La parrocchia: la cellula della Chiesa. La parrocchia dovrebbe in primo luogo far crescere la gioia della fede nei fedeli - anzitutto negli operatori pastorali - accompagnandoli a scoprire in loro l'iniziativa di Dio che ci precede, viene a noi, e, inserendoci nel suo agire, ci chiama a cooperare con lui, confessando la fede col cuore e con la vita.
Con riferimento all’Instrumentum laboris, nn° 80-84, vorrei presentare qualche rapida riflessione su quel soggetto - già richiamato da alcuni interventi - che costituisce il luogo ecclesiale più capillare, più vicino, più accessibile al popolo, che è la parrocchia, che - come sappiamo - della chiesa particolare è “come la cellula” (AA, 10) e, “in certo modo, rappresenta la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra” (SC, 42).
Mi riferisco, in particolare, alle parrocchie delle Chiese di antica tradizione, in contesti sociali di crescente urbanizzazione e secolarizzazione, in particolare a quelle delle grandi metropoli multietniche e multireligiose, città spesso anonime e dispersive, dove accanto a minoranze di fedeli partecipi e impegnati, troviamo maggioranze di battezzati dalla fede debole e anemica, indifferenti o lontani dalla Chiesa, insieme ormai a numerosi uomini e donne appartenenti ad altre religioni o a nessuna religione che si avvicinano alla comunità parrocchiale per ragioni diverse, e ai tanti anonimi cercatori di Dio.
La parrocchia, nonostante abbia fatto dopo il Concilio molti passi avanti, salvo lodevoli eccezioni, è ancora prevalentemente impegnata nella cura gregis, offre servizi religiosi a chi li chiede, ma fa fatica ad aprirsi ad una pastorale di evangelizzazione. Una conversione pastorale di questo tipo è più che mai necessaria, ma non è semplice da realizzare e dovrebbe tener conto di vari aspetti.
Provo ad elencarne alcuni:
La chiesa è cominciata con la testimonianza gioiosa e credibile dell’annuncio del Signore risorto. S. Luca scrive negli Atti che alla predicazione dell’apostolo Pietro dopo la Pentecoste gli ascoltatori “si sentirono trafiggere il cuore” (At 2, 37). La parrocchia dovrebbe in primo luogo far crescere la gioia della fede nei fedeli - anzitutto negli operatori pastorali - accompagnandoli a scoprire in loro l’iniziativa di Dio che ci precede, viene a noi, e, inserendoci nel suo agire, ci chiama a cooperare con lui, confessando la fede col cuore e con la vita. Così i fedeli sarebbero resi testimoni credibili e attraenti mostrando la fede come desiderabile e la verità del cristianesimo come ragionevole. Al riguardo riterrei necessario elaborare un paradigma di “primo annuncio” che presenti in modo adeguato il cherigma cristiano attraverso lo strumento proprio dell’evangelizzazione.
Per superare l’analfabetismo religioso oggi così diffuso, la parrocchia dovrebbe offrire itinerari di catechesi, utilizzando il Catechismo della Chiesa Cattolica e anche il Compendio, itinerari rivolti anzitutto agli adulti, in specie alle famiglie giovani.
L’Eucarestia domenicale, da curare molto in ogni aspetto, dovrebbe diventare l’esperienza più sentita e desiderata della fede creduta, professata e annunciata, vera lode di Dio e scuola di santità, da dove si irradi una gioiosa testimonianza di carità.
Auspico che il Sinodo faccia sentire un vibrante incoraggiamento ai sacerdoti, in particolare ai parroci, perché si adoperino con convinzione e passione a promuovere un nuovo slancio missionario del loro ministero, ripensando con coraggio - sotto la guida del Vescovo - il modello organizzativo della pastorale parrocchiale. Alla fine del Sinodo di Roma il Beato Giovanni Paolo II, rivolgendosi ai sacerdoti, disse: “Parrocchia, trova te stessa, fuori di te stessa!”.
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