Che ne è del film? Tintin è il cavaliere senza macchia e senza paura, anche se ai ragazzi di oggi apparirà forse un po' troppo perfettino e secchione. L'itinerario cattolico dal peccato alla redenzione si ritrova nel suo grande amico, il capitano Haddock...
del 15 novembre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
 
          L'uscita nelle nostre sale del film di Steven Spielberg «Le avventure di Tintin. Il segreto dell'unicorno» ha rilanciato il dibattito sulle origini e il significato - se ce n'è uno - delle storie di Tintin. 
          Tintin non è un cattolico identificabile come tale. Non prega mai Dio quando la morte lo sfiora, e non lo si vede mai in una chiesa. Una breve allusione a san Giovanni Evangelista tradisce appena un residuo di catechismo. L’angelo custode del capitano Haddock e quello di Milou, in guerra aperta con un diavolo immaginario, fanno sorridere. La religione — Incas, culto del Sole, buddisti, musulmani — è quella degli altri, bisogna rispettarla, essa perpetua una cultura, e, su questo piano, Hergé sarebbe piuttosto relativista.Il tesoro degli Inca (Le Temple du soleil) o la sepoltura dei faraoni (Les Cigares du pharaon) dovrebbero essere sottratti alla curiosità degli occidentali. Due volte soltanto un «Dio abbia la sua anima!» sfugge a Tintin, quando viene a sapere della morte di un giapponese malefico (Le Lotus bleu) e dei due filibustieri d’alto mare (Le Trésor de Rackham le Rouge). Quanto al millenarismo, ha avuto ciò che si meritava con quell’illuminato che, in L’Étoile mystérieuse, annuncia la fine dei tempi battendo sul suo gong.          Eppure Tintin è un eroe del cattolicesimo, imbevuto dell’ideale dello scoutismo di cui si conosce l’importanza nella formazione di Hergé, e che traspariva nei suoi primi albi (Jo, Zette et Jocko; Popol et Virginie chez les Lapinos). Non ha età, non ha veramente un sesso o una bramosia ordinaria, ha un mestiere che ne legittima il girovagare e un’arte del camuffamento che grava sulla sua identità: è un angelo o quasi. Curioso, avventuroso, servizievole come Brown, il prete detective di Chesterton, sembra venuto sulla terra degli uomini per difendere la vedova e l’orfano. È Orlando incrociato con Mermoz e Saint-Exupéry, che ha, come Durlindana, un cane che parla e che ragiona. La sfodera per l’onore, gratuitamente, e sfida la tracotanza dei potenti, la venalità dei colonizzatori, protegge i deboli e gli oppressi. Accanito anticomunista fin dal suo Tintin chez les Soviets, dove il giornalista belga non è ancora un superman comico, Hergé sfianca senza pietà le satrapie dei latinos, i capitalisti yankee e i trafficanti al loro soldo. Alcazar è meno crudele di Tapioca, ma Tintin gli fa promettere di non fucilare più come se niente fosse. La monarchia d’Ottokar è meglio delle dittature rosse di Plekszy-Gladz, poiché il re preferisce abdicare per evitare che scorra il sangue, mentre, fra i Bordures, si spara senza pietà. Ma la credulità, la cupidigia, la stupidità umane non hanno confini ideologici. Un solo personaggio veramente simpatico in Tintin en Amérique: l’etnologo che ha adottato i costumi del «buon selvaggio»; sembra di essere in Paul et Virginie o in Atala. Un solo personaggio di valore in Tintin au Congo: il missionario con la sottana e il cappuccio bianco che fa scuola e cura i malati. Bersaglio della voracità dei malviventi al soldo delle multinazionali (petrolio o armi), l’indigeno non ha mai il ruolo del cattivo. Anche se si adegua ai cliché paternalistici dell’epoca in cui i belgi sfruttavano il Congo.          Tintin è un eroe soprannaturale che si muove in scenari realistici, sebbene poeticizzati e caricaturizzati. Le persone a lui vicine sono soggette alla tentazione, il whisky per Haddock, gli ossi per Milou, la scienza applicata per Girasole. Ma si correggono al momento giusto e si armano di coraggio. Un fondo di onestà li salva come nel caso di Girasole, intransigente sui «diritti dell’uomo» (Tintin et les Picaros), che rinuncia alle sue invenzioni se queste rischiano di essere utilizzate per una cattiva causa (L’Affaire Tournesol). Questo scienziato un po’ suonato e completamente duro di orecchi, appartiene alla confraternita dei giusti, i cui principi sono due bambini: l’indiano Zorrino (Le Temple du soleil) e il cinese Chang (Le Lotus bleu). Tintin riserva loro una tenerezza particolare, sono figure evangeliche, sublimi nella loro fiducia. Loro sono puri, come Tintin che ha il dono delle lacrime e che ridiventa bambino con le sue pagliacciate, per esprimere la sua gioia. Una grazia lo tira fuori dai rischi più disperati, come gli eroi delle epopee medievali. Tintin è un cavaliere occidentale dei tempi moderni, un cuore senza macchia in un corpo invulnerabile; attraversa come una meteora l’umanità comune — la sua geografia, la sua psicologia — doppiamente esaltato dal gusto profano del mistero e dal sacro imperativo morale: salvare l’innocente, vincere il Male.          Ama troppo la vita per essere un santo, la sua curiosità impenitente lo ricollega all’umanità, talvolta si offre una crociera, talaltra una spiaggia per riposarsi nel rifugio bucolico di Moulinsart da dove, girata la curva, s’intravede il campanile del villaggio. Questo sosia del castello di Cheverny, feudo degli antenati di Haddock, recuperato (con il suo tesoro) grazie alla generosità di Girasole, è più o meno il tempio di un Graal. Se il paradiso esistesse in questo mondo, Moulinsart ne sarebbe la sede. Ma bisogna allontanarsene per andare a sgominare il Male, per raccogliere qua e là briciole di esotismo come i crociati che Tintin resuscita (senza il loro bellicismo) e come i missionari (senza il loro proselitismo). È l’angelo custode dei valori cristiani che l’Occidente rinnega o irride costantemente. Senza paura, senza biasimo, fuorilegge all’occorrenza, la creatura di Hergé riunisce con candore le virtù che si sforzavano d’inculcarmi al catechismo. Poco importa se Hergé ne era consapevole nel disegnare con amore un Creato i cui mostri brevettati (il gorilla de L’Île nera e lo yeti di Tintin au Tibet) erano meno nocivi della razza umana. Anche se, nella vita quotidiana, essa non ha un aspetto così spregevole: l’uomo della strada pecca soprattutto per inerzia. Sono l’orgoglio, l’attrattiva del lucro e il gusto del potere a rovinare tutto, vale a dire Cesare e Mammona. Tintin li stana, li assalta e poi li fa tornare nell’ovile (grossomodo la Vecchia Europa) fra gli applausi della brava gente. Ma il male non si disarma mai e la società non ha altro che dei Dupont(d) inetti da opporgli. Essi incarnano la legge, senza la maiuscola, e la ridicolizzano.          Ai tempi della mia infanzia, avevamo un messale per la domenica e gli albi di Tintin per i giorni feriali. Che andavano di pari passo per le nostre iniziazioni. Non essendo il messale più in uso, Tintin è ora tutto solo nell’iniziare i ragazzini ai valori della cavalleria.Denis Tillinac
Versione app: 3.25.0 (fe9cd7d)