«Un conto è qualcuno per strada che ti dice: “Vostra figlia diventerà santa”, un altro è vedere il primo passo concreto di una possibilità del genere. Siamo felici, comunque vada»...
del 24 settembre 2018
«Un conto è qualcuno per strada che ti dice: “Vostra figlia diventerà santa”, un altro è vedere il primo passo concreto di una possibilità del genere. Siamo felici, comunque vada»...
«È tutta una gioia». Così Roberto Corbella vive con la moglie Maria Anselma l’apertura della causa di beatificazione della figlia Chiara, morta poco più di sei anni fa, a soli 28 anni. «Faccio fatica a rendermi conto della realtà. Un conto è qualcuno per strada che ti dice: “Vostra figlia diventerà santa”, un altro è vedere il primo passo concreto di una possibilità del genere. Siamo felici, comunque vada. Tante persone hanno preso Chiara come un punto di riferimento e per noi è una giornata di festa» dice emozionato. Accanto a loro, l’altra figlia Elisa con il marito e i tre nipotini, parenti e amici arrivati dalle Marche (terra di origine di Maria Anselma) e da Como, città da cui proviene Roberto.
Entrambi, dopo il grande dolore della perdita della loro secondogenita, hanno assistito con stupore alla crescita della sua popolarità: centinaia di persone partecipano ogni anno alla Messa di anniversario della morte, il 13 giugno. Sulla sua tomba, al cimitero del Verano, incontrano sempre qualcuno in preghiera. E poi ogni giorno sui social network messaggi, richiesta di contatti. «Avviene soprattutto con il passaparola, facilitato dai mezzi di comunicazione».
Inoltre sono decine di migliaia i lettori della sua biografia, “Siamo nati e non moriremo mai più”, uscita nel 2013 per i tipi della Porziuncola e tradotta in 13 lingue. «Così la cerchia degli amici intorno a Chiara si allarga quotidianamente. Incontriamo centinaia di persone anche alle testimonianze che facciamo in tutta Italia: una partecipazione sempre molto ampia – racconta Roberto –. Sono occasioni per fare memoria e anche un modo per accettare meglio tutta la storia vissuta».
Prima della scomparsa prematura della figlia, hanno visto morire pochi minuti dopo la nascita i nipotini Maria Grazia Letizia e Davide Giovanni, a causa di gravi malformazioni. Nel maggio 2011 la nascita di Francesco, dopo la quale Chiara si è sottoposta a tutte le cure per il carcinoma alla lingua, rimandate durante la gravidanza perché avrebbero danneggiato il piccolo. «Occorre sfatare luoghi comuni: Chiara non è una martire e non è vero che non si è curata. Ha fatto tutto il possibile per salvarsi, anteponendo però a se stessa la vita del figlio, per tutelarlo. Era una persona sorridente, positiva e scherzosa anche nella fase terminale della malattia; semplice e coerente, con la sua esperienza dice che ognuno potenzialmente può diventare santo».
La percezione di questa “normalità” è testimoniata dai biglietti che i Corbella trovano nella cassettina messa vicino alla tomba della figlia, al cimitero, «dove in tanti lasciano messaggi di richiesta e di ringraziamento. Ci fermano sacerdoti e suore, dicendo che trovano conforto nella storia di nostra figlia e conferma in quello che sono chiamati ad annunciare con la loro esistenza. Numerose le giovani mamme che hanno avuto figli con problemi o che non riescono ad averli. “Chiara mi ha cambiato la vita”, ripetono spesso. È una persona che sentono vicina, come fosse un’amica o una compagna di studi, per la condivisione di valori e di fede. Colpiscono il suo carattere, la sua dolcezza e fermezza, la sua docilità alla volontà di Dio. Se a volte le figure dei santi possono sembrare quasi irraggiungibili, Chiara risulta una di loro: su Youtube si può ascoltare la sua testimonianza, vederla, sentirne la voce».
Alla figlia è stata intitolata anche un’associazione, che sta supportando la causa. «Ma non ne siamo membri, volutamente: saremmo di parte». Non manca neppure l’ironia in questo padre sorridente, dagli occhi luminosi, quando scherzando conclude: «Noi ormai siamo per tutti non Roberto e Maria Anselma, ma “i genitori di Chiara”. È il nostro mestiere. Non bisogna prendersi troppo sul serio».
Laura Badaracchi
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