobbiamo percorrerlo quotidianamente su questa terra. Partecipando fin d'ora alla vita del Cristo risorto dobbiamo vivere da uomini nuovi in questo mondo, nel cuore della città terrena». La Pasqua dunque «è la via non solo per trasformare noi stessi, ma per trasformare il mondo, per dare alla città terrena un volto nuovo che favorisca lo sviluppo dell'uomo e della società secondo la logica della solidarietà, della bontà, nel profondo rispetto della dignità propria di ciascuno».  
          In questo senso, la Pasqua è il contrario di un'alienazione nel senso marxista del termine, anzi è la sola via possibile e realistica alla libertà. La Resurrezione di Gesù «porta la novità di un passaggio profondo e totale da una vita soggetta alla schiavitù del peccato ad una vita di libertà, animata dall’amore, forza che abbatte ogni barriera e costruisce una nuova armonia nel proprio cuore e nel rapporto con gli altri e con le cose. Ogni cristiano, così come ogni comunità, se vive l’esperienza di questo passaggio di risurrezione, non può non essere fermento nuovo nel mondo, donandosi senza riserve per le cause più urgenti e più giuste, come dimostrano le testimonianze dei Santi in ogni epoca e in ogni luogo».  
          La Pasqua - e, in un certo senso, solo la Pasqua - chiama a «far risorgere nel cuore del prossimo la speranza dove c’è disperazione, la gioia dove c’è tristezza, la vita dove c’è morte. Testimoniare ogni giorno la gioia del Signore risorto significa vivere sempre in 'modo pasquale' e far risuonare il lieto annuncio che Cristo non è un’idea o un ricordo del passato, ma una Persona che vive con noi, per noi e in noi, e con Lui, per e in Lui possiamo fare nuove tutte le cose (cfr Ap 21,5)».
 
Massimo Introvigne
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