Il lavoro è cambiare le cose, agire sulle cose, sulla realtà. In questo senso quasi tutto quello che facciamo è lavoro. Anche pensare, immaginare, è lavoro: solo che ciò su cui agiamo è più sottile. Siamo noi stessi.
del 24 febbraio 2009
Il lavoro è cambiare le cose, agire sulle cose, sulla realtà. In questo senso quasi tutto quello che facciamo è lavoro. Anche pensare, immaginare, è lavoro: solo che ciò su cui agiamo è più sottile. Siamo noi stessi.
Il lavoro su noi stessi ha un grande rischio.
Su molte automobili c'è un tastino che consente di chiudere le bocchette esterne dell'aria. Invece di entrare da fuori, è l'aria già presente internamente alla macchina che viene riciclata attraverso la ventilazione. Può essere utile, talvolta, specie quando si è incolonnati dietro un autocarro che emette nubi di fumo nero dallo scappamento. Ma guai a lasciare il ricircolo interno inserito. Presto i vetri si appannano, e non si vede più niente. Non riusciamo più  capire dove stiamo andando. Ci vuole una boccata di realtà, il  mondo altro da noi che entra per potere tornare a capire quale è la nostra strada.
 
Questo viaggio continuo, incessante, questo agire sul di dentro e sul di fuori è la nostra vita. Quello che comunemente chiamiamo lavoro non ne è che la parte più esplicita, più riconoscibile. Può essere un deserto, una periferia industriale; le strade talvolta attraversano territori aridi. Se mettiamo il pilota automatico e oscuriamo i finestrini dell'anima il viaggio continuerà lo stesso, ma noi non ce ne accorgeremo. I chilometri passeranno comunque, ma il paesaggio non ci colpirà, non godremo il panorama. Inutilmente la bellezza che c'è ovunque, nascosta in mille forme, ci passerà a lato; non vedremo i cartelli stradali, i segnali che indicano la strada migliore.
Che faremo, al termine del sempre troppo breve viaggio?
 
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