I significati delle convivenze pre-matrimoniali. Uno stile di vita e la sua valu...

I riti. Quanti orrori, quanta desolazione, quanto vuoto hanno lasciato i tentativi fatti per negare il loro potere.

I significati delle convivenze pre-matrimoniali. Uno stile di vita e la sua valutazione etica

da Quaderni Cannibali

del 08 marzo 2010

 

Il fenomeno e il suo significato          Convivenza: “Coabitazione accompagnata da una relazione sessuale (il che la distingue da altri tipi di convivenze) e da una relativa tendenza alla stabilità (che la distingue dai legami con coabitazioni sporadiche o occasionali)”.1 Tale coabitazione è caratterizzata dal fatto di ignorare, rimandare o rifiutare l’impegno coniugale.

 

          Diversi tipi di convivenza: eterosessuali e omosessuali. Tra quelle eterosessuali, alcune si realizzano a seguito di divorzio (ad es. tra persone che non vogliono più impegnarsi con vincolo matrimoniale), altre a seguito di separazione (ad es. tra persone che sono in attesa di divorzio o anche di dichiarazione di nullità), altre a seguito di vedovanza (ad es. tra persone per cui un matrimonio in tarda età sarebbe svantaggioso economicamente). Vi sono infine altre convivenze che si realizzano tra persone – per lo più giovani – che non hanno impedimenti giuridici al matrimonio (civile o religioso), ma per vari motivi accedono ad una coabitazione more uxorio. È di queste che in particolare ci interessiamo.          Dalle numerose indagini sul tema, si può rilevare che i motivi che conducono alla convivenza possono essere i seguenti:

a)tradizioni ancestrali: presso alcune popolazioni dell’Africa e dell’Asia si realizza il cosiddetto “matrimonio a tappe” che implica la coabitazione fino al concepimento o alla nascita del primo figlio; b)necessità: situazioni di degrado sociale, emarginazione, ignoranza in cui la convivenza è legata a condizioni di promiscuità e a necessità di sopravvivenza; c)ideologia: un rifiuto deliberato del matrimonio considerato come tomba dell’amore, sulla base di un’antropologia libertaria. Può avere forme più aspre (il matrimonio considerato come “tomba dell’amore”, “prostituzione legalizzata”…) e altre più temperate che considerano la convivenza come una forma di evoluzione storica del modo di essere famiglia, più idonea ai tempi; d)convenienza: la difficoltà a trovare lavoro o a risolvere il problema abitativo induce ad anticipare pragmaticamente la coabitazione; e)esperimento: prima di una scelta così vincolante come il matrimonio si vuole in certo modo verificare ulteriormente la tenuta della coppia dall’interno della convivenza.

         Dando per scontata una valutazione negativa della convivenza come progetto di vita alternativo al matrimonio (c) e tralasciando per la loro peculiarità le convivenze legate a specifici retaggi culturali o a forme di costrizione (a,b), ci confrontiamo sulle convivenze che sorgono per motivi pragmatici o per una sorta di sperimentazione della vita coniugale (d,e). Tali convivenze si caratterizzano per il fatto di non rifiutare il matrimonio, ma di lasciar aperta questa possibilità o anche di intravederla già espressamente sullo sfondo, posticipandola però ad un periodo previo di verifica della coabitazione.

          Le indagini sociologiche mettono in evidenza a riguardo di questa tipologia di coppie alcuni elementi interessanti:

la maggior parte delle coppie giovani eterosessuali conviventi rientrano in questa categoria; esse arrivano alla convivenza spesso più come esito naturale di un modo di condurre il rapporto (es. dopo convivenze parziali nei week-end) che come frutto di una vera decisione deliberata (qualche studioso americano parla di sliding versus deciding); con il passare degli anni, gran parte di esse effettivamente si sposa; un ruolo molto importante nella decisione di sposarsi è giocato dalla scelta di avere un figlio o dal suo arrivo.

          Nell’insieme risulta dunque che la maggior parte dei giovani conviventi non è contraria al matrimonio e non accede alla convivenza come forma di vita stabile. In questo senso la convivenza nella società attuale non sembra avere quel significato di contestazione che aveva negli anni ’60, dove si proponeva come scelta critica nei confronti della compattezza dell’istituto matrimoniale. Vi è anzi chi sostiene che proprio la percezione della fragilità del matrimonio e l’esperienza sofferta delle crisi e dei divorzi – non di rado esperita nel proprio contesto familiare – fa pensare ai giovani che lo standard qualitativo necessario per sposarsi sia superiore al passato e richieda per questo un percorso più prolungato e prudente di avvicinamento. In questo senso, la convivenza non avrebbe un significato “anti-matrimonio”, ma piuttosto “anti-divorzio”.

          Anche sfumando questa valutazione, sembra di poter dire con onestà che la maggior parte dei giovani conviventi sogna una relazione permanente e cerca di superare la paura di un fallimento esplorando l’effettiva possibilità di una vita coniugale con il partner attraverso la coabitazione. In questo senso si tratta di coppie che paradossalmente vivono una relazione “provvisoriamente definitiva”: con tutte le ambiguità di un amore solido “fin che dura”, ma anche con la tensione effettiva ad una crescente stabilità.

          Non va trascurato, infine, il fatto che in questa prospettiva, sempre più diffusa, viene a cambiare anche il significato attribuito al matrimonio: non è più il momento di svolta decisivo per l’inizio di una nuova condizione di vita, con cui si è riconosciuti adulti ed entro cui sono leciti i rapporti sessuali, ma è il momento di consolidamento (sperabilmente) definitivo all’interno del complesso processo di costituzione della coppia (e della famiglia) postmoderna. 

Il contesto culturale           Prima di entrare nel merito della valutazione, è bene richiamare alcuni tratti del nostro contesto sociale e culturale che possono aiutare a comprendere il diffondersi del fenomeno delle convivenze prematrimoniali.

In modo sommario possiamo richiamare:

società complessa (insieme di sistemi non integrati in un universo condiviso) entro cui la famiglia fatica a collocarsi come fattore unificante dell’esperienza e quindi come luogo di iniziazione mutamento dei rapporti tra pubblico (sempre più definito in termini formali) e privato (sempre più percepito in termini emotivi) famiglia affettiva rivoluzione sessuale: alleggerimento ludico della sessualità e mutamento di orizzonte circa la generazione cultura del gender antropologia individualistica del soggetto autoreferenziale (e sue ricadute sul modo di intendere diritti e doveri,… fino all’impostazione del diritto di famiglia) relativismo etico e cultura del provvisorio (conseguente precarietà delle scelte definitive -esperienza che vale adesso, qui e per me) …ma anche il prolungarsi del tempo degli studi, la precarietà del lavoro, il diverso ruolo sociale della donna, la maggiore autonomia economica dei singoli ecc.

           Complessivamente nel sentire diffuso si sta diffondendo un atteggiamento di sostanziale tolleranza nei confronti delle convivenze prematrimoniali. Anche quando non sono approvate, esse non sembrano suscitare più scandalo. Spesso anche tra genitori cristiani vi è un atteggiamento di resa, di fronte a un fenomeno che pare inarrestabile e insolubile e si impone come un dato di fatto.Anche in ambiente ecclesiale (ad esempio nei corsi prematrimoniali) pare di cogliere uno spirito complessivamente indulgente.

          È importante tenere conto di questo “clima”, perché incide fortemente sul fenomeno: la tolleranza/accettazione fa sì che la coppia non si senta trattenuta da questo passo e quindi non sia condotta a motivarlo profondamente a se stessa e agli altri. L’indagine del CISF sulle “convivenze all’italiana” giunge a concludere che il motivo principale per cui i conviventi convivono è che “non vi sono buoni motivi per non farlo”.

          Tale “clima” può essere inoltre un condizionamento significativo sul discernimento etico e pastorale anche per il teologo, per il presbitero, per l’operatore pastorale.

La tesi della convivenza come opportunità           Alcuni autori suggeriscono di intendere il fenomeno delle convivenze come un’opportunità pastorale e propendono quindi per un giudizio morale sfumato. Le loro argomentazioni fanno leva principalmente su questi motivi:

occorre superare una visione che appiattisce indiscriminatamente tutti i tipi di convivenze sotto un giudizio negativo; non si deve focalizzare l’attenzione unicamente sul tema delle relazioni sessuali prima del matrimonio e considerare questo elemento come unico fattore dirimente; vi sono notevoli differenze nel modo di impostare la vita tra le coppie conviventi che escludono il matrimonio e le coppie conviventi in qualche modo orientate ad esso (uncommitted e committed cohabitation): occorre al riguardo superare alcuni pregiudizi (es. che le coppie che hanno convissuto siano meno stabili) e a centrare l’attenzione più sulla volontà di impegno reciproco (committed cohabitation) quale fattore qualificante l’esperienza della convivenza;1 le convivenze attuali non sono altro che il ripresentarsi, in altra forma, di una situazione che è sempre esistita nella Chiesa e che richiede di riscoprire il ruolo antico degli sponsali (consenso de futuro) che, secondo alcuni autori, rendevano lecita la relazione sessuale prima delle nozze vere e proprie; assumendo questo giudizio sfumato e ponendosi a fianco dei conviventi la Chiesa diverrebbe leader nel promuovere l’educazione affettiva dei conviventi, anziché suscitare le diffidenze di gran parte dei giovani.

 

La tesi della convivenza come inconveniente

           La dottrina della Chiesa mantiene tuttavia un giudizio negativo sulle convivenze prematrimoniali. Ritengo che tale giudizio sia più che giustificato e questo per tre ordini di motivi che riguardano rispettivamente il rapporto (1) tra affetto e impegno, (2) tra libertà e istituzione, (3) tra amore coniugale e evento cristologico.

1.Circa il rapporto tra affetto e impegno, o se si vuole tra sentire e volere, nella convivenza prematrimoniale vi è di fatto un deficit di decisione. (a) L’amore può essere saputo sempre e solo in quanto creduto, cioè attraverso la corrispondenza pratica al carattere promettente dell’apparire dell’altro, e non invece attraverso l’esperimento. Per questo il passaggio dal momento del sentire al momento del decidere è esattamente il “lavoro” richiesto dall’amore (cfr. Botturi). Non è che prima ci si ama coniugalmente e poi si decide di sposarsi, ma si impara cosa è l’amore coniugale attraverso le decisioni che esso richiede. (b) L’idea dell’esperimento è comunque fatalmente ingannatrice: ciò che si sperimenta non è la vita di due coniugi (con le responsabilità verso i figli, i momenti difficili e bui, il passare delle stagioni della vita….), ma alcuni mesi/anni di convivenza in giovane età, di solito senza figli. (c) In ogni caso l’intimità sessuale fuori dal contesto di una scelta totale per l’altro è comunque un disordine morale. 2.Circa il rapporto tra libertà e istituzione, nella convivenza opera di fatto un’idea privatistica e soggettivistica dell’amore, che conduce non solo a sottovalutare gli aspetti sociali della vita di coppia (di cui la coppia deve rispondere, perché in essa è in gioco sempre qualcosa di più della somma dei due) ma il ruolo che l’istituzione ha come mediazione della libertà. Il riferimento al carattere istituito e sociale non è un limite per la libertà, ma la condizione della sua realizzazione, come appare anche dal fatto che i conviventi guardino di fatto al modello costituito dal matrimonio. 3.Circa il rapporto tra amore coniugale e evento cristologico, nella convivenza (a) viene sottovaluta l’originaria risonanza sacra dell’esperienza dell’amore, ovvero il fatto che in essa si annunci la provocazione a decidere su Dio e davanti a Dio. Nella visione cristiana poi (b) il riferimento al mistero pasquale di Gesù e quindi alla sacramentalità del matrimonio non può in alcun modo essere intesa come realtà che si “aggiunge” alla storia della coppia, ma solo come ciò che fin dal principio è il fondamento insostituibile dell’amore coniugale. (c) Quanto meno tale fondamento viene decifrato nella persona di Gesù, tanto più viene cercato altrove, fatalmente nel partner, caricato di insopportabili attese messianiche.

           Scontate tutte le difficoltà obiettive in cui si trovano i giovani che desiderano sposarsi, si può comunque sostenere che complessivamente la convivenza prematrimoniale corrisponde all’orientamento postmoderno di una adolescenza prolungata, che trattiene l’uomo e la donna dal decidere definitivamente di sé, come se ci fosse sempre un difetto di evidenza per rendere possibile la decisione. A questo difetto in nessun modo l’esperimento può porre rimedio. In estrema sintesi: non è la somma delle esperienze che determina la decisione, ma è la decisione che determina la qualità dell’esperienza. La decisione a proposito dell’amore può avere solo la figura del credere, il cui ultimo fondamento è l’evento cristologico.

           La tesi andrebbe approfondita per riferimento al ruolo che il rito ha per la decisione et quidem per la decisione matrimoniale. Compito del rito è esattamente mediare all’accesso a ciò che è più proprio dell’uomo e che egli non può attingere se non a partire da ciò che lo precede e lo trascende. Non a caso nella sua radice il rito è sacro.

           Non essendo possibile in questa sede elaborare una tesi teorica così impegnativa, mi limito a riportare una pagina autobiografica assai convivente dello scrittore Tiziano Terzani:

“I riti. Quanti orrori, quanta desolazione, quanto vuoto hanno lasciato i tentativi fatti per negare il loro potere. La Cina ha perso gran parte della sua anima antica nel tentativo comunista di reprimere e cancellare i vecchi riti. La Russia, dopo settant'anni di regime sovietico che aveva azzerato quell'aspetto della sua vita, è ora diventata un facile mercato di anime per tutte le sette protestanti americane e per i loro riti. E l'Occidente, il mio mondo? Nella spinta laica e iconoclasta verso un'idea tutta materiale di libertà individuale, abbiamo combattuto una lunga tradizione, abbiamo ridicolizzato ogni credo, eliminato ogni rituale, togliendo con questo il mistero, cioè la poesia, dalla nostra esistenza.Si nasce, si vive e si muore ormai senza che una cerimonia, senza che un rito marchi più le tappe del nostro essere al mondo. L'arrivo di un figlio non comporta alcun atto di riflessione, solo la denuncia all'anagrafe. Le giovani coppie ormai convivono, non si sposano più e il solo rito a cui partecipano è quello del trasloco. Non marcano quell'inizio di una nuova vita neppure cambiandosi la camicia. E mancando la cerimonia-iniziazione, manca la presa di coscienza del passaggio; mancando il contatto simbolico col sacro, manca l'impegno. Spesso la comunione che ne nasce è solo quella del sesso e della bolletta del telefono. La morte stessa è vissuta ormai senza la consapevolezza e le consolazioni del rito. Il cadavere non viene più vegliato e il commiato, quando c'è, non è più gestito da sacerdoti o stregoni, ma da esperti in pubbliche relazioni.La fine dei riti l'ho vista realizzarsi nel corso della mia vita e, ora che guardo indietro, mi pesa aver dato, allora entusiasticamente, il mio contributo a questa grande perdita. Quand'ero ragazzo, i neonati - anche quelli dei comunisti come me - venivano ancora battezzati, ai morti si faceva ancora la veglia e un vero funerale, e i matrimoni erano una festa corale officiata non solo dinanzi al divino, ma anche dinanzi a decine di parenti e amici che diventavano così implicitamente garanti di quell'unione.Ma io ero ribelle. Non volli sposarmi e quando lo feci, soprattutto per ragioni di assicurazione malattia, fu in fretta, quasi di nascosto, alla sola presenza dei testimoni indispensabili e davanti a un sindaco che, non volendolo democristiano, dovetti andare a cercare lontano da Firenze, nel comune di Vinci, dove di buono c'era che vi era nato Leonardo. I figli, poi, non li feci battezzare e non fui presente né alla morte di mio padre, né a quella di mia madre.Eppure, da piccolo i riti mi piacevano e ancora oggi ricordo come una delle grandi gioie della vita la vera e propria cerimonia con cui a quattordici anni, per marcare il mio ‘diventare uomo’, i miei genitori mi consegnarono il primo paio di pantaloni lunghi che, poveri com'erano, avevano dovuto comprare a rate. Ma il vento dei tempi tirava in un'altra direzione e io semplicemente volai con quello, dando una mano a distruggere qualcosa che non è stato sostituito con nulla, lasciando un miserabile vuoto”.

Elementi di complessità          A fronte della netta convinzione che la convivenza prematrimoniale sia obiettivamente un inconveniente, inviterei a tenere presenti alcuni elementi che raccomandano un supplemento di ricerca e invitano a riconoscere la diversità delle situazioni singole.

         Sul versante dottrinale un supplemento di indagine mi pare richiesto per chiarire gli elementi dogmatici implicati nel decreto Tametsi del Concilio di Trento, con cui la forma canonica è stata richiesta ad validitatem, e per precisare meglio nelle epoche precedenti l’atteggiamento della Chiesa verso i matrimoni non contratti in facie ecclesiae.

          Sul versante morale, per evitare giudizi massimalistici, occorre saper distinguere la specificità delle situazioni e riconoscere che per alcuni giovani, fortemente condizionati dalla mentalità diffusa, l’intenzione operante nell’accedere alla coabitazione potrebbe essere quella di un positivo avvicinamento alla scelta matrimoniale, seppur realizzato in una forma oggettivamente sbagliata.Sul versante pastorale, il fenomeno delle convivenze rimanda effettivamente a rimettere mano alla questione del fidanzamento, come tappa dell’esistenza che richiede una qualche forma effettiva di riconoscimento sociale ed ecclesiale.

don Andrea Bozzolo

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