Il «controllo qualità» dell`embrione non è un diritto

La pretesa di adombrare un «diritto ad avere un figlio sano» porta a rammentare le conseguenze prodotte nella storia dalle politiche ispirate alla teoria dell'esistenza di vite che non vale la pena vivere.

Il «controllo qualità» dell`embrione non è un diritto

da Quaderni Cannibali

del 01 luglio 2011

  

 

           Nei giorni scorsi le agenzie di stampa e i media hanno dato risalto a un ricorso presentato da una coppia affetta da fibrosi cistica alla Corte europea dei diritti dell'uomo, ricorso con il quale si lamenta la lesione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (d'ora in avanti Cedu) da parte dell`Italia.

          Si assume, infatti, che le previsioni della legge 19 febbraio 2004, numero 40 recante «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita», nella parte in cui precludono alle coppie che non sono sterili il ricorso alla procreazione artificiale, lederebbero le norme della Cedu che tutelano la vita privata e familiare (art. 8), come anche che le stesse previsioni darebbero vita nei confronti di tali coppie a una discriminazione vietata dall`articolo 14 della Convenzione. In proposito si richiama il fatto che alcune coppie non sterili, con malattie trasmissibili per infezione (ad esempio l`Hiv), possono ricorrere alla procreazione artificiale, secondo una previsione contenuta nelle linee guida in vigore dal 2008 in materia.

          Il ricorso non è stato ancora esaminato nel merito dalla Corte di Strasburgo, ma appare inammissibile, giacché tale Tribunale può essere chiamato a esprimersi, salvo rare eccezioni, soltanto quando sono stati esauriti i gradi di giudizio interni, il che non è avvenuto in questo caso.

          Quanto, poi, al merito del ricorso va, anzitutto, osservato che la disciplina dettata dalle linee guida del 2008 per le coppie con malattie infettive appare di dubbia legittimità a fronte del chiaro disposto dell`articolo 4 della legge n. 40 del 2004 - che le linee guida sono tenute a rispettare, pena la loro illegittimità - secondo il quale il ricorso alle tecniche di procreazione artificiale «è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico».

          Al di là di tale profilo, quel che più conta nella vicenda dei ricorrenti è che la situazione di una coppia con fibrosi cistica appare alquanto diversa - e, dunque, non comparabile né suscettibile di dare luogo a una lesione del principio di non discriminazione con quella delle coppie con malattie infettive. A quest`ultime, infatti, il ricorso alla procreazione artificiale è consentito per permettere di «pulire» i gameti dal virus, senza alcuna particolare lesione dell`embrione.

          Al contrario i ricorrenti davanti alla Corte di Strasburgo intendono accedere alla procreazione assistita per effettuare la diagnosi pre-impianto, e cioè scartare gli embrioni «malati», impiantando solo quelli sani.

          Ciò non solo è espressamente vietato dalla legge 40 del 2004, il cui articolo 13, in linea con l`unica finalità ispiratrice della normativa - e cioè quella di aiutare a risolvere i problemi posti dalla difficoltà della procreazione naturale - esclude che la procreazione artificiale possa essere utilizzata per altri scopi e prevede il divieto di ogni forma «di selezione a scopo eugenetico degli embrioni» (articolo 13, comma 3, lettera b); ma dà vita a una grave lesione del diritto alla vita del concepito, manifestando altresì un chiaro intento eugenetico, in contrasto con le previsioni della Carta costituzionale.

          A questo proposito particolarmente pregnante è l`accostamento fatto da Jurgen Habermas (Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, Torino, 2002, p. 33), fra la diagnosi pre-impianto e «i pericoli evocati dalla metafora di una 'eugenetica selettiva' sulla razza umana», dal momento che con tale indagine «l`esistenza o non esistenza viene decisa in base al criterio di un potenziale 'essere così' piuttosto che altrimenti».

          La pretesa di adombrare un «diritto ad avere un figlio sano» porta a rammentare le conseguenze prodotte nella storia dalle politiche ispirate alla teoria della «lebensunwerte leben», e cioè della esistenza di vite che non vale la pena vivere.

          Lo stesso Habermas evidenzia come la diagnosi pre-impianto dia vita a un «controllo premeditato sulla qualità» dell`embrione che comporta «la strumentalizzazione di una vita umana - generata con riserva rispetto alle preferenze e agli orientamenti di valore nutriti da terzi».

          La legge 40 è il frutto di un compromesso che la procreazione artificiale finisce per trattare, per certi aspetti, l`essere umano come una cosa - cerca di introdurre tutele per l`integrità fisica degli embrioni creati ed esclude l`eugenetica dalle pratiche di procreazione assistita.

          È da auspicare che la Corte europea dei diritti dell`uomo, nel rispetto del margine di apprezzamento degli Stati e del principio di sussidiarietà, si arresti di fronte al delicato equilibrio trovato dal Parlamento italiano in materia e non introduca nell`ordinamento un «principio di eugenesi o di eutanasia prenatale» che, secondo quanto evidenziato anche dalla Corte di Cassazione, è da ritenere in contrasto con «i principi di solidarietà», nonché con la tutela del diritto alla vita e all`integrità fisica dell`embrione.

Alberto Gambino

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