C'è un pezzo di terra rubato 25 anni fa ai palazzinari e al cemento, nel cuore del Laurentino 38. È proprio un fazzoletto verde, con un po' di giardino, un campo di calcetto e uno di pallacanestro. Continua con un lembo di terra diventato orto, poi sotto c'è una "marana".
del 29 aprile 2010
 
           C’è un pezzo di terra rubato 25 anni fa ai palazzinari e al cemento, nel cuore del Laurentino 38. È proprio un fazzoletto verde, con un po’ di giardino, un campo di calcetto e uno di pallacanestro. Continua con un lembo di terra diventato orto, poi sotto c’è una 'marana', uno di quei laghetti un po’ pozzanghera di Roma in cui anni fa morì annegato anche un bambino.
 
           Questa, alla fine di via Paolo Buzzi, è la «Polisportiva Joyce», che però i ragazzi di questo rione grande come una città chiamano i «Campi di Tonelli». Lui, Alfredo Tonelli, non ha mai capito perché i ragazzi lo chiamano per il cognome. «A Tonè!», dice appunto un ragazzo che entra dal cancello, è il primo ad arrivare. Gli stende il cinque. «Questo è pure russo!», dice Tonelli presentando Kirill. Il ragazzo, intanto che arrivano gli altri, tira calci a un pallone, sotto gli occhi di Isco e di Shiva, due cani che in qualche modo, come i ragazzi del Laurentino 38, hanno avuto una famiglia difficile. Tonelli, che cosa ha fatto? «Ho 'cosato' – dice schietto – e ho preso anche loro». I due cani – ci assicura – abbaiono solo quando qui entra un estraneo». E infatti ecco un abbaiare, ma poco convinto. Tonelli li tranquillizza: «Boni! Sta con me».
           Alfredo Tonelli, che oggi ha 66 anni, è rimasto vedovo. Qui la moglie Giuseppina gli dava una mano. Adesso i due figli, Andrea e Adriano, l’aiutano in questa straordinaria impresa che finanzia togliendo qualcosa alla pensione di tranviere. Per 20 anni ha condotto gli autobus che, sempre gonfi di gente, scivolano lungo la Laurentina. «Venni qui da San Paolo, – dice Tonelli, che ogni tanto si interrompe per salutare quelli che arrivano alla spicciolata – e qui sembrava un altro monno. ’Anvedi, semo tornati a 50 anni fa, coi regazzini che camminavano con le ciavatte ai piedi».
           'Sor' Tonelli (e chiamiamolo dunque anche noi così!) viene dalla scuola dei Giuseppini del Murialdo che tanta attenzione hanno sempre dedicato ai giovani: giunto al Laurentino per prima cosa pensò a loro. Veniva su quella cooperativa, che poi gli ha dato casa e, aiutato dagli altri soci, ha creato questo piccolo miracolo in mezzo al cemento. «Una volta – racconta – un ragazzo mi chiese: ’A Tonè, ma Gesù chi è? E allora mi resi conto che chiedevano aiuto, perché sono ragazzi ai quali nessuno ha mai dato nulla, e sono capaci di commuoversi anche solo se gli regali un paio di guantoni per giocare in porta».
           Sono più di duecento i ragazzi che frequentano questa singolare polisportiva, così povera che non ha nemmeno la corrente elettrica, perché anche a Tonelli nessuno ha mai dato nulla. Vanno da un’età compresa dagli otto a... «nun se sa» – come dice lui –, perché continuano a passare di qui quelli che una volta erano ragazzini e adesso portano i figli. Al Laurentino non c’è altro posto dove andare. Anche la sua casa è diventata di fatto 'casa famiglia' per le situazioni più difficili: i ragazzi che scappano di casa. Quelli che lo chiamano di notte e gli dicono: «A Tonè, so’ scappato da casa, perché papà me mena. ’Ndo vado?» Lui risponde: «E dove voi annà, fijo mio, vieni a casa, no?».
           Molti dei ragazzi che giocano nelle squadre create per i tornei del Laurentino (c’è la Colombo, per la strada che corre là vicino, e la Nottingham Forest, ma non si sa perché si chiama così) hanno una storia difficile: genitori separati, qualche papà in galera e poi anche droga e violenza. Ce n’è abbastanza per esplodere, per lasciarsi andare e abbandonarsi a tutto. Qualcuno stava per caderci, perdersi e morire, come finire in una 'marana' fatta con il fango del malessere e dell’abbandono.
           Lo hanno salvato i quattro calci dati a un pallone con una maglietta della Roma sognando di essere Totti che dribbla Samuel, tira e fa goal. Poi i ragazzi gli dicono grazie, ma non è questo che conta per Tonelli: «Conta che, 'cosando' qui, non hanno fatto una brutta fine». Una volta sereni, e basta un pallone per far felice un ragazzino, nascono le domande come quella su Gesù. Tonelli li affidava una volta a padre Gianni Passacantilli che adesso è parroco in una chiesa a San Lorenzo: «Quanto è bravo. Solo che è d’a Lazzio. Che ci vuoi fare!?» Don Gianni ha dato a molti la prima comunione, li ha portati alla cresima e qualcuno anche al matrimonio, partendo dalla risposta alla domanda: «A Tonè, ma Gesù chi è?».
           Tonelli li ha visto crescere, diventare grandi nel rispetto di sé e degli altri. Li ricorda tutti, ma per lui tutti si somigliano, come questi che arrivano adesso dal cancello: «A Toné, come butta?». Per 365 giorni all’anno passati così, a Tonelli è stato conferito il premio Leonardo Murialdo «Una vita per la gioventù», perché – dice la motivazione – «usa tutta la sua dolcezza e la sua pazienza per orientarli a una vita civile e onesta a far riscoprire la dignità e il rispetto, i valori morali e religiosi, l’ideale della famiglia e della patria». E questo spiega anche il tricolore in mezzo al campetto. «Toné, mettemo quella d’’a Roma», chiedevano gli uni. «Tonè – lo strattonavano gli altri – mettemo quella d’’a Lazzio». Lui srotolò questa bandiera e disse: «No, noi mettemo questa, perché prima de tutto semo italiani».
Giovanni Ruggiero
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