I funerali dell'ateismo scientifico

Siamo di fronte a un fatto storico: Boris Eltsin è il primo ex leader sovietico ad avere - dalla Rivoluzione d'Ottobre ai giorni nostri - un funerale religioso. Con i suoi funerali, sono stati simbolicamente celebrati anche i funerali di quella barzelletta che fu l'ateismo scientifico, il cui fallimento dovrebbe insegnare qualcosa. A futura memoria.

I funerali dell'ateismo scientifico

da Attualità

del 29 aprile 2007

Anche se il particolare è stato sciolto nelle cronache come un dettaglio irrilevante, siamo di fronte a un fatto storico: Boris Eltsin è il primo ex leader sovietico ad avere - dalla Rivoluzione d’Ottobre ai giorni nostri - un funerale religioso. Il Paese ha reso l’ultimo saluto al suo vecchio presidente in una cattedrale intitolata a «Cristo Salvatore», un nome che il vecchio regime, dal quale Eltsin proveniva, avrebbe dovuto espungere per sempre dall’orizzonte umano. Il credente scorgerà forse l’impronta del digitus Dei. Il non credente si limiterà a prendere atto della presenza di un fortissimo significato simbolico. Ma in ogni caso si deve registrare una coincidenza singolare: proprio il presidente che liquidò l’Urss è anche quello che, congedandosi da questo mondo, liquida con un atto formale pure la maggior pretesa dell’armamentario ideologico sovietico: l’ateismo. Liquida insomma il più grande tentativo della storia dell’umanità di cancellare non solo la fede, ma anche il senso religioso che si annida nel cuore di ogni uomo, compreso colui che non pratica alcun culto. La cancellazione dell’idea di Dio era uno dei cardini dell’ideologia comunista. La religione proiettava nei cieli quel desiderio di felicità che il Partito prometteva qui e ora: Dio doveva dunque sparire, era l’oppio dei popoli.

Per riuscire in una simile «rigenerazione » delle coscienze l’Unione Sovietica non lesinò uomini e mezzi. Scienziati e studiosi di ogni branca del sapere furono arruolati per convincere dell’inutilità di ogni religione, ma soprattutto per cercare la Prova, con la maiuscola, dell’inesistenza di Dio. Ogni fatto, ogni evento che si potesse in qualche modo collegare a quell’ossessiva ricerca della «Prova regina» veniva sfruttato da una propaganda che voleva essere efficace e che non si rendeva conto della sua natura tragicomica. Come accadde, ad esempio, in quell’aprile del 1961, quando il tenente dell’aeronautica Jurij Gagarin, appena sceso dalla sua astronave Vostok, evidentemente obbedendo a ordini superiori, aprì lo sportello dicendo: «Sono andato fino in cielo, ma Dio non l’ho incontrato». Le ricerche scientifiche, gli studi accademici e gli ingenti capitali investiti nell’aprire scuole e facoltà di ateismo derivavano da un fatto molto semplice.

 

 

Per il comunismo, appunto, l’ateismo era una verità fondamentale: ma una verità tutta da dimostrare. Infatti né Marx, né i suoi principali discepoli avevano mai affrontato sul serio la questione da un punto di vista speculativo. L’ateismo marxista, insomma, non era il risultato di una ricerca, di una riflessione. Era, al contrario, un postulato irrinunciabile. Un a-priori non dimostrato da alcunché. Dio non esisteva semplicemente perché non doveva esistere. Celeberrima è la frase di Michail Bakunin, profeta - tra l’altro - del cosiddetto socialismo scientifico: «Se Dio c’è, l’uomo è schiavo. Ma l’uomo deve essere libero. Quindi, Dio non esiste». I risultati di settant’anni di ricerca di quella Prova sono lì da vedere. Non c’è un testo, uno studio, una facoltà dell’ateismo che abbia resistito al tempo. L’immenso sforzo di una delle potenze più grandi del mondo e della storia è, al contrario, sopravvissuto solo come esempio di becera propaganda.

Nei primi anni Ottanta il giovane Massimo D’Alema, allora responsabile della stampa e della propaganda del Pci, intervistato da Vittorio Messori raccontò di aver visitato il mitico museo dell’« Istituto per l’ateismo scientifico» di Leningrado, visitato ogni anno da milioni di studenti caricati sugli autobus dal Partito. Ebbene, così commentò D’Alema: «Non esito a dichiarare la mia convinzione personale, che è quella del non credente. Ma quel museo sovietico mi è parso qualcosa di aberrante, uno dei peggiori esempi di volgarità intellettuale». E tuttavia, più che dal mondo accademico l’ateismo sovietico è condannato dal tribunale della storia. La fine delle vecchie superstizioni avrebbe dovuto portare a un’«umanità nuova», finalmente liberata dal giogo della religione e in grado di far esplodere tutta la sua potenzialità creativa per troppi secoli repressa. Che cosa ha prodotto, invece, quell’«umanità nuova»? Nulla di creativo, nulla di originale e di vitale: non una scoperta scientifica, non un trattato filosofico, non un romanzo, non una poesia, non un quadro, non un film, non una canzone.

I soli nomi degni di essere ricordati sono quelli dei dissidenti, degli esuli, dei perseguitati: insomma di coloro che a quel regime si opposero. Del mondo sovietico, insomma, resta solo la memoria di una feroce dittatura e di una tetra burocrazia che, lungi dal rendere l’uomo più libero e felice, lo annichilirono. Boris Eltsin, alla fine di quel mondo, mise il sigillo. E ieri, con i suoi funerali, sono stati simbolicamente celebrati anche i funerali di quella barzelletta che fu l’ateismo scientifico, il cui fallimento dovrebbe insegnare qualcosa.

A futura memoria.

Michele Brambilla

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