Ci stupisce la semplicità dell'essere uomini così, cioè cristiani. Mercoledì sera ero in quella piazza San Pietro, fra centomila persone contente ed emozionate. Nel cristianesimo tutto è preghiera: noi non possiamo far nulla senza di Lui, neanche essere fratelli.
“Buonasera”. Così ha esordito papa Francesco. E siccome noi non siamo più abituati a vivere in un Paese in cui “buonasera” significa semplicemente “buonasera”, come diceva Cesare Zavattini, ci ha stupito.
Ci stupisce la semplicità dell’essere uomini così, cioè cristiani. Mercoledì sera ero in quella piazza San Pietro, fra centomila persone contente ed emozionate.
E quando, dopo quel saluto inatteso, il nuovo papa ci ha chiesto di recitare con lui – per Benedetto XVI – il “Padre nostro”, la preghiera più antica, la preghiera di Gesù, quella che da duemila anni hanno recitato tutti i cristiani, quella che insegniamo ai nostri figli piccoli, insieme all’Ave Maria e al Gloria, è apparso chiaro – ed è stato meraviglioso – che si è cristiani proprio per quell’abbandono fiducioso con cuore di bambini.
Poi, a braccio, il Papa ha detto che desiderava per tutte le chiese “un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi” e ha aggiunto: “preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza”.
MISERICORDIA
Sono parole che hanno la semplicità accorata e la rocciosa concretezza delle parole che sgorgano dal cuore dei padri e delle madri per la felicità dei figli. E soprattutto ci ricordano che nel cristianesimo tutto è preghiera: noi non possiamo far nulla senza di Lui, neanche essere fratelli. Del resto non si può dire nemmeno nulla al Signore se non domandando.
Il giorno dopo – come primo gesto del suo pontificato – ha portato i fiori alla Madonna, nella più antica delle sue basiliche. Come fanno i figli con la Madre e come fanno gli uomini innamorati. E ha pregato in ginocchio davanti all’icona di Colei che è “Salus populi romani”.
Lì a Santa Maria Maggiore ha raccomandato ai sacerdoti dei confessionali di far sentire a tutti la misericordia del Signore, perché è di questo abbraccio del Padre che ogni uomo ha bisogno, perché tutti sono segretamente feriti e soli.
Con papa Francesco ogni cosa torna semplice, secondo lo stile del santo di Assisi. Una letterale adesione al Vangelo. Sine glossa. Così anche quel ripetuto definirsi “vescovo di Roma” è di certo un segno di umiltà e fa presagire un certo tipo di pontificato, ma anzitutto è la definizione originaria del Successore di Pietro, che ci porta di colpo alle sorgenti, dove tutto accadde. Perché l’essenza di ogni cosa si rende evidente nella sua origine.
IL DIAVOLO
Ma noi sappiamo leggere questi gesti, queste parole, questi segni con la semplicità, il cuore e la mente di papa Francesco? Forse no, i media soprattutto: dobbiamo riconoscere che siamo intossicati dall’ideologismo. Volete un esempio?
Nei primi due giorni di pontificato, papa Francesco per due volte mette in guardia dal diavolo e subito salta fuori il solito grande giornale a spiegare che la cosa “va interpretata” (insomma “il diavolo” sarebbe una questione simbolica o una personificazione e bla bla bla).
Invece quando il Papa parla del diavolo intende proprio il diavolo. Punto e basta. E così quando ripete che senza Gesù Crocifisso nulla ha senso. Neanche fare gli attivisti di cause sociali e umanitarie o l’essere cardinali.
Lo ha detto proprio a loro: “Noi possiamo camminare quanto vogliamo, possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo a Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ong pietosa, ma non la Chiesa, sposa del Signore”. E così “succede quello che succede ai bambini sulla spiaggia quando fanno i castelli di sabbia, tutto viene giù, è senza consistenza”.
Anche Francesco d’Assisi stupiva. Perché era cristiano? No. A quel tempo tutti erano cristiani. Ma Francesco aveva qualcosa di particolare: tutto quel che lui era, diceva e faceva rimandava all’umanità di Gesù. La ricordava. Lui era così commosso dall’umanità del Figlio di Dio e ne aveva così pieni il cuore, la mente e gli occhi che tutti, incontrandolo, si commuovevano di lui e quindi dell’umanità di Gesù.
POVERTÀ
Anche oggi tante cose che nella Chiesa si dicono e si scrivono rimandano a idee cristiane e si riferiscono a contenuti cristiani. Ma – come ha scritto un mio maestro nella fede – sono idee, sono parole cristiane in cui spesso non c’è più l’umanità di Gesù (e quindi i sacramenti). Pure l’amore per la povertà di Francesco, la sua passione totale per Madonna Povertà (come la canta Dante nella Commedia), non era un ragionamento sociale, ma era stupore e amore per l’umanità di Dio che ha spogliato se stesso ed è venuto a morire per noi.
Così domenica scorsa papa Francesco è tornato a ripetere questa parola: povertà. L’ha detta a braccio, parlando ai giornalisti, come un sospiro che gli usciva dall’anima: “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”.
E’ una frase significativa, che contiene il desiderio di liberare la Chiesa da tante sovrastrutture, orpelli e da molta mondanità, per far trasparire il suo unico tesoro “Gesù Cristo crocifisso”.
Infatti non è la potenza dei mezzi umani ad aver convertito il mondo al cristianesimo duemila anni fa, ma – al contrario – la “potenza di Dio” che si manifesta di più quando siamo deboli e confidiamo in Lui anziché in noi.
E poi l’amore alla povertà per papa Francesco è anzitutto la sua personale scelta di vita, non un discorso ideologico.
Il suo amore per i poveri non è una battaglia politica, ma la passione per uomini e donne in carne e ossa, per il loro bene e la loro felicità. Per la salvezza di tutti.
Vengono in mente quelli che, nella Chiesa, sono stati e sono i più grandi testimoni di questo amore per i poveri. Non gli ideologi e i politicanti, ma – con Francesco d’Assisi – persone come Madre Teresa di Calcutta, come Fratel Ettore, missionari come padre Augusto Colombo, “l’apostolo dei paria” o – per venire in Italia e alla nostra generazione – come Chiara Amirante o come i padri francescani e comboniani dei tanti sperduti lebbrosari del Terzo Mondo.
E tanti altri nomi si potrebbero fare perché le nostre povertà, bisognose di aiuto, che invocano speranza e redenzione, sono innumerevoli, non solo economiche, ma spirituali, esistenziali, sono disperazioni, malattie, solitudini, sofferenze, dipendenze, schiavitù, oppressioni di ogni tipo.
MIRACOLO
In questi deserti, quando si incontra una presenza così diversa, piena di misericordia, ci sorprende, ci commuove e fa pensare al miracolo. Il cristianesimo è proprio un incontro che stupisce come un miracolo .
Mi sono imbattuto in un pensiero di don Luigi Giussani (citato dal sito “Piccole note”) che fa capire bene cosa sta accadendo e cosa accadrà con papa Francesco:
“Noi siamo in un tale degrado universale che non esiste più niente di ricettivo del cristianesimo se non la bruta realtà creaturale. Perciò è il momento degli inizi del cristianesimo, è il momento in cui il cristianesimo sorge, è il momento della resurrezione del cristianesimo. E la resurrezione del cristianesimo ha un grande unico strumento. Che cosa? Il miracolo. E’ il tempo del miracolo”.
Antonio Socci
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