E' un paradosso e un'ingiustizia tutt'altro che secondaria in una società occidentale e dimostra quanto il perseguimento del bene comune sia tutt'altro che reale.
del 19 gennaio 2010
 
I dati emersi da una recente indagine sull’aumento dei single nel nostro Paese dovrebbero tutti farci riflettere. Dei bamboccioni, single non usciti dal nido dei genitori, abbiamo già detto diffusamente. A loro si dovrebbero aggiungere quei single che solo apparentemente vivono soli, soli cioè in tutto ma tranne le coccole casalinghe, lavaggio e stiraggio per esempio, che rimangono appaltati alla mammina.
 
Tuttavia, il 50,6 per cento dei milanesi sono single e la percentuale è cresciuta a dismisura, negli ultimi anni. Tutto ciò è segno dei tempi: lunghi decenni nei quali, con la famiglia, si è scherzato. Prima imputando la fiscalità individuale e abolendo quella del nucleo famigliare, poi scherzando ad ogni campagna elettorale con promesse che non si è voluto - a volte potuto - mantenere (deduzioni, quoziente familiare etc.).
Si aggiunga che le politiche di “uscita dalla famiglia d’origine” nel nostro Paese sono minime, non ci sono sostanziali sostegni all’affitto dei giovani e ad ogni Finanziaria c’è una lotta all’ultimo sangue per rimpolpare il fondo per le giovani coppie. Infine, emerge un piccolo paradosso statistico: l’Istat valuta nello stesso calderone delle famiglie i single e i genitori con figli.
Rimane un doppio rammarico rispetto al quale la stragrande maggioranza degli italiani e dei benpensanti commentatori continua a chiudere gli occhi. Il primo di essi ci proviene dalla stessa indagine, pubblicata dal Corsera, ed è il dato sulla soddisfazione di “essere single”. Solo il 15 per cento è soddisfatto e ha scelto consapevolmente questo stile di vita. Ciò porta a riflettere e agire sul perché la nostra società impedisca al 35 per cento dei milanesi e ad una buona percentuale di italiani di vivere perseguendo il loro desiderio di genitorialità.
E’ un paradosso e un'ingiustizia tutt’altro che secondaria in una società occidentale e dimostra quanto il perseguimento del bene comune sia tutt’altro che reale. Secondo paradosso, altrettanto incredibile, è il tifo sfrenato che da molte parti, non da ultimo dai mass-media, proviene verso una forma di vita solitaria. Tralascio l’errore tanto devastante sul piano antropologico della visione individualista e della riduzione della persona a fascio solitario e consumista.
Se ci fosse una società esclusivamente fatta di single, sarebbe una società morta, la cui parola fine è già scritta. Niente figli, niente relazioni stabili, nessuna preoccupazione per una posterità. Questo è il modello di società, di cui ancora purtroppo paghiamo il prezzo salato, che aveva preso piede in occidente negli anni ’70 e ’80 e che ha portato con sé proprio la crisi speculativa degli ultimi anni.
Le riflessioni di Del Noce sulle conseguenze a cui avrebbe condotto la società consumista, le drammatiche prose e i tanti articoli di Pasolini sui medesimi pericoli, devono tornare di attualità, uscire dal limbo, emergere nel dibattito pubblico. Leggere l’indagine sui single e non riflettere sui problemi civili che questi numeri portano, sulle ingiustizie di cui sono frutto e sulle azioni che impongono, sarebbe troppo comodo o, diversamente, troppo folle.
L’insoddisfazione dei single da un lato e la necessità di costrutto civile e posterità familiare dall’altro, ci devono indurre all’unica tentazione ragionevole: agire per il bene comune a partire dalla cellula sociale iniziale, la persona educata e la famiglia valorizzata. Diversamente, un mondo di zombie sazi e solitari ci mangerà tutti quanti.
Luca Volontè
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