Il bosone e quella domanda di infinito

Il bosone di Higgs: uno dei protagonisti indiscussi dell'estate 2012. Ma la verità della scienza non può entrare in contraddizione con la verità della fede: la verità, se è tale, è una sola. Non ci sono doppie verità né tante verità. Il compito e lo sforzo richiesto alla ragione umana è quello di “allargarsi” per comprendere...

Il bosone e quella domanda di infinito

da Quaderni Cannibali

 

Il bosone di Higgs è stato uno dei protagonisti indiscussi dell’estate 2012: anche chi sa poco o nulla di fisica sub-nucleare avrà letto che al Cern è stata trovata quella particella cercata da molti anni. Ormai è stato chiarito da diversi articoli usciti nei giorni successivi alla scoperta quale fosse l’importanza scientifica della cosiddetta “particella di Dio” e perché aveva meritato un tale appellativo. Si era trattato di un equivoco editoriale o, per altri versi, di una banalità: se si crede in Dio Creatore dell’universo, allora tutto è “di Dio”, comprese le particelle!

Pur tuttavia, qualcuno forse si sarà chiesto se, in un certo senso, non si potesse trattare proprio della particella di Dio, ossia se la scienza possa o stia per arrivare a scoprire la realtà ultima delle cose e elaborare una “teoria completa dell’universo” (o anche una “teoria del tutto”) fino ad arrivare alla conoscenza divina. Tale concezione era stata sostenuta ormai quasi vent’anni fa da Paul Davies nel saggio intitolato La mente di Dio (1996) e da Stephen Hawking, che aveva affermato: “se riuscissimo a spiegare una teoria completa, tutti noi saremo allora in grado di prendere parte alla discussione del perché noi e l’universo esistiamo. E se trovassimo la risposta a quest’ultima domanda, decreteremo il definitivo trionfo della ragione umana, perché a quel punto conosceremmo la mente di Dio” (La grande storia del tempo, 1998).

In certi ambienti, è diffusa l’idea che la scienza, con il suo continuo e sbalorditivo progresso, possa giungere un giorno “agli estremi confini della conoscenza” e che, alla fine del lungo percorso, possa trovare Dio, causa prima e ultima. Anche se l’idea che la scienza arrivi “al cuore” della religione e quasi si identifichi con essa è un’iperbole e si avvicina a visioni fantascientifiche, è pur vero che un legame tra scienza e religione c’è ed è più forte di quello che si pensi.

Dalla nascita della scienza moderna fino ad oggi non pochi scienziati di primo piano hanno riconosciuto come la scienza abbia alla sua origine domande e presupposizioni che in sé non sono “scientifiche”, ma di natura filosofica o spirituale. Ad esempio Albert Einstein affermava nel 1938 che “non potrebbe esserci scienza senza la certezza intuitiva che è possibile cogliere la realtà con le nostre costruzioni teoriche, senza la fede nell’armonia intrinseca del mondo. Questa fede è e rimarrà sempre la spinta fondamentale di tutta la ricerca scientifica”; e l’astronomo Edwin Hubble, al quale è stato intitolato il famoso telescopio spaziale in orbita dal 1990, confessava: “A volte, attraverso una forte, pressante esperienza di intuizione mistica, si riconosce che al di là dell’ombra si è entrati in contatto con una realtà che giace nascosta sotto il fenomeno. È una sorta di rivelazione privata”.

La conoscenza della verità è senza dubbio il bene sommo per l’intelletto e, proprio a proposito della conoscenza scientifica, il Beato Giovanni Paolo II, all’inizio del suo pontificato, nel 1979, affermò in un discorso per la commemorazione della nascita di Einstein: “La ricerca della verità è il compito della scienza fondamentale. Il ricercatore che si muove su questo primo versante della scienza sente tutto il fascino delle parole di Sant’Agostino: «Intellectum valde ama», ama molto l’intelligenza e la funzione che le è propria di conoscere la verità. La scienza pura è un bene, degno di essere molto amato, perché è conoscenza e quindi perfezione dell’uomo nella sua intelligenza”.

Si comprende quindi come la conoscenza ottenuta dalla scienza, che scopre e illumina le meraviglie del creato e le sue “leggi”, può essere una via per arrivare a Dio: già Tommaso d’Aquino aveva annoverato, tra le sue prove dell’esistenza di Dio, una quinta via, detta “a posteriori”, perché dall’armonia e dalla finalità che si evidenzia nei diversi enti del creato (sia nel mondo vegetale sia in quello animale) porta l’uomo a risalire a un principio ordinatore intelligente che si identifica con Dio.

L’aumento della conoscenza, ottenuto in particolare attraverso la scienza, può addirittura considerarsi come un approfondimento della Rivelazione. Tale visione fu spiegata nel 1983 ancora dal Beato Giovanni Paolo II, in occasione del suo discorso per il 350° anniversario della pubblicazione dei “Dialoghi” di Galileo quando, rivolgendosi agli scienziati direttamente, disse: “niente di ciò che può approfondire la nostra conoscenza dell’uomo, della natura, dell’universo, ci può lasciare indifferenti. Ogni progresso scientifico, perseguito con rettitudine, onora l’umanità ed è un tributo al Creatore di tutte le cose. Le vostre ricerche costituiscono la continuazione dell’ammirabile rivelazione che Dio ci ha offerto nella sua opera creatrice”.

Ma allora perché da una certa parte dell’opinione pubblica, scienza e religione sono invece ritenute in contrasto, se non in alternativa? Questa visione del conflitto tra scienza e religione è sbagliata, frutto di diversi errori e pregiudizi di tipo storico-culturale che stentano ad essere superati. La Chiesa non condanna di per sé la scienza in nessun modo, né vuole imporle dei limiti, ma non può non alzare la sua voce quando, ad esempio, le sue applicazioni tecnologiche mettono a rischio la vita dell’uomo e dell’umanità nel futuro. In questi casi la Chiesa mette in guardia la scienza, ossia le ricorda come debba essere sempre un bene per l’uomo e non una minaccia o un danno.

Scienza e fede sono da vedere come complementari, come due alte vie di montagna che, pur tracciate ad altezze diverse e da percorrere con attrezzature specifiche, hanno in comune la meta a cui portano, la verità, e, come compagno di viaggio la ragione, lo strumento per eccellenza di cui è dotato l’uomo per poterla raggiungere e riconoscere. Proprio per questo la natura è intelligibile e l’uomo la può comprendere: perché l’uomo è dotato di ragione e il creato e tutto l’universo ha avuto origine dal Logos, che è Dio, Creatore e Padre.

Per questo motivo la verità della scienza non può entrare in contraddizione con la verità della fede: la verità, se è tale, è una sola, non ci sono doppie verità né tante verità. Il compito e lo sforzo − intellettuale ma anche di umiltà − richiesto alla ragione umana è quello di “allargarsi” per comprendere anche quegli aspetti che, superando la fisica e la razionalità puramente scientifica, diventano metafisici e lasciarsi condurre alla dimensione soprannaturale fino ad arrivare ad abbracciare la fede.

A ben vedere nella società attuale appare evidente la necessità di un confronto con la religione e il richiamo alla dimensione spirituale è ben presente, anche se Dio sembra sempre più assente e la società occidentale ormai del tutto secolarizzata e caduta in una “desertificazione spirituale”, come Benedetto XVI ha sottolineato in occasione dell’apertura dell’Anno della Fede. In realtà, la ricerca di Dio e le domande esistenziali sono sempre vive in ogni uomo e, alla base di ogni attività o progetto, c’è la speranza di trovare quella piena soddisfazione che solo l’infinito di Dio può colmare. E, come è accaduto in questo caso, il rischio è che nella confusione e forse nella carenza di formazione, si cerchi o si speri di trovare la risposta alla domanda su Dio dove in realtà non può essere.

In quest’epoca di destabilizzazione e di smarrimento, di forti cambiamenti a livello mondiale, il timore per il futuro aumenta e ciascuno di noi lo può avvertire quotidianamente. La religione è così chiamata in causa in diversi modi e riemerge fortemente la necessità di recuperare la dimensione spirituale che l’uomo ha trascurato a vantaggio di quello che è terreno e materiale e che, per quanto sia bello e buono, non la potrà mai sostituire o annullare. Per affrontare la crisi dell’inizio del secondo millennio − che non è soltanto economica, ma anche etico-antropologica e spirituale − e i mutamenti sociali e culturali sempre più rapidi, è tanto necessaria quanto urgente una nuova riflessione che aiuti a orientarsi nel contesto odierno. È quindi importante aprire un campo di lavoro interdisciplinare che, con un approccio trasversale, fornisca delle chiavi interpretative della realtà nel suo complesso.

Valeria Ascheri

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