Se la gioventù come "soggetto sociale" irrompe sulla scena nel corso degli anni '50, la visibilità di questa nuova condizione si manifesta con modalità e tempi diversi nei paesi industrializzati. La svolta culturale si esprime in modo vistoso anzitutto attraverso l'adozione di un nuovo abbigliamento e attraverso il rock'n'roll.
Con la fine della guerra, ovunque si realizza una crescita demografica per effetto di quello che sarà definito "baby boom".
In tutti i paesi occidentali, con la ricostruzione postbellica riprende il processo di industrializzazione e di urbanizzazione che innesca un imponente fenomeno migratorio esterno ed interno. Chi si adatta alla nuova situazione sviluppa una presa di distanza dai modi di vivere di chi è rimasto nella terra natale. Sono soprattutto i giovani immigrati di seconda generazione a sperimentare lo scarto maggiore con le generazioni dei loro padri e madri, anche perché ricevono nel frattempo una maggiore istruzione e vengono socializzati al cosiddetto modo di vivere "urbano" e "moderno".
Anche tra le generazioni che vivono da tempo nelle grandi città industriali le cose cominciano a cambiare per effetto del crescente livello di istruzione; si può dire che le leve generazionali post-belliche sono anche le prime che superano in massa il livello medio d'istruzione dei loro genitori, che dunque, a questo riguardo, non sono più in grado di competere con i propri figli. I più giovani iniziano così ad avvertire - in modo strisciante - un senso di indipendenza, se non proprio di superiorità ed avvertono altresì la possibilità di migliorare il loro status socio-economico di partenza proprio grazie all'istruzione.
Per effetto del notevole prolungamento degli studi e della relativa concentrazione-parcheggio di milioni di giovani nelle scuole superiori e poi nell'università si creano le condizioni per la formazione di un vero e proprio "movimento giovanile", consapevole della sua tipicità rispetto al mondo degli adulti e dotato di sufficiente autonomia culturale per elaborare una propria "cultura giovanile".
Ai fini della ricostruzione storica della problematica giovanile nel dopoguerra è possibile distinguere quattro periodi: dagli anni '50 alla seconda metà degli anni '60, definibili come età del decollo giovanile;
dalla fine degli anni '60 alla fine degli anni '70, coincidenti con la stagione della contestazione giovanile; gli anni '80, a lungo descritti come età del riflusso giovanile dal primato della sfera politica al primato della sfera privata; gli anni '90, identificati con l'età del simbolismo culturale giovanilistico.
In ciascuno di questi periodi si riscontrano atteggiamenti e comportamenti "emergenti", "imitativi", "conformisti", che segnano il passaggio da un vero e proprio "stato nascente", ad una sorta di "routine".
Ciascuna di queste fasi è rappresentata da gruppi, movimenti ed aggregazioni giovanili emblematiche e da risposte altrettanto tipiche da parte della società adulta, che vanno dalla reazione repressiva (connessa ad un aperto dissenso e ad un altrettanto aperto tentativo di contrastare e sanzionare negativamente le nuove tendenze), alla reazione adattiva (con forme più morbide di presa di distanza e di contenimento), ad una vera e propria accettazione-strumentalizzazione, riconoscibile dall'utilizzo a livello commerciale degli atteggiamenti e dei comportamenti un tempo considerati "trasgressivi".
Nel corso delle quattro fasi sopra indicate, non sono cambiate solo le singole forme, ma anche il senso di alcuni concetti interpretativi utilizzati per "fissare" o "definire" il posto dei giovani: in primo luogo il concetto di "generazione", con il quale si è soliti indicare un'evidente "differenziazione" culturale di certi gruppi di età rispetto al resto della società; in secondo luogo il concetto di "controcultura", che indica la elaborazione di modelli culturali alternativi, talora con forti connnotazioni ideologico-politiche, elaborati in modo intenzionale e sistematico, in polemica con la cultura che appare dominante nei rispettivi gruppi sociali di provenienza; in terzo luogo il concetto di "subcultura", che viene usato per indicare forme di reazione, che però non hanno l'ambizione di costruire un diverso sistema sociale e restano confinate per lo più "nell'area del tempo libero".
Gli anni cinquanta: la scoperta dei teenager
Se la gioventù come "soggetto sociale" irrompe sulla scena nel corso degli anni '50, la visibilità di questa nuova condizione si manifesta con modalità e tempi diversi nei paesi industrializzati: i nuovi tratti del fenomeno giovanile prendono corpo in primo luogo negli Stati Uniti e via via negli altri paesi occidentali. Il confine tra il cambiamento effettivo delle condizioni socio-economiche e la nascita di nuovi miti e di nuove mode è difficile da tracciare. Nasce così la figura emblematica dei nuovi "teenager" (letteralmente ragazzi e ragazze dai 13 ai 19 anni): hanno più occasioni di stare a lungo con i loro coetanei, hanno più tempo libero, cominciano ad avere a disposizione qualche soldo in più dei loro predecessori. Sono desiderosi di maggiore libertà, soprattutto nei costumi, e irrispettosi nei confronti della società adulta. Il mondo adulto reagisce in modo polemico, ma le imprese protagoniste del neo-consumismo fiutano subito l'affare: i giovani iniziano a diventare dei formidabili consumatori: masticano chewingum, bevono coca-cola, comprano vestiti, cosmetici, biglietti del cinema, motociclette. Anche la nascente industria culturale (cinematografica, televisiva, musicale) si fa interprete dei nuovi fermenti giovanili offrendo tanto agli adulti quanto ai giovani uno specchio in cui si riflettano i loro opposti orientamenti. Emblematico diventa il film "Gioventù bruciata" interpretato da Marlon Brando. La svolta culturale si esprime in modo vistoso anzitutto attraverso l'adozione di un nuovo abbigliamento (1) e in secondo luogo attraverso un nuovo ballo chiamato rock'n'roll. Il ritmo frenetico di questa musica - lanciata nel 1955 - traduce egregiamente la smania di bruciare i tempi propria delle nuove generazioni (2).
Sull'onda dei divi cinematografici e musicali che la interpretano, la cultura e la moda teenager approda anche in Europa, a partire dall'Inghilterra, con varianti tipiche in ciascun paese. In Italia è particolarmente viva la voglia di imitare i modelli americani; i ragazzi (ma anche gli adulti) si fanno coinvolgere volentieri dal grande mito dell'America consumista e benestante; nasce così l' "americanismo" che resterà tipico fino alla metà anni'60. La diffusione di questi miti non va confusa con l'effettiva possibilità di vivere secondo gli standard ideali. Accanto ai pochi "figli di papà" che usufruiscono immediatamente del boom italiano sta la grande massa dei "borgatari" figli dei nuovi immigrati che vivono nelle periferie delle grandi metropoli. Le prime e più efficaci rappresentazioni di questa situazione passano attraverso i romanzi "Ragazzi di vita" e "Una vita violenta" di Pier Paolo Pasolini ed i film "Rocco e i suoi fratelli" di Luchino Visconti o "Pane, amore e fantasia" di Luigi Comencini e Dino Risi.
Al di là dei comportamenti (tanto minoritari quanto emblematici) messi in atto da "bande giovanili" devianti e violente (protagoniste di risse, molestie ai passanti, agguati alle coppiette, furti, rapine) cui viene appioppato il nome di teddy boys, le prime ricerche sociologiche condotte negli Usa e in Europa testimoniano una sostanziale integrazione dei giovani nella cultura adulta, anche se appaiono un po' più scettici, disimpegnati, consumisti. Si parla allora di gioventù 'grigia' e di giovani '3M' (mestiere, macchina, moglie) per definire una gioventù che mantiene una forte identificazione con i modelli societari maggiormente diffusi.
Anche la gioventù sembra sostanzialmente allineata con l'obiettivo della ricostruzione economica postbellica, con la modernizzazione industriale e con il raggiungimento della ricchezza e del consumismo. All'interno delle famiglie non mancano i contrasti tra genitori e figli, essi tuttavia non toccano la comune adesione di fondo agli stessi valori e obiettivi pratici. Il contrasto culturale risulta maggiore tra le generazioni adulte rimaste attaccate agli stili di vita rurali-tradizionali e le generazioni inserite negli stili di vita urbani-moderni.
I giovani sono rappresentati come "soggetti inquieti" che da un lato creano problemi alla società, ma dall'altro la modernizzano e la arricchiscono. La mentalità dell'epoca non tollera peraltro comportamenti difformi rispetto alla "norma", che stigmatizza senz'altro come "devianti"; basti pensare che l'uso dei jeans a scuola era vietato perché ritenuto inadatto, grossolano, volgare. La severità era ancora maggiore nei confronti delle ragazze, che nelle scuole superiori e in talune università italiane dovranno indossare il grembiule fino al fatidico '68.
Un'impetuosa crescita demografica alimenta in questo decennio il numero di coloro che diventeranno giovani nel corso degli anni sessanta, ed anche per questo formeranno una massa d'urto senza precedenti. La moda
Lo stile definito "neoborghese" - mocassini sportivi a tacco basso e scarpe eleganti "decolté"; colori pastello, fiori alla cintura, taffetas scozzese, gonne a corolla - durante gli anni Cinquanta viene messo progressivamente in crisi fino alla scoppio di una vera e propria rivoluzione nel campo della moda, dovuta all'inglese Mary Quant che accorcia gli orli delle gonne di ben trenta centimetri, inventando la minigonna. I vestiti "alternativi" sono molteplici: gli stivali, i mini-pull, gli impermeabili lucidi e colorati, i collants. Anche per gli uomini non è più tempo solo di abiti interi a tinta unita e di cravatte, ma di jeans, magliette colorate. Si diffondono per tutti come abbigliamento quotidiano i capi usati nelle due guerre mondiali, magari resi famosi da qualche film: Il trench, cappotto con spalline, indossato da Humphrey Bogart e da Ingrid Bergman in Casablanca; La T-shirt, un capo che i soldati indossavano sotto l'uniforme, è lanciata da Marlon Brando in Fronte del Porto; Il montgomery, indossato dagli uomini della Marina Reale britannica durante la Seconda Guerra Mondiale, con il suo cappuccio e l'allacciatura ad alamari conquista tutti. In Italia la moda trova il suo habitat naturale: nel 1964 Krizia sfila per la prima volta a Firenze e dopo di lei debutteranno tanti altri diventati famosi: Valentino, Versace, Armani, ecc. I giovani e la musica negli anni Cinquanta e Sessanta
Dal 1955 in America si sviluppa il rock 'n' roll (beccheggio e rollio) che nasce dal rhythm and blues (musica popolare afroamericana) e dal country hillbilly (musica popolare del West): la nuova musica emerge in America con il brano Rock Around The Clock di Bill Haley ed i cantanti che lo portano al successo sono il già citato Bill Haley, Elvis Presley, Jerry L. Lewis, Buddy Holly i quali sostituiscono ai canoni tradizionali un'esecuzione che enfatizza la gestualità fisica. Durante l'estate del 1961, emerge dal Sud della California e cresce in popolarità in tutto il mondo nel volgere di poco tempo il surf sound, espresso da gruppi come i Beach Boys e Jan & Dean e da centinaia di bands.
Il "surf sound" si basa su originali armonie vocali, su diverse tecniche di produzione e su un'esuberanza giovanile eccezionale; i testi delle canzoni richiamano principalmente la spiaggia, il surf, le ragazze e le macchine.
E' un fenomeno che cresce in intensità negli anni fino all'avvento dei Beatles e della cosiddetta "British invasion" a cavallo del 1964-65. ll surf sound riprende molti aspetti del modo di vivere dei teenagers (soprattutto quelli californiani) come l'abbigliamento ed il modo di parlare. La musica surf è legata strettamente ad uno stile di vita (quello dei surfers) e ad una ben precisa area geografica (California del Sud), fattori che alla lunga ne determinano il declino, perché difficilmente accettabile, in maniera naturale, dal resto della nazione americana. Dal 1962 alcuni gruppi inglesi - Yardbirds, Beatles, Rolling Stones, Who - creano un genere nuovo, il beat che, soprattutto nelle canzoni dei Beatles - unisce il rock 'n' roll a ritmi di vario genere (classico, jazz, elettronico, etnico). I Beatles sono conosciuti dal grande pubblico a partire dal 1963 con testi che rispecchiano certe manifestazioni di anticonformismo proprie dei giovani. Il loro successo suscita un grande fanatismo collettivo fatto di identificazione ed imitazione dei loro atteggiamenti e comportamenti. Sono insigniti nel 1965 dalla regina inglese Elisabetta dell'Ordine dell'Impero britannico. Sciolgono il loro complesso nel 1970. Fra le loro canzoni: Yesterday, Please please me, Michelle, Hey Jude, Let it be.
Dal 1967 al 1974 la musica rock esplode con milioni di dischi venduti, concerti spettacolari, migliaia di fans, oceanici festival che sono dei veri e propri happening mondiali (Woodstock negli Stati Uniti, Wight, isola in Gran Bretagna): i testi delle canzoni, i comportamenti dei cantanti diventano punti di riferimento per i giovani intervenendo a esprimerne e mutarne i comportamenti.
Nel filone del rock si inseriscono anche il nero Jimi Hendrix, Frank Zappa ed alcuni cantanti di musica folk come Janis Joplin e Bob Dylan, Joan Baez, la cui canzone "We shall overcome" diviene l'inno di tutti i movimenti pacifisti) e inoltre anche gruppi inglesi come i Pink Floyd, o King Crimson, ecc. Soprattutto Bob Dylan, cantante statunitense, con i suoi concerti al Greenwich Village di New York è sentito dai giovani degli anni Sessanta come interprete sia della protesta giovanile sia del pacifismo e dell'antirazzismo. Fra i suoi album: The Freewheelin' Bob Dylan, Bringing It All Back Home, Highway 61 Revisited, Nashville Skyline. Canzoni celebri: "Like a rolling stone"
In Italia il rock dà vita al fenomeno degli urlatori (Tony Dallara, Mina, Adriano Celentano). Alla fine degli anni Sessanta diventano invece famosi i cantautori: fra essi, Francesco Guccini con la canzone "La locomotiva" che è espressione significativa del clima culturale del '68.
Ferrante Mariella
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