Il chirurgo della foresta è cappuccino

Trent'anni di missione in un ospedale a servizio di mezzo milione di persone nel cuore alla foresta del Madagascar, sono un'esperienza dura. Padre Stefano Scaringella, cappuccino e chirurgo, non pensa solo all'ospedale che ha fondato, ma anche allo sviluppo dell'economia locale...

Il chirurgo della foresta è cappuccino

da Quaderni Cannibali

del 27 ottobre 2011(function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk'));

 

Come è nata la sua vocazione di missionario?

Nella parrocchia Regina Pacis di Ostia Lido, negli anni sessanta. Il cappellano don Mario Pecchi dopo la messa portava noi chierichetti a vedere un film. Un giorno un frate cappuccino spagnolo proiettò un film sulle missioni, riguardava delle suore che curavano i lebbrosi. Tornato a casa dissi ai miei genitori che da grande avrei voluto fare il cappuccino e partire per l’Africa come medico. Nel 1973 sono diventato sacerdote cappuccino e nel 1980 sono partito come medico nel lebbrosario di Ambanja. In questa città dopo qualche tempo ho costruito un ospedale. Sono 30 anni che ormai mi trovo lì.

Dove si è specializzato?

Al Policlinico Gemelli in dermatologia. Poi in Africa, con l’aiuto dell’Università di Strasburgo, ho fatto il corso di chirurgia. 

Dove si trova Ambanja?

Nella provincia di Diegosoarez nel nord del Madagascar. Questa provincia è grande quanto il Lazio. Il capoluogo, Diegosoarez, è una città molto islamizzata, piena di moschee, sembra di essere in Arabia Saudita. Nel nostro territorio la religione è quella animista e quella islamica, poi veniamo noi cristiani che siamo intorno al 5% della popolazione totale. La nostra, comunque, è una presenza molto valida, sia perché abbiamo scuole e sia perché c’è questo ospedale che in 27 anni di esistenza ha fatto più di 50 mila interventi chirurgici. In questo momento siamo 4 medici che facciamo chirurgia.

Ci sono altri ospedali nella regione?

Nella nostra zona non ci sono altri ospedali chirurgici. Siamo l’ospedale di riferimento anche secondo il Ministero della Sanità, per una popolazione di 500 mila abitanti. Una popolazione grande che vive di agricoltura e di pesca. Molte famiglie pescano, coltivano il riso, il mais, il cacao, il caffè, che sono colture che danno una piccola rendita, perché sul posto queste merci vengono pagate pochissimo. Noi però non siamo stati toccati dalla crisi, viviamo come vivevamo prima. La gente è povera, ma si sopravvive.

Mi parli dell’ospedale!

L’ospedale è della missione. L’ho fatto con i soldi che avevo quando sono partito per il Madagascar. Pian pianino è cresciuto e adesso ci sono delle fondazioni che ci seguono, perché è un ospedale che costa molto: spendiamo un milione di euro all’anno. 

Che malattie cura l’ospedale?

È un ospedale prettamente chirurgico. Facciamo chirurgia di tutti i tipi: interventi ortopedici, ginecologici, ecc. Come medicina curiamo solo i bambini. 

Non c’è la lebbra?

Sì, abbiamo il lebbrosario. Però la lebbra è diventata una cosa endemica, ci sono in tutto 5 o 6 casi all’anno ed è per questo che nel villaggio dei lebbrosi adesso curiamo soprattutto i malati di tubercolosi. Il nostro lebbrosario nella sua storia ha curato più di 6 mila malati di lebbra. Lo sforzo è stato molto produttivo perché la lebbra si è ridotta, anche perché sono migliorate le condizioni igieniche. Abbiamo, inoltre, due unità mobili che vanno in 12 villaggi, per una popolazione di circa 80 mila abitanti. Una unità cura le donne incinte, e oltre la parte medica facciamo anche istruzione sanitaria per evitare gli aborti e le gravidanze precoci. Inoltre educhiamo le mamme a sapersi comportare di fronte a una malattia del loro bambino. L’altra unità va nelle scuole e curare i denti dei bambini e insegnare loro l’igiene della bocca. 

La sua comunità di quanti cappuccini è composta?

Siamo in sei; tre lavorano in ospedale, uno lavora nel lebbrosario, uno presso “Radio don Bosco”, che è la radio diocesana, e l’al tro fa il cappellano nelle carceri.

La vostra attività è una presenza accettata dagli islamici e dagli appartenenti alle altre religioni?

Sì. Bisogna dire che in Madagascar niente è estremizzato, niente è fanatico. È gente molto ragionevole. Poi, con questo fatto dell’ospedale, tutti ci guardano con simpatia. 

A parte la competenza medica, qual è il suo ruolo?

Faccio il chirurgo e poi ho anche la responsabilità di far vivere l’ospedale. Mantengo le relazioni con l’estero e i rapporti con le persone che ci aiutano.

Attualmente quanti pazienti ha in cura?

Abbiamo 100 posti letto. Visitiamo in un anno 10 mila malati, di questi 3 mila circa vengono operati. Abbiamo anche una particolare specializzazione: la chirurgia degli occhi. Altri servizi sono: radiologia, laboratorio analisi e una piccola farmacia.

Il Madagascar quanti abitanti fa?

Circa 22 milioni su una superficie due volte l’Italia. È una grossa isola.

Voi cappuccini siete presenti anche in altre parti del Madagascr?

Abbiamo la provincia proprio del Madacascar, che comprende 180 cappuccini sparsi un po’ dappertutto.

Qual è la situazione generale del Madagascar?

Nel 2009 c’è stato un Colpo di Stato a seguito di un sollevamento popolare. Il presidente dell’epoca fu costretto ad andare via. Per il momento abbiamo al potere una entità di transizione, vale a dire un nucleo di persone che devono preparare il Paese alle elezioni per formare un nuovo governo.

Di che altro si occupa?

Oltre all’ospedale abbiamo altre opere; la scuola di infermieri, una casa di accoglienza per le bambine, le già citate unità mobili che vanno nei villaggi, e dallo scorso anno stiamo attuando un progetto agricolo per fare 1500 ettari di bosco e aiutare i contadini a coltivare il riso, a migliorare le produzioni e introdurre altre colture, come quelle del mais e della manioca. 

Quali associazioni italiane l’aiutano?

L’Associazione “Afaliana” di Milano che è legata a Comunione e Liberazione. Altri aiuti vengono da piccole associazioni, come “Alessia e i suoi angeli” di Latina e “Jeanette e Jeanine” di Viterbo. Ci sono, inoltre, due fondazioni una in Svizzere e l’altra nel Liechtenstein. Riceviamo aiuti anche da amici dell’Alsazia-Lorena, grazie in particolare all’opera di padre Eluà, un cappuccino che è stato missionario in Madagscar e che ogni anno ci manda un container.

Vito Magno

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