I semi di violenza sono quelli posti nei cuori della gente da giornalisti che, mentre condannano le forme della violenza, di fatto la coltivano, alimentando sentimenti di odio, di vendetta, di pena, con interviste strappate in diretta, quasi in contemporanea, alle vittime delle violenze.
del 14 gennaio 2008
È il titolo di un film sul dramma del razzismo, una violenza che contagia ancora oggi troppa gente e contrasta in modo netto con l’insegnamento di Gesù, venuto ad abbattere qualsiasi muro e divisione tra i popoli della terra.
I semi di violenza sono quelli posti nei cuori della gente da giornalisti che, mentre condannano le forme della violenza, di fatto la coltivano, alimentando sentimenti di odio, di vendetta, di pena, con interviste strappate in diretta, quasi in contemporanea, alle vittime delle violenze.
Sotto la spinta dell’emotività, della sofferenza subita, sono «costrette» a dire cose e dare giudizi, che non darebbero se non fossero davanti alla telecamera o assediate dai microfoni di giornalisti, che devono sapere tutto per condannare o giustificare, in spregio a tutte le leggi etiche della privacy e del rispetto delle persone, coinvolte nel dramma della violenza, in nome dell’Informazione, eretta quasi a religione.
Ecco allora il padre che invoca la pena di morte, mentre sarebbe più logico, più umano, più secondo il Vangelo, che il peccatore viva, risponda del male fatto, sconti la sua pena e possa risorgere a vita nuova, sciolto dai legami con il male, assolto dall’uomo quasi prima ancora che da Dio. Ecco, davanti alle pressioni dei giornalisti, chi rimprovera «la mitezza» della pena, considerando i dieci o quindici anni o i vent’anni di carcere come una vacanza al mare.
Chi conosce la realtà del carcere, perché l’ha vissuta sulla sua pelle, perché vi lavora o perché «volontariamente recluso» come il sacerdote cappellano o il volontario, sa cosa significa il tempo che non passa, il tempo bruciato, inutilizzato, soprattutto se non è vissuto come «tempo della penitenza» che porta alla resurrezione, alla grande Speranza.
La violenza di certi giudizi è ancor più pesante, se si parla di minorenni: chi li considera perduti per sempre, affermando che vanno condannati con le stesse misure degli adulti. In tempi non molto lontani, i minori erano rinchiusi in carcere con gli adulti, considerati delinquenti alla pari. Don Bosco dopo avere visto questo spettacolo vergognoso, aveva deciso in cuor suo di creare l’oratorio per prevenire che i ragazzi entrassero in carcere e accogliere quelli che vi erano entrati, aiutandoli a inserirsi in modo positivo nella società.
Le pagine scritte sui vari Erica, Omar, Mattia ed altri, sanno poco di Vangelo, ma poco anche di giustizia e di umanità. Certe affermazioni strappate ai parenti non danno quella serenità, utile a loro per vivere e a noi per continuare a operare per il bene, che ci hanno dato le parole di perdono del figlio di Bachelet ai funerali del padre, di tante mamme e «donne coraggio», che hanno saputo perdonare, pur invocando una sana giustizia.
La figlia di un tabaccaio assassinato anni fa dal numero uno della malavita milanese, quando ha saputo della grazia, concessa dopo 23 anni di carcere all’assassino, ha dichiarato alla radio: «Se la morte di mio padre, è servita cambiare il cuore di A.B., io sono contenta del suo martirio, lo accetto di più». Si vive meglio, comprendendo, perdonando, aiutando, anche attraverso il dolore del carcere, la gente a cambiare, che mantenendo nel cuore odio e rabbia e voglia di farla pagare.
Forse qualche giornalista dovrebbe leggere alcune pagine del Vangelo o vivere per un po’ di mesi in carcere insieme a chi vi è rinchiuso per anni. Gli sarebbe reso più facile il suo compito di intervistatore per educare alla speranza e alla riconciliazione e si accorgerebbe che i semi di violenza conducono solo alla morte dei sentimenti, rendendo impossibile ogni resurrezione.
Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano
don Vittorio Chiari
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