La recente ricrudescenza della criminalità oltre a riproporre la grande questione dei valori (perduti per la negazione della metafisica e il trionfo del relativismo) impone una chiarezza sui veri concetti di bontà e perdono cristiani. Il buonismo è il maggior nemico della bontà. Essere buoni a tutti i costi, dimenticando la punizione e la pena, significa diventare cattivi e ingiusti...
del 16 novembre 2006
Per buonismo s’intende quell’atteggiamento secondo cui bisognerebbe evitare di castigare e di punire.
 
Si sa però che le deformazioni estremizzate della realtà si traducono sempre in una negazione della realtà stessa; così come l’estremizzazione di una cosa buona si traduce sempre nel suo contrario, cioé in una cosa cattiva.
 
Lo stesso vale per la bontà; infatti il buonismo è il maggior nemico della bontà. Essere buoni a tutti i costi, dimenticando la punizione e la pena, significa diventare cattivi e ingiusti.
 
Quando succede qualcosa di tragico, per esempio un pirata della strada che uccide, investendolo, un bambino; oppure un rapinatore che uccide un padre di famiglia, ecc... i giornalisti spesso chiedono ai familiari delle vittime: siete pronti a perdonare? Domanda che nelle intenzioni di chi intervista ha un significato ben preciso: confondere il perdono con la volontà di non infierire, di non pretendere che il colpevole paghi, per la serie: non pretenderai mica che chi è colpevole sconti chissà che cosa...
 
La dottrina cattolica, invece, ci presenta una differenza importante, la differenza tra perdono e pena.
 
Il perdono è il perdono; ma questo perdono non esclude la pena, anzi. Il Sacramento della Riconciliazione (la Confessione) assolve il peccatore ma non toglie la pena che deve essere scontata in questa vita o, se non basta questa vita, in Purgatorio.
 
Dunque, Dio stesso, che è amore e giusto giudice, quando perdona e assolve non elimina la pena. Non è cristiano, quindi, confondere perdono con volontà che il colpevole non paghi; né tantomeno può essere accusato di essere vendicativo chi pretende che il colpevole sconti la sua pena.
 
Ma adesso chiediamoci: qual è l’origine del buonismo?
 
La risposta non è facile. Se ne può però individuare un’origine filosofica.
 
Basterebbe fare riferimento al pensiero di Jean Jacques Rousseau. Questo filosofo disse che l’uomo nascerebbe buono e che ciò che lo renderebbe cattivo sarebbero le condizioni sociali, quali un certo tipo di progresso. Pertanto, le cause della cattiveria umana non sarebbero da ricercare nell’uomo e nella sua libertà, quanto in ciò che è al di fuori di lui: società, ambiente, educazione, ecc. Insomma, una vera e propria immacolata concezione dell’uomo.
 
Tra parentesi: questa antropologia è stata fatta propria da tutte le dottrine progressiste e materialiste e quindi anche dal positivismo filosofico. Fu così che nella seconda metà dell’Ottocento (anno 1858) la Vergine apparve a Lourdes (dunque in Francia, patria del positivismo) confermando la solenne definizione della sua Immacolata Concezione, proprio per ricordare che, tranne Lei, ogni uomo nasce con il peccato di origine.
 
Concezioni come quella di Rousseau e del progressismo danno credito al buonismo, cioé all’illegittimità di condannare, punire e castigare.
 
Come tutti gli errori anche il buonismo è però destinato a contraddirsi. Di esempi se ne potrebbero fare molti, ma in questa sede facciamo una sola riflessione.
 
Si dice: se l’uomo delinque è a causa della società che lo ha spinto a delinquere, perché è la società ad essere malata, non l’uomo; ma allora -dovremmo chiederci- perché cacciare dalle carceri e rimettere il delinquente nella società se la società è malata?
Il Cavaliere della Verità
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