Etica e mercato possono andare d'accordo? A questa domanda cerca di rispondere un libro scritto in forma di intervista da Rino Cammilleri, giornalista, scrittore e storico cattolico di orientamento tradizionalista e da Ettore Gotti Tedeschi, banchiere internazionale ed esperto di etica economica..
del 26 marzo 2007
Etica e mercato possono andare d’accordo?
A questa domanda cerca di rispondere un libro scritto in forma di intervista da Rino Cammilleri, giornalista, scrittore e storico cattolico di orientamento tradizionalista e da Ettore Gotti Tedeschi, banchiere internazionale ed esperto di etica economica. Denaro e Paradiso. L’economia globale e il mondo cattolico è un saggio interessante perché propone la tesi che in campo economico la morale cattolica possa avere una potenziale competitività tutta da sfruttare e non da reprimere, specie in una società come la nostra, soggetta a rapidi mutamenti dovuti alla spinta della globalizzazione.
L’idea più diffusa finora è sempre stata quella derivata da Max Weber, secondo la quale l’etica protestante sia alla base del capitalismo, idea sovvertita da Gotti Tedeschi nel saggio, dove afferma, contrariamente a Weber ''che i principi originali del capitalismo siano proprio cattolici, mentre ciò che nasce protestante è piuttosto l’adattamento della valutazione morale dei suoi comportamenti alle esigenze dei tempi''.
Tutto ebbe inizio nell’Italia del XIII secolo, con l’antica regola ''ora et labora'' che per Gotti Tedeschi trasformò i monasteri benedettini in delle piccole ''Silicon Valley orientate a Dio a beneficio degli uomini. Là si posero le premesse indispensabili allo stesso capitalismo, si svilupparono tecniche in siderurgia, energia, idraulica''. Il protestantesimo era ancora lontano e, sempre secondo il banchiere, una volta diffusosi, avrebbe fatto nascere dei difetti nello ''spirito del capitalismo'' originario, nato nei monasteri, difetti come ad esempio una certa propensione all’affarismo, la prevalenza della legge del più forte, il decisionismo, il laissez-faire.
E, partendo da qui il discorso si amplia fino ad analizzare i rapporti tra cattolicesimo e capitalismo, tra due mondi apparentemente agli antipodi. Abbiamo chiesto a Rino Cammilleri, uno degli autori, di raccontarci questo saggio.
 
Nel libro si parla della ''superiorità di un’economia ispirata alla morale cristiana''. In che cosa consiste questa superiorità?
''Innanzitutto nella sua origine: il capitalismo (la forma più avanzata di economia, a tutt’oggi) nasce in casa cristiana. Si riconosce, oggi, che l’etica in economia fa funzionare meglio le cose con vantaggio per tutti. Ma tale ‘etica’ non è altro che la morale cristiana, di cui anche il pensiero laico è tributario''.
 
Quali processi hanno mutato le condizioni che avevano determinato l’influenza della morale cattolica sull’economia?
''La spaccatura protestante e poi l’ateismo illuminista. La dottrina della ‘fede senza le opere’ e quella della predestinazione hanno distorto non poco le mentalità, con conseguenti riflessi in economia (si pensi allo sfruttamento del lavoro salariato, quello minorile e quello femminile). Poi, con Smith e i ‘padri’ della cosiddetta ‘economia politica’ moderna, il ‘principio edonistico’ diventa il perno dell’agire economico: ‘massimo risultato con minimi mezzi’. Cioè, la teorizzazione dell’egoismo. In questo quadro, un s. Francesco è uno che non si comporta ‘economicamente’. Ma sono stati proprio i francescani, con la legittimazione dell’interesse e i monti di pietà, a reinserire i meno abbienti nel circolo vituoso dell’economia. Oggi è pacifico che non si dà offerta senza domanda e che il sostegno alla domanda è fondamentale''.
 
Nel libro si parla della figura del ''povero evangelico'': potrebbe spiegare chi è e come opera nella società?
''Si tratta di chi usa dei beni con distacco, un distacco più che mai necessario per usarne con discernimento. Si può essere poveri di beni ma avidi allo spasimo. E si può essere ricchi senza farsi condizionare dalla ricchezza. Il distacco evangelico non fa altro che rendere liberi di fronte alle cose, così da poterle usare con maggior vantaggio per tutti. Un don Bosco, per esempio, durante la sua vita maneggiò somme considerevolissime, ma l’uso che ne fece è ancora sotto gli occhi di tutti''.
 
Allora, come sono viste ricchezza e povertà nell’ottica dell’etica cattolica del capitalismo, dal momento che il Vangelo ha sempre messo l’accento sul fatto che sia più facile per un ricco entrare nelle cruna di un ago piuttosto che avere accesso nel Regno dei Cieli?
''Tutto ruota appunto attorno al distacco. Lo stesso Vangelo è pieno di gente ricca seguace di Cristo: Lazzaro di Betania, Zaccheo il Pubblicano, Giuseppe d’Arimatea, Nicodemo, Giovanna moglie di Cusa (procuratore di Erode), i Magi… Costoro passarono di certo ‘nella cruna dell’ago’, pur non spogliandosi delle loro ricchezze. Semplicemente, le resero disponibili per compiti più alti. Diversamente da Epulone, che le impiegava esclusivamente in banchetti e feste con gli amici. Certo, non è facile essere profondamente cristiani con le tasche piene, ma neppure impossibile: basta ricordarsi che la fortuna è una responsabilità''.
 
Nel libro si afferma che ''l’uomo è il vero capitale da valorizzare''. Ma come si può fare questo in una società come la nostra che appare sempre più come una ''giungla'', dove l’economia tende al guadagno a tutti i costi dimenticando l’individuo, una società dove ci sono stati scandali come il crack Parmalat o i fondi gestiti da alcune banche che hanno mostrato come alcuni manager abusino della loro libertà?
''E’ appunto qui che si rivela il ‘genio’ della morale cristiana. Le regole ci sono, ma c’è sempre qualcuno che trova il mezzo di aggirarle. Dunque, vane sono le regole se non cambia la testa degli uomini. Il Vangelo è, in fondo, un manuale per il miglior uso di noi stessi, edito dal fabbricante (il Creatore). Applicandolo si sta meglio e si fa star meglio gli altri. Un esempio: storicamente, c’è stato un tempo in cui si credeva che pagar poco gli operai fosse la cosa economicamente giusta; solo nel XX secolo qualcuno si è accorto che, così, si deprimeva la domanda e si cadeva in crisi da sovrapproduzione''.
 
Quanto è stata importante l’enciclica Centesimus Annus di Giovanni Paolo II, emanata nel 1991 per richiamare l’attenzione dei cattolici sulla bontà del capitalismo e del profitto?
''Certa predicazione pauperistica e gli influssi della cosiddetta ‘teologia della liberazione’ avevano finito per sposare l’‘opzione per gli ultimi’ con la teoria marxista, col risultato che parte del mondo cattolico si è ritrovato a fiancheggiare movimenti anticapitalistici e regressivi. Una parola di chiarezza era necessaria''.
 
E, nell’ottica del libro, come appare una figura come Monsignor Marcinkus, discusso capo dello IOR, al centro di torbide vicende nella storia d’Italia?
''Ma il libro non si addentra nella cronaca spicciola. Quello fu un episodio a tutt’oggi mai completamente chiarito. Non ci interessano gli scandali, semmai una prospettiva di ampio respiro che insegni ad evitarli''.
 
Non è contraddittorio il fatto che la Chiesa degli umili, dei poveri e degli afflitti abbia conti in banca, azioni in Borsa e beni al sole?
''E come farebbe la Chiesa a soccorrere gli umili e i poveri senza denaro? Se in molte parti del mondo ci sono ospedali, scuole, mense e promozione umana lo si deve proprio alla Chiesa e ai suoi uomini. Di più: nella sola Italia, il turismo è una delle voci principali del bilancio statale. Ma cosa vengono a vedere, i turisti stranieri? Le banche o le chiese? I palazzi amministrativi o le opere d’arte dei secoli della fede?''
 
Per concludere: allora, chi è il vero ricco?
''C’è un ricco miope, che non di rado finisce male e ancora più spesso vede le sue fortune svanire alla generazione successiva. E c’è un ricco di beni ma anche d’animo, che crea posti di lavoro, fa il mecenate, allarga i suoi orizzonti, fa sì che i suoi beni siano orientati al bene e, come l’uomo elogiato nel Vangelo, «costruisce sulla roccia» e non «sulla sabbia». Passa la scena di questo mondo e tutti dovremo rendere conto di come abbiamo vissuto. Di noi resteranno solo le opere. E le benedizioni (o le maledizioni) che avremo seminato''.
Maria Rita Latto
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