Relazione tenuta il 3 genaio 2009 al Congresso Internazionale «Sistema Preventivo e Diritti Umani» da Jean-Marie Petitclerc, Salesiano, Educatore specializzato, Direttore dell'associazione Le Valdoccò di Parigi, Capo missione del Ministro per il buon funzionamento della città di Parigi.
del 03 gennaio 2009
INTRODUZIONE
 
Il sistema preventivo di Don Bosco è ancora di attualità nei riguardi di una gioventù che vive con difficoltà la propria condizione nelle nostre società moderne?
Alcuni tra i nostri contemporanei sono scettici all’idea che un educatore del XIX secolo, per di più prete, sia ancora in grado di fornire una risposta adeguata al momento dal punto di vista pedagogico. La situazione socio-economica dei nostri paesi all’alba del XXI secolo è così differente da quella di Torino nel XIX secolo, eppure entrambe le epoche sono caratterizzate da un elemento in comune, quello di essere una società in crisi. Ai tempi di Don Bosco si passava da una società contadina ad una società industriale, da una società rurale ad una urbana, da una società monarchica a quella repubblicana. Oggi, allo stesso modo, viviamo un periodo di crisi, segnato da importanti cambiamenti sul piano economico, tecnologico e culturale. Stiamo entrando in una società che gli economisti e i sociologi qualificano come post-industriale o post-moderna. E, come in tutte le epoche di crisi sociale, il problema cruciale è trasmettere punti di riferimento: i problemi dei giovani sono sempre più evidenti, soprattutto quelli legati ai fenomeni migratori.
Tutti questi periodi di profondo mutamento sono segnati da forte turbolenza per i giovani che si interrogano sul proprio futuro, soprattutto coloro che sono psicologicamente pi√π fragili e tra questi coloro che vivono in situazioni di esclusione sociale.
L’intuizione geniale di Don Bosco, che resta così attuale nella società odierna, è consistita nel saper decodificare i fenomeni di violenza che egli osservava nelle periferie di Torino, come sintomi evidenti di una mancanza educativa.
Non possiamo dimenticare, che molto spesso la violenza costituisce di fatto il modo più naturale di gestire il conflitto, di esprimere la rabbia. Ciò che invece non è naturale, ma frutto dell’educazione, è la convivialità, la pace, è stabilire relazioni rispettose nei confronti di chi è diverso da noi.
Il problema prioritario che le nostre società moderne devono affrontare è l’educazione. Questa fu l’intuizione di Don Bosco nel diciannovesimo secolo. Ricordiamoci le parole che pronunciò a Parigi, durante il suo viaggio trionfale del 1883: «Non indugiate nell’occuparvi dei giovani, altrimenti loro non indugeranno ad occuparsi di voi!».
Nei periodi caratterizzati dall’incertezza e da una perdita di fiducia verso le istituzioni tradizionali, l’autorevolezza dell’educatore è basata non tanto sul mandato quanto sulla sua credibilità tra i giovani. Tale era la convinzione di Giovanni Bosco, il quale fonda tutto il suo Sistema Preventivo sulla qualità della relazione adulto-giovane. Questa è l’asse portante del progetto pedagogico del “Valdocco” in Francia, che mette in atto azioni di prevenzione tra i giovani in difficoltà delle periferie di Parigi e di Lione.
Non dimentichiamo che oggi, come ai tempi di Don Bosco, sono tre gli elementi che caratterizzano la giovent√π:
• la perdita di fiducia nei confronti degli adulti
• l’angoscia per il futuro
• le difficoltà che si incontrano durante il processo di socializzazione.
 
Ristabilire il ruolo dell’autorevolezza mediante l’elaborazione di una relazione educativa basata sulla fiducia, essere testimoni di speranza per permettere al giovane di proiettarsi verso il futuro, far fare esperienze educative di convivenza tra giovani e adulti, mettendoci in gioco in questa alleanza, questi sono i tre elementi fondamentali del sistema preventivo, che continua ad essere così significativo in questi tempi di crisi.
Soffermiamoci ora su questi 3 valori della pedagogia salesiana: fiducia, speranza, alleanza.
 
 
1) Una pedagogia della fiducia
 
Senza fiducia non c’è educazione. Questo è il principio alla base del sistema educativo di Don Bosco. Solo attraverso una relazione di fiducia tra il giovane e l’educatore si può fondare il concetto di autorevolezza. Tutti gli studi attuali, centrati sul tema della resilienza, confermano che la capacità di cambiamento di un giovane, caduto in comportamenti recidivi, è legata all’incontro con un adulto che ha saputo rivolgere su di lui uno sguardo di fiducia, liberandolo dal proprio passato.
Come instaurare questa fiducia? Don Bosco, lungi dal raccomandare una tecnica educativa, risponde soltanto «con l’affetto». È lui l’educatore del XIX secolo che, dopo tutte le correnti pedagogiche iper-razionaliste del secolo dei lumi, ha riabilitato la sfera affettiva all’interno della relazione educativa. L’esperienza insegna che la sfera affettiva è costitutiva di ogni relazione umana. Così, piuttosto che escluderla all’interno della relazione educativa, egli consiglia all’educatore di saperla gestire per instaurare un clima di fiducia. «Senza affetto non c’è fiducia. Senza fiducia non c’è educazione». Questa è, oggi come ieri, la migliore sintesi del pensiero educativo di Don Bosco.
Un’educazione basata sulla fiducia è una educazione basata sulla ragione. L’educatore agisce in maniera ragionevole, convinto sempre che il giovane è dotato di ragione, è in grado di comprendere dove si trovano i suoi interessi. È su questa convinzione che si basa il sistema preventivo.
Qualunque sia il comportamento di un giovane, per quanto inadatto e sbagliato possa apparire a prima vista, che si tratti di un giovane che sia incappato nella delinquenza, nella tossicodipendenza, o in altri tipi di comportamenti a rischio, egli ha sempre delle ragioni per adottare un comportamento. Non dico, certo, che lui abbia ragione, poiché può fare del male a se stesso e agli altri, ma ha le sue ragioni. E fino a quando l’educatore non avrà decifrato queste ragioni, è proprio la risposta dell’educatore che rischia di essere sbagliata, inadatta o deviante.
 
Ci sono, così ci dice Don Bosco, due modi di educare un bambino:
-la dissuasione : questo è il metodo repressivo, fondato sulla paura di una punizione,
-la persuasione : questo è il metodo preventivo, interamente fondato sul rispetto dei diritti umani del bambino.
Un’educazione fondata sulla fiducia si basa su una fede incrollabile nell’educabilità del bambino, qualunque siano le difficoltà che lo circondano. Credere nei giovani, significa, ritenere ogni giovane, qualunque possano essere le sue povertà, come un’opportunità di crescita per il gruppo e non come un peso. Infatti, a ben pensarci, è sempre il giovane in difficoltà che fa progredire l’educatore nella sua arte pedagogica: egli lo obbliga a porsi delle domande, a rimettersi continuamente in gioco.
 
 
2) Una pedagogia della speranza
 
Il motto trasmesso da Don Bosco ai suoi discepoli, merita di essere compreso : «Il salesiano non si lamenta mai del proprio tempo».
Non si tratta di lamentarsi, ma al contrario di aiutare i giovani ad utilizzare tutti i vettori di progresso verso una società più giusta, più fraterna, più vivibile.
Quanto è importante, con le situazioni che viviamo, insegnare al bambino, all’adolescente a sapersi meravigliare davanti alla bellezza, al progresso! Certamente, bisogna anche metterlo in guardia rispetto alle possibili derive di un uso sbagliato del progresso. Ma attenzione a che il mettere in guardia non blocchi la facoltà di meravigliarsi davanti à ciò che emerge.
«Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce” dice il proverbio africano. È tempo, per il morale della nostra gioventù, di non opprimerli costantemente con il brusio degli alberi che cadono, largamente ripreso dai media, ma di saperli aprire alla bellezza della germinazione.
È questa attenzione al processo di germinazione che caratterizza lo sguardo di Don Bosco verso i giovani. La storia del seme, chiamato a divenire un grande albero, è senza dubbio la più bella parabola sull’educazione. Esistono tre categorie di uomini e donne paragonate al seme. Prima di tutto, c’è chi nel seme non vede altro che il seme (prospettiva limitata!). Poi, c’è chi vedendo il seme non fanno altro che sognare l’albero (ma questi grandi idealisti, sognando, rischiano fortemente di distruggere il seme). Infine, ci sono coloro che vedono la relazione tra il seme e l’albero. Costoro sono allora attenti al terreno.
Educare secondo Don Bosco, significa offrire il miglior terreno per permettere al bambino di radicarsi nell’eredità familiare, sociale, culturale, al fine di schiudersi come nuovo soggetto.
Ed è la gioia che, sempre secondo Don Bosco, caratterizza al meglio un terreno. Gran parte dell’arte educativa consiste nel saper instaurare intorno a sé un clima di pace e di serenità gioiosa. Questa è necessaria per lo sviluppo del bambino. Una infanzia triste è una condanna per noi. La gioia ci sembra essere la componente essenziale del clima educativo salesiano. Tuttavia si tratta sempre meno di una conquista (niente suona più falso dei comportamenti di coloro che sono gioiosi per dovere) quanto piuttosto di un frutto: la gioia è sempre presente in sovrabbondanza in coloro che vivono nella verità e nell’amore.
Vedere nel giovane sia il bambino che è ora sia l’adulto che è chiamato a diventare, questo è lo sguardo che Giovanni Bosco ha sui giovani, questa è l’unica maniera di rispettare il diritto del bambino a crescere. Non si tratta né di mantenerlo per sempre in stato infantile, né di considerarlo un adulto in miniatura.
Sviluppare un progetto che tenga conto del bambino, della sua realtà di oggi e della sua potenzialità di adulto di domani, significa sia “dargli sicurezza” che “responsabilizzarlo”. L’arte del pedagogo salesiano risiede nella sana articolazione tra queste due linee di forza.
Ciò di cui soffrono maggiormente i giovani in difficoltà è la mancanza di sicurezza! I quartieri delle nostre città dove regna la più grande insicurezza, non sono forse i quartieri in cui i giovani si sentono più insicuri quanto al loro futuro?
Dare sicurezza… è saper esprimere il carattere incondizionato dell’affetto che ci lega al giovane... Ma nello stesso tempo è anche essere garante di un insieme di regole che permangono, nonostante i tentativi di trasgressione adolescenziale …
Rassicurare è infine aiutare il giovane a far memoria del successo.
Il dramma di molti giovani che abbandonano la scuola, è che l’istituzione insegna loro solo a ricordare il fallimento, il che genera la perdita di fiducia in sé e la perdita di fiducia in sé riporta di nuovo al fallimento.
Una tale spirale può essere spezzata solo facendo sperimentare il successo. Si tratta sempre di focalizzarsi sul saper fare del giovane, puntare l’attenzione su ciò che sa fare, invitandolo a progredire. Non è forse questo il messaggio che ci ha lasciato Don Bosco quando ci racconta il primo incontro con Bartolomeo Garelli?
Rassicurare ma anche responsabilizzare...in quanto solo esercitando responsabilità si impara a diventare responsabili… Molti adolescenti di oggi soffrono proprio per non avere la possibilità di esercitare alcuna responsabilità reale all’interno della società, e questo è particolarmente vero per i giovani in situazione di esclusione sociale…
Non stupiamoci poi allora dei loro atteggiamenti di fuga! Il più grande dramma dell’esclusione risiede nel sentimento di inutilità sociale che essa genera. Ciò di cui ha maggiormente bisogno un gran numero di giovani non è tanto incontrare adulti che offrano loro aiuto, quanto adulti capaci di dire: «Ho bisogno di te». Nella buonanotte Giovanni Bosco amava dire ai suoi giovani: «Senza il vostro aiuto, non potrei fare nulla.» Sin dall’inizio della sua opera educativa ebbe l’idea di responsabilizzare i più grandi nei confronti dei più giovani.
 
 
3) Una pedagogia dell’alleanza
 
In un mondo segnato dalla tendenza dei giovani di vivere solo tra di loro e dalla difficoltà di relazione inter-generazionale, Don Bosco raccomanda una pedagogia dell’alleanza. Non si tratta di fare per, ma con il giovane, considerato non solo come destinatario, ma come partner dell’azione educativa. «Ho bisogno che ci mettiamo d’accordo … » amava dire nella sua buonanotte. Questo è il segreto di una pedagogia fondata sul rispetto dei diritti del bambino.
Per stabilire una relazione di questo tipo con il giovane è necessario che l’educatore riesca a trovare la sua giusta posizione. Egli deve essere sufficientemente vicino per non essere indifferente, e sufficientemente lontano per non essere considerato indifferenziato.
L’arte educativa consiste essenzialmente nel riuscire a trovare questo punto di equilibrio tra la buona distanza e la buona prossimità al giovane. Ma una delle grandi difficoltà educative -ecco perché questa sembra essere in Don Bosco più arte che scienza -è che questa buona distanza e buona prossimità da stabilire con i giovani dipende da ogni singolo individuo.
E ricordiamo che ciò che è importante in termini di educazione, e lo è ancora di più per quei giovani che hanno carenze affettive, non è l’intenzione che mettiamo nel gesto, ma la percezione che ne ha il bambino; questo richiede fondamentalmente da parte dell’educatore una grande prudenza.
Don Bosco amava ripetere ai suoi educatori: «Non basta amare i giovani, è importante che essi si sentano amati». In altri termini, la cosa essenziale, la più importante è la percezione del bambino.
Questo grande educatore, considerato nella tradizione ecclesiale come «Padre e Maestro della Gioventù » ci viene spesso presentato, nell’immaginario popolare, con i tratti di un funambolo. Mi ci è voluto un po’ di tempo per comprendere la portata di questa presentazione. Certamente, evoca il periodo dell’adolescenza, quando Giovannino giocava a fare il saltimbanco per riunire i suoi amici. Ma ha anche una rappresentazione simbolica: l’arte di educare, non è forse come l’arte del funambolo? Sapere dire di sì, ma anche saper dire di no; essere sufficientemente vicino ma anche sufficientemente distante, rassicurare, ma anche responsabilizzare. È sempre questione di equilibrio. È necessario che si crei alleanza non solo con il giovane ma anche con il gruppo di giovani. Vivere il gruppo, non come un peso, ma come una possibilità, per il processo di socializzazione.
Davanti al gruppo, l’educatore a volte ha la tendenza a percepire solo una somma di relazioni individuali, mentre invece si tratta di far interagire i membri del gruppo fra di loro.
Giovanni Bosco, uomo dall’innegabile talento di attore, sapeva rendersi alleato di un gruppo, e sapeva vedere nella dinamica del gruppo non un elemento di appesantimento ma uno strumento per sviluppare la responsabilità degli uni nei confronti degli altri. Pensiamo in particolare all’eredità delle compagnie.
Infine si tratta anche di costruire l’alleanza tra tutti gli adulti coinvolti nell’educazione dello stesso giovane. Nell’ultima lettera che inviò prima della sua morte ai direttori, Don Bosco si mostrò molto attento alla qualità dei legami tra i membri della comunità educativa. Il primo diritto del bambino, è senza dubbio quello della coerenza di tutti gli adulti che camminano con lui nel suo itinerario di crescita. Quanto spesso accade di poter stabilire un legame tra il livello di violenza di un bambino e di un adolescente e quello dell’incoerenza degli adulti che lo accompagnano!
 
 
CONCLUSIONE
 
Concludo prendendo in prestito le parole di Jean Duvallet, anziano compagno dell’Abbé Pierre, che si rivolge in questo modo ai giovani salesiani: «Voi avete opere, collegi, oratori per giovani, ma non avete che un solo tesoro: la pedagogia di Don Bosco Rischiate tutto il resto, questi non sono che mezzi, ma salvate la pedagogia. Venti anni di ministero nella rieducazione mi obbligano a dirvi: siete responsabili di questo tesoro.
In un mondo in cui gli uomini e i ragazzi sono frantumati, disseccati, triturati, classificati, psicanalizzati, in cui i bambini e gli uomini sono utilizzati come cavie e materie prime, il Signore vi ha affidato una pedagogia in cui trionfa il rispetto del ragazzo, della sua grandezza e della sua fragilità, della sua dignità di figlio di Dio. Conservatela, rinnovatela, ringiovanitela, arricchitela di tutte le scoperte moderne, adattatela ai vostra ragazzi strapazzati in un modo come Don Bosco non ne aveva visti mai… ma, per carità, conservatela. Cambiate tutto, perdete, se è il caso, le vostre case, che importa? Ma conservate per noi questo tesoro, il modo di Giovanni Bosco di amare e salvare i ragazzi, che batte in migliaia di cuori».
Jean Marie Petitclerc
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