«I politici cattolici? Non seguono la Chiesa»

Una nuova generazione di politici cattolici «è difficile che si realizzi» se i cattolici continueranno a conformarsi «al mondo e ai suoi venti di opinione» invece che ispirarsi alla dottrina sociale della Chiesa. È difficile che si realizzi una nuova generazione di politici cattolici, se la riflessione culturale rimane così frammentata.

«I politici cattolici? Non seguono la Chiesa»

da Quaderni Cannibali

del 10 giugno 2011

 

          Una nuova generazione di politici cattolici «è difficile che si realizzi» se i cattolici continueranno a conformarsi «al mondo e ai suoi venti di opinione» invece che ispirarsi alla dottrina sociale della Chiesa. Lo sostiene in questa intervista il vescovo di Trieste Gianpaolo Crepaldi, autore del recente manuale Il cattolico in politica (Cantagalli), che critica l’uso di «slogan ecologisti» da parte di molte associzioni cristiane in vista del referendum sull’acqua e descrive come, a suo parere, dovrebbe essere la «casa comune» dei cattolici in politica a partire dai «principi non negoziabili», cioè la difesa della vita, della famiglia e della libertà di educazione.

          Molte associazioni cattoliche hanno messo in guardia dalla privatizzazione dell’acqua. Come vede il voto al referendum?

          Mi sembra si sia concesso troppo agli slogan ecologisti e non si sia affrontato il problema con i dovuti riferimenti alla dottrina sociale della Chiesa. Il referendum riguarda la gestione dell’acqua qui da noi, in Italia, non nel Corno d’Africa o in Mauritania. La gestione della rete idrica è cosa diversa dalla proprietà e dal controllo, e può essere affidata sia ad aziende pubbliche o semipubbliche sia a soggetti privati, a seconda delle situazioni e delle opportunità. I quesiti referendari sono stati caricati da parte cattolica di eccessive valenze ideologiche o addirittura salvifiche con contrapposizioni inaccettabili. Lo stesso concetto di “privatizzazione” dell’acqua è fuorviante. Questo tipo di approccio superficiale – si pensi alla strumentalizzazione di San Francesco cui abbiamo purtroppo assistito – denota una incertezza e povertà culturale nell’affrontare i problemi.Ai ballottaggi i «principi non negoziabili» non sembrano aver pesato molto nel voto cattolico, come si è visto a Milano. Perché?

          I richiami ad una coerenza personale con alcuni valori umani fondamentali non hanno un significato elettoralistico. Per i pastori sono un dovere. Bisogna però riconoscere che su questo c’è ancora molto da fare. La penetrazione nella base dei nostri fedeli delle indicazioni del Papa sui “principi non negoziabili” non è ancora avvenuta. Prevale una notevole confusione che, in occasione del voto, si traduce in disorientamento. Ma la diaspora, in questi casi, è frutto di una precedente diaspora culturale. Alle recenti amministrative non è stato sufficientemente chiarito come i principi non negoziabili siano oggi di fondamentale importanza anche negli enti locali.Secondo lei il caso Ruby quanto ha influito nel recente voto amministrativo?

          Non saprei rispondere. Noto che oggi la morale in politica è strattonata di qua e di là, usata, strumentalizzata. E non mi riferisco solo alla morale pubblica e alla morale privata. Chi ha fatto di tutto per dare legittimità ad ogni comportamento morale diventa poi un censore; catene di giornali che insieme contano più di un partito, anzi per molti versi oggi sono l’unico vero partito organizzato, impalcano campagne di moralizzazione pubblica. Oggi il mondo politico è pieno di moralizzatori: è un segno non da poco della grave crisi della politica. L’elettore medio si fa guidare da mille valutazioni: dal sentito dire, dalle impressioni, dalle promesse, dalla simpatia, dagli slogans, dalle barzellette… si crea così un’aria, una tendenza, un flusso epidermico di sensazioni che determinano anche l’esito elettorale. Gli elettori, per fortuna, non sono tutti politologi, ed è comprensibile che si creino queste tendenze collettive e controtendenze. Il fiuto politico dovrebbe sintonizzarsi con tutto ciò, prevenire, intervenire al momento giusto per correggere. In politica non bisogna arrivare troppo tardi, a tempo scaduto. Per i cattolici, si ritorna al tema della formazione. La Chiesa chiede una nuova generazione di politici cattolici. Non crede però che il protagonismo delle gerarchie abbia indebolito la presenza pubblica dei cattolici?

          È anche vero il contrario. I cattolici laici sono spesso afoni. Non riescono a trovare punti significativi di raccordo e di incisività. Soprattutto non c’è un luogo unitario in cui stabilire le priorità e i criteri. Si finisce per fare l’enciclopedia dei problemi e per porre tutto sullo stesso piano: il sì all’acqua è visto come un dovere imprescindibile e intanto il trentesimo anniversario del referendum sull’aborto è passato quasi inosservato. Molteplici tentativi di raccordo nel cosiddetto “prepolitico” non hanno prodotto granché. La conseguenza è che i cattolici impegnati sono spesso vittime delle ideologie e pensano di esprimere una posizione cattolica quando invece si adeguano al mondo e ai suoi venti di opinione.La «nuova generazione» di politici cattolici rimarrà dunque un sogno?

          È difficile che si realizzi, se la riflessione culturale rimane così frammentata. Basta prendere alcuni settimanali diocesani e leggere gli editoriali dei direttori: rappresentano tutto l’arco politico. A volte mi domando: sono di più le cose su cui i laici cattolici sono in disaccordo o quelle su cui sono in accordo? Bisogna cominciare da qui.I cattolici a disagio nell’attuale sistema ritroveranno una casa comune?

          Serve una maggiore omogeneità di cultura politica ispirata alla dottrina sociale della Chiesa, capace di individuare delle priorità: una condizione che oggi manca e si è fatto poco per promuoverla. Mentre si prepara il futuro, però, non si può essere qualunquisti: si dovrebbe stare dalla parte che garantisce la tenuta dei principi non negoziabili. Se si creerà qualcosa di nuovo, non potrà essere confuso sul tema dei valori di riferimento, non potrà rieditare un moderatismo neocorporativo che accontenta tutti, non potrà nascere sulle ambiguità, e dovrà essere coerente con i principi non negoziabili.Oltre ai “valori non negoziabili” ci sono però anche le emergenze sociali, come ad esempio quella del lavoro…

          Un impatto di disgregazione sociale non ce l’ha solo la disoccupazione o la precarietà lavorativa. Un ulteriore scivolamento sul terreno dell’uso degli embrioni umani, del suicidio assistito, del divorzio breve, del riconoscimento delle coppie omosessuali sarebbe disastroso per la tenuta morale e anche sociale complessiva della nostra nazione. Non mi sembra che questa emergenza sia molto presente nella consapevolezza dei cattolici, tanto solleciti invece per un problema di gestione dell’acqua.

Andrea Tornielli

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