Il Cooperatore nella mente di Don Bosco

Intervento del Rettor Maggiore al IV¬∫ Congresso Mondiale dei Salesiani Cooperatori. «sento il bisogno di parlarvi di ciò che era il Cooperatore nella mente di Don Bosco. Questo ci aiuterà a conoscere quale era la sua intuizione originale, chiaramente espressa nella bellissima frase...».

Il Cooperatore nella mente di Don Bosco

da Rettor Maggiore

 

“Il Progetto di Vita Apostolica: via di fedeltà al carisma di Don Bosco”

 

Intervento del Rettor Maggiore al IVº Congresso Mondiale dei Salesiani Cooperatori

 

«Mostrami, Signore, la tua via, perché nella tua

verità io cammini; donami un cuore semplice

che tema il tuo nome»

(Sal 85,11)

 

Carissimi fratelli e sorelle,

dopo i saluti di benvenuto a questa importante assise dell’Associazione dei Salesiani Cooperatori, ho il piacere di rivolgervi la parola, augurandovi sin dall’inizio una bella, intensa e feconda esperienza di salesianità vissuta.

Mi piace incominciare commentando brevemente il testo del salmo 85,11, perché mi sembra che sia come una chiave di lettura del mio intervento e raccolga in forma magistrale quanto mi sta a cuore dirvi. Anche perché si tratta di un testo a me molto caro, che solitamente recito sia al mattino che alla sera: «Mostrami, Signore, la tua via, perché nella tua verità io cammini; donami un cuore semplice che tema il tuo nome» (Sal 85,11). Il salmista chiede di camminare nelle vie di Dio, cioè nella «verità», vale a dire, con piena adesione e fedeltà all’Alleanza. Sente perciò il bisogno di domandare il dono di «un cuore semplice», un cuore puro, che dia unità alla persona tra quello che professa e proclama e quello che vive. L’unità e indivisibilità del cuore è segno di fedeltà e di amore totale. E appunto perché la legge di Dio è espressione del suo amore, come canta magnificamente il salmo 118, non c’è atteggiamento migliore che amarla, assumerla cordialmente e farla diventare vita. Altro non è il vostro Progetto di Vita Apostolica.

 

Introduzione

 Mi è stato chiesto di approfondire il tema “Il Progetto di Vita Apostolica: via di fedeltà al carisma di Don Bosco”, e lo faccio volentieri, in primo luogo perché questo è il tema principale del vostro Congresso, che ha come obiettivo primario appunto l’approvazione definitiva del vostro testo costituzionale, ma anche perché questo si situa in una fase della storia assai delicata, a causa della profonda crisi – culturale, sociale, economica, politica, scientifico / tecnologica, mediatica e religiosa – che sta attraversando l’umanità.

Questo periodo coincide inoltre con la celebrazione del 50° anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II, una vera pentecoste per la Chiesa, che la portò a scoprirsi più come mistero che come ‘società perfetta’, più come serva che come signora del mondo, più come buona samaritana, solidale con “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce” (GS 1) che come una istituzione definita da dogmi, regole e norme, più come comunione di tutti i credenti nel Signore Gesù con diversità di carismi e ministeri che come una istituzione piramidale dove alcuni membri hanno il potere di insegnare, reggere, santificare e altri sono soltanto beneficiari. Ebbene oggi questa Chiesa, animata dallo Spirito, si sente interpellata ancora una volta dal mondo, che è chiamata a servire, essendo “Sacramento di Salvezza”, “Luce delle Genti”. È proprio in questo contesto che si è realizzato il Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione e si è dato inizio all’Anno della Fede, convinti che il dono più prezioso che siamo chiamati a dare è la comunicazione dell’amore di Dio, la gioia della sua vicinanza solidale fino all’estremo nella incarnazione di Gesù, nato, morto e risorto per noi, affinché in Lui abbiamo vita e vita in pienezza.

Nell’ambito strettamente salesiano noi ci troviamo nel triennio di preparazione al Bicentenario della nascita del nostro amato fondatore e padre Don Bosco. Ed insieme a tutta la Famiglia Salesiana ci siamo impegnati ad arrivare al 2015 avendo fatto un percorso di profondo rinnovamento spirituale carismatico e una conversione pastorale in modo tale che la missione salesiana, realizzata dalla diversità dei gruppi e nella varietà dei contesti in cui ci troviamo a vivere e operare, risponda ai bisogni, desideri e diritti dei giovani d’oggi.

Ecco, cari amici, le sfide, opportunità e stimoli che il Signore ci offre per illuminare questo nostro Congresso e, con docilità allo Spirito e larghezza di cuore, rispondere a quanto il Signore si attende di questa Associazione.

 

Il Cooperatore nella mente di Don Bosco

Prima di entrare direttamente nel tema, sento il bisogno di parlarvi di ciò che era il Cooperatore nella mente di Don Bosco. Questo ci aiuterà a conoscere quale era la sua intuizione originale, chiaramente espressa nella bellissima frase, più di una volta ripetuta: «Io ebbi sempre bisogno di tutti!»[1].

Per designare i suoi aiutanti non religiosi, Don Bosco tergiversò parec­chio prima di risolversi ad assumere la denominazione di «Cooperatori Salesiani», apparsa solamente al termine di una lunga catena di eventi.

L’introduzione del testo di Regolamento, pubblicato ad Albenga nel 1876, si apriva con le parole: «Al lettore. Appena s’incominciò l’Opera degli Oratorii nel 1841, tosto alcuni pii e zelanti sacerdoti e laici vennero in aiu­to a coltivare la messe che fin d’allora si presentava copiosa nella classe de' giovanetti pericolanti. Questi Collaboratori o Cooperatori furono in ogni tempo il sostegno delle Opere Pie che la Divina Provvidenza ci po­neva tra mano».

Non solo Cooperatori con promessa, ma una vasta rete di cooperazione, sostegno, simpatie, beneficenza…, curatissima. Dico questo, perché penso che vada recuperata questa geniale intuizione di Don Bosco, potenziata da don Rua e Successori, che ha reso possibile la diffusione mondiale dell’Opera salesiana.

Ultimamente si è cercato di dare più consistenza al Cooperatore, valorizzando una componente della visione di Don Bosco (quella del salesiano “esterno”). In Don Bosco c’è l’idea che gli veniva dalla riorganizzazione dei cattolici per la ricristianizzazione della società; l’idea della beneficenza alle opere salesiane; l’idea del “volontariato” laicale cattolico, pastorale (fare catechismi, cooperare coi parroci) o sociale (educare, assistere, formare, proteggere).

Fatti e conferenze di Don Bosco integrano l’identità, le forme e i significati dell’azione della cooperazione. I destinatari sono cooperatori e benefattori, ma anche persone impegnate in diverse iniziative di apostolato (autonome o inserite in ambiti ecclesiali). La carità materiale occupa spazi estesi nei fatti e nelle parole, con appelli sempre più insistenti ed esigenti.

Nella solenne conferenza del 1° giugno 1885, Don Bosco afferma: “Essere Cooperatore salesiano vuol dire concorrere insieme con altri in sostegno di un’opera, la quale ha per iscopo d’aiutare la S. Chiesa nei suoi più urgenti bisogni; vuol dire concorrere a promuovere un’opera tanto raccomandata dal Santo Padre, perché educa i giovanetti alla virtù, alla via del Santuario, perché ha per fine principale d’istruire la gioventù che oggidì è divenuta il bersaglio dei cattivi, perché promuove in mezzo al mondo, nei col­legi, negli ospizi, negli oratorii festivi, nel­le fa­miglie, promuove dico, l’amore al­la religione, il buon costume, le preghiere, la frequenza ai Sacramenti, e via dicendo”[2].

Appro­vato dalla Santa Sede il 9 maggio 1986, promulgato dal Rettor Maggiore don Egidio Viganò il successivo 24 maggio, e rinnovato nel novembre 2006, con promulgazione del Rettor Maggiore don Pascual Chávez l’8 aprile 2007, il Nuovo regolamento delinea l’im­magine rinnovata del Cooperatore salesiano all’alba del secolo XXI, in ri­ferimento alla sua identità, al suo spirito, alla sua missione e all’organiz­zazione della Associazione.

Così si esprime  l’articolo 3 dello Statuto approvato nel 2007: «I Salesiani Cooperatori vivono la loro fede nella propria realtà secolare. Ispirandosi al progetto apostolico di don Bosco, sentono viva la comunione con gli altri membri della Famiglia salesiana. S’impegnano nella stessa missione giovanile e popolare, in forma fraterna e associata. Operano per il bene della Chiesa e della società, in modo adatto alla loro condizione e alle proprie concrete possibilità».

Gli estensori di questo arti­colo hanno voluto ricollegarsi alle primitive intenzioni di Don Bosco, secondo cui il Cooperatore è un vero salesiano nel mondo, ossia un cristia­no, laico o prete, che senza legami di voti religiosi, realizza la propria vo­cazione alla santità al servizio della missione giovanile e popolare secondo lo spirito di Don Bosco. L’identità del Cooperatore così delineata, presen­ta tre tratti caratterizzanti: egli è un cristiano cattolico, è secolare ed è sa­lesiano.

 

Il Progetto di Vita Apostolica 

Venendo ora direttamente al tema, che è quello del Progetto di Vita Apostolica, oserei dire che non è anzitutto un progetto da noi fatto, come se noi stessi progettassimo la nostra forma di fare apostolato salesiano, ma è l’assunzione cordiale e riconoscente del progetto di Dio di attuare la sua salvezza. Facendolo nostro, assumendolo cordialmente, diventiamo cooperatori di Dio e compagni di Gesù, alla scuola di Don Bosco.

Questa prospettiva non è indifferente, perché significa tenere come Regola vivente la Persona stessa di Gesù e il suo Vangelo. Solo così il Progetto di Vita Apostolica di un’Associazione di fedeli laici, quella dei Salesiani Cooperatori, diventa una lettura salesiana del Vangelo, e la sua validità viene suggellata dal riconoscimento ufficiale della Sede Apostolica, che dichiara l’autenticità evangelica del testo e dunque lo considera una via che conduce alla santità di coloro che lo assumono e lo vivono come “Regola di Vita”, perché parte dall’amore e conduce all’amore. Si tratta inoltre di una via di fedeltà a Don Bosco, al suo carisma e alla sua missione.

Il PVA ha una triplice finalità: assicurare l’identità dell’Associazione attraverso una fedeltà dinamica, che fa sempre riferimento alla intuizione e motivazione originale del Fondatore e al tempo stesso cerca di aggiornarsi secondo le mutevoli condizioni della storia; rafforzare l’unità dei suoi membri nella loro diversità di provenienza, età, formazione, sensibilità, lingua, cultura, ma uniti dall’Amore, dalla Fede, dalla Speranza e da un carisma comune e un progetto condiviso; e promuovere la loro vitalità, tenendo presente che dietro ogni vocazione c’è sempre una missione da svolgere, a nome della Chiesa e a favore dell’uomo, per cui la crescita personale e lo sviluppo dell’Associazione diventano criterio di autenticità e verifica.

 

Ricchezza antropologica, teologica, ecclesiale, salesiana del Progetto di Vita Apostolica

L’attuale Progetto di Vita Apostolica non è un semplice regolamento, valido ed utile, indispensabile e necessario, per regolare la vita dell’Associazione. Riconosciamo che già il precedente testo, nella dinamica post-conciliare, era stato accuratamente redatto cercando di arricchirlo di una dimensione antropologica, che facesse vedere l’importanza della singola persona, dei suoi bisogni, della sua formazione, della sua crescita fino a raggiungere la santità, e, contemporaneamente, mettendo in rilievo il valore insostituibile del gruppo (che io preferirei chiamare ‘comunità’) come spazio di fraternità, di esperienza di Dio e di impegno apostolico. Già il precedente testo era pure stato dotato di una visione teologica postconciliare che evidenziasse come alla base di un progetto di vita apostolica sta la fede battesimale e la prassi di vita cristiana, come espressione dell’Amore del Padre, che attraverso l’azione del suo Spirito ci rende suoi figli e discepoli del Signore Gesù, spingendoci alla piena configurazione con Cristo. Già il precedente PVA aveva inoltre avuto la preoccupazione di inserire l’Associazione all’interno della Chiesa, al fine di operare in essa, con essa e per essa, in modo tale da evitare qualsiasi concezione settaria o indipendente, e farci capire che la nostra comunione e missione sono partecipazione alla comunione e alla missione di Dio e della Chiesa: “Come il Padre mi amò, io vi ho amati” (Gv 15,9), “Come il Padre mi inviò, io vi ho inviati” (Gv 20,21). Infine, già il precedente testo era fortemente impregnato dello spirito e della spiritualità di Don Bosco, in primo luogo perché l’Associazione dei Salesiani Cooperatori è stata fondata direttamente da Don Bosco e in secondo luogo perché sempre ha occupato un posto centrale all’interno della Famiglia Salesiana assieme agli altri gruppi da lui fondati. Oggi tutti questi elementi sono stati raccolti ed evidenziati dalla ‘Carta d’Identità della Famiglia Salesiana’, che occorre conoscere e studiare assieme al vostro documento costitutivo.

Il nuovo Progetto di Vita Apostolica non ha voluto fare altro che, salvate tutte queste ricchezze che non possono andare perse, garantire meglio l’identità laicale dell’Associazione, in un momento della storia in cui è stata riconosciuta sempre più chiaramente la vocazione e missione del laico cristiano, oggi più che mai insostituibile. Anzi, mi azzarderei a dire che questo è il tempo dei laici, che in essi si gioca il futuro del Cristianesimo, specialmente in certe aree del mondo. Personalmente niente desidero tanto come vedere i gruppi laicali, ad incominciare dai Salesiani Cooperatori, formare ed agire come un vero movimento, con grande convinzione, dedizione ed impegno sociale e politico.  E a mio avviso questo obiettivo è stato raggiunto, almeno per ciò che si riferisce al documento, frutto di un lungo lavoro di tutti.

Non c’è nessun testo perfetto. Ciò vuol dire che tutti i testi sono perfettibili. In verità bisogna dire che la perfezione si trova nella vita vissuta alla luce del PVA. Tuttavia il testo che abbiamo è già molto buono per le ragioni sopraddette. Da questa prospettiva, è importante assumere il suo spirito e fare del testo un vero Progetto di Vita radicato nel Vangelo, con lo spirito di Don Bosco, per collaborare nella costruzione del Regno attraverso la testimonianza, la propria formazione e l’impegno apostolico.

 

La struttura del corpo sociale

C’è un motto latino che dice “Ubi societas, ibi ius”. “Dove c’è una società, deve esserci un diritto”, cioè qualcosa che – scritto o no – sia un codice che viene a regolare il rapporto dei membri, i loro diritti e doveri, il funzionamento, tutto al fine di una pacifica, serena e feconda convivenza. Nel caso dell’Associazione dei Cooperatori, Don Bosco stesso volle sin dall’inizio dotarla di un regolamento per agevolare il funzionamento e garantire la missione affidatale.

Ciò che era un’Associazione locale, al servizio delle Opere dell’Oratorio di Torino, si sviluppò e continua a svilupparsi aggiungendo sempre nuovi membri nelle varie parti del mondo, il che ha fatto sì che l’Associazione abbia una struttura sempre più organica ed articolata di coordinamento, ai vari livelli:

Livello mondiale: ha la duplice funzione di animare e governare promuovendo l’identità, la vitalità e l’efficacia dell’Associazione nella diversità dei contesti dove i membri si trovano a vivere la vita e svolgere la missione.

Livello ispettoriale: ha la cura particolare dei diversi gruppi locali, assicurando sia la buona integrazione, sia la formazione di qualità, sia la concretezza degli impegni nei diversi campi di missione.

Livello locale: è il luogo dove si svolge la vita dei singoli membri dell’Associazione, che vengono accolti, accompagnati nella loro crescita umana, spirituale, salesiana, attraverso un triplice lavoro di integrazione, formazione e militanza.

 

Il profilo del Salesiano Cooperatore

Il Progetto di Vita Apostolica definisce così il profilo del Salesiano Cooperatore, in forma tale di renderlo idoneo per la sua vocazione e missione. Si tratta del frutto di un processo d’identificazione che va poco a poco dando identità e tono a ciascuno dei membri dell’Associazione. I tratti più caratteristici sono quelli di:

Una persona ricca di umanità, elemento tipico dell’umanesimo ottimista di San Francesco di Sales, che porta ad avere una visione positiva di sé, della realtà, della Chiesa, del Mondo, perché impara a vedere Dio in tutte le cose e vederle con lo sguardo di Dio.

Un battezzato, con immenso amore alla Chiesa, che vive con gioia, riconoscenza e responsabilità la sua condizione di figlio di Dio, discepolo di Gesù, inserito nelle realtà temporali con chiara identità e prassi di vita cristiana.

Un salesiano nel mondo, secondo l’intuizione originale di Don Bosco, che lo voleva un appassionato collaboratore di Dio attraverso le grandi scelte della missione salesiana: la famiglia, i giovani, l’educazione, il sistema preventivo, l’impegno sociale e politico.

 

Contesto storico culturale – sociale – economico – religioso – scientifico – mediatico

Ebbene, questo mondo, che Dio ha tanto amato da inviare il proprio Figlio perché chi crede in Lui abbia vita eterna (cfr Gv 3,16), sta attraversando una delle tappe più esaltanti e sfidanti della storia. Ed è in questo mondo che siamo chiamati a vivere la vita, a testimoniare la fede e a collaborare con il carisma salesiano alla costruzione della Civiltà dell’Amore.

In effetti, il contesto economico, oggi messo alla prova da una crisi senza precedenti, è causa di migrazioni, di tensioni e forme di violenza, di un rinnovato e più marcato divario tra ricchi e poveri. Il quadro politico mondiale è messo alla prova dalla presenza di nuovi attori, come il mondo islamico, e dalla forza emergente dei grandi stati dell’Asia. La ricerca scientifica e tecnologica, pur benefica per tanti aspetti, sembra non conoscere limiti, né riferimenti morali; si nutre talvolta di pretese illegittime, dimenticandosi di dialogare su valori importanti, che stanno alla base dell’etica umana; anzi si presenta quasi come una specie di nuova religione. Abbiamo infine la sfida del mondo della comunicazione sociale. Da una parte, essa offre maggiore accesso alle informazioni, maggiore possibilità di conoscenza, di scambio, di forme nuove di solidarietà, di capacità di promuovere una cultura sempre più a dimensione mondiale e, dall’altra, promuove una profonda attenzione ai soli bisogni individuali, si assiste all’indebolimento e alla perdita di valore oggettivo di esperienze profondamente umane, si riducono l’etica e la politica a strumenti di spettacolo, rischi tutti che favoriscono la cultura dell’effimero, dell’immediato, dell’apparenza, senza memoria né futuro.[3]

Non vorrei darvi un’immagine negativa del mondo di oggi, ma non possiamo vivere ignorando la realtà che ci attornia. Inaugurando l’Anno della Fede, Benedetto XVI ha affermato che «In questi decenni è avanzata una “desertificazione spirituale”… È il vuoto che si è diffuso. Ma è proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne… E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza».[4]  Dobbiamo imparare a vedere Dio in tutto e, nello stesso tempo, considerare che tutte queste sfide sono anche delle opportunità. Così le ha volute affrontare la Chiesa. Essa infatti cerca di rispondere, con una “nuova evangelizzazione”, caratterizzata dallo sforzo di dare una risposta positiva ai grandi bisogni dell’uomo. Vuole trasmettere davvero una buona novella che riempia di luce, di senso e di speranza la sua vita. Da qui il bisogno di essere grandi, gioiosi e convinti credenti capaci di trasmettere la fede, certi che solo in Cristo l’uomo può raggiungere la pienezza di vita, la fecondità duratura, e la felicità cui aspira.

La comunicazione vitale ed orale della fede non si può mai imporre, ma si realizza in un grande clima di libertà e di proposta, che apre spazio alla interazione con tutte le culture, al dialogo interreligioso fra gli uomini e donne di tutte le credenze, all’ecumenismo fra i cristiani delle diverse confessioni, all’inculturazione lì dove viviamo.

 

Un progetto storico per questo tempo

In concreto, come vedo oggi il Salesiano Cooperatore e la Salesiana Cooperatrice?

Come persone dedite al bene comune operando in ambito politico, sociale e umanitario;

-  con un’attenzione privilegiata ai poveri, agli esclusi, agli ammalati, agli emarginati di ogni genere, tutto il che richiede apertura di cuore;

-  impegnati a dare vitalità alla Chiesa, rendendo operativi i progetti di bene dell’Associazione, ai diversi livelli, con vero atteggiamento di servizio;

-  forti di una spiritualità laicale, in modo tale da diventare educatori santi che sappiano formare alla vita evangelica e alla partecipazione ai sacramenti.

In somma, c’è bisogno di un nuovo Salesiano Cooperatore che risponda meglio, oggi, nelle mutate condizioni della storia, all’intuizione e volontà originali del nostro amato fondatore e padre.

San Giovanni Bosco è il Santo educatore, chiamato comunemente “Padre, Maestro e Amico della gioventù”. Per tutta la Famiglia Salesiana, e dunque per l’Associazione dei Salesiani Cooperatori, la sfida di oggi è incentrata soprattutto sulla prevenzione, sul rompere cioè il circolo vizioso che perpetua le continue violazioni dei diritti fondamentali e della dignità della persona, in particolare quella dei giovani.

Come Salesiani vogliamo offrire un contributo significativo nell’educazione dei giovani ad una partecipazione e un impegno, individuale e sociale, per lo sviluppo umano. Desideriamo stimolarli a farsi soggetti attivi di una cittadinanza mondiale responsabile, per promuovere una cultura diffusa dei diritti umani, capace di farsi patrimonio dell'umanità.

Troppo spesso l’educazione oggi è un'educazione di mercato, al servizio del mantenimento di uno status quo che, da una parte, continua a privatizzare la ricchezza sempre più in mano di pochi, a favore di poche persone, al servizio di lobbies precostituite, in pochi paesi privilegiati e, d’altro canto, l’unica cosa che socializza è la povertà.

Uno dei drammi dell’umanità moderna è appunto la frattura tra educazione e società, il divario tra scuola e cittadinanza. Dobbiamo pertanto promuovere un'educazione umanizzante, attraverso una proposta educativa altero-culturale, per una cultura della giustizia e della solidarietà. Chiediamoci: che cosa significa oggi educare cittadini responsabili che abbiano a cuore le sorti della società e dell'umanità?

Nel 2015 celebreremo il Bicentenario della nascita di Don Bosco e come Famiglia Salesiana ci stiamo preparando a questo importante appuntamento con un cammino preparatorio di tre anni. L’obbiettivo proposto per il 2013 riguarda appunto la pedagogia di Don Bosco, il ritorno a Don Bosco educatore per approfondire la comprensione storica del Suo metodo educativo, la Sua pedagogia della bontà e il Suo Sistema Preventivo, come proposta educativa e spirituale che si fonda su “ragione, religione ed amorevolezza”, e ritrovarne l’attualità nella formazione di “buoni cristiani e onesti cittadini”, espressione che, in un mondo sempre più multiculturale come il nostro, oggi si potrebbe tradurre come “formazione per gli altri”.

In un mondo profondamente cambiato rispetto a quello dell’ottocento, operare la carità secondo criteri angusti, locali, pragmatici, dimenticando le più ampie dimensioni del bene comune, a raggio nazionale e mondiale, sarebbe una grave lacuna di ordine sociologico ed anche teologico. Concepire la carità solo come elemosina, aiuto d’emergenza, significherebbe rischiare di muoversi nell'ambito di un “falso samaritanesimo”. 

Ci si impone pertanto una riflessione profonda, innanzitutto a livello speculativo. Essa deve estendere la sua considerazione a tutti i contenuti relativi al tema della promozione umana, giovanile, popolare, avendo, allo stesso tempo, attenzione alle diverse qualificate considerazioni filosofico-antropologiche, teologiche, scientifiche, storiche e metodologiche pertinenti. Questa riflessione, si  deve poi concretizzare sul piano della esperienza e della riflessione operativa dei singoli e delle comunità.

Dovremo procedere nella direzione di una riconferma aggiornata della "scelta socio-politica-educativa" di Don Bosco. Questo non significa promuovere un attivismo ideologico, legato a particolari scelte politiche di partito, ma formare ad una sensibilità sociale e politica, che porta comunque ad investire la propria vita per il bene della comunità sociale, impegnando la vita come missione, con un riferimento costante agli inalienabili valori umani e cristiani.

Detto in altri termini, la riconsiderazione della qualità sociale dell’educazione dovrebbe incentivare la creazione di esplicite esperienze di impegno sociale nel senso più ampio e, in un mondo sempre più interrelato, la scelta del volontariato internazionale ne rappresenta senza dubbio una estremamente significativa.

La paura del futuro in questo tempo di crisi è concreta, a tratti palpabile, soprattutto negli sguardi dei più poveri. Siamo di fronte ad un nuovo contesto di interdipendenza globale in cui non valgono più le vetuste polarizzazioni tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo e in cui tutti i Paesi, senza distinzioni, devono affrontare, in modo nuovo, nuove e vecchie sfide in grado di avere ripercussioni e impatto profondo ben al di fuori dei confini nazionali.

Fin dall’origine la missione salesiana, nella sua varietà di opere e di gruppi che la realizzano, non ha mai avuto una visione meramente assistenzialista, protesa solo a "dare", "inviare", "costruire". La missione salesiana rappresenta nella cooperazione allo sviluppo un ponte umano per il dialogo interculturale e interreligioso.

Il Sistema educativo di Don Bosco ha una grande proiezione sociale: vuole collaborare con molte altre agenzie alla trasformazione della società, lavorando per il cambio di criteri e visioni di vita, per la promozione della cultura dell’altro, di uno stile di vita sobrio, di un atteggiamento costante di condivisione gratuita e di impegno per la giustizia e la dignità di ogni persona umana.

A questo fine, un’Associazione come questa dei Salesiani Cooperatori deve riuscire ad affiancare ai progetti e agli interventi di sviluppo nei Paesi poveri, strategie capaci di incidere sulle politiche pubbliche e promuovere sensibilizzazione, informazione e formazione.

Ecco, cari fratelli e sorelle, quanto mi attendo di voi in questa ora storica. Affido a Maria Immacolata Ausiliatrice, alla sua guida e cura materna, tutta l’Associazione e tutti e ciascuno dei membri. Sia Lei a insegnarci ad essere Cooperatori di Dio nella realizzazione del suo magnifico disegno di salvezza, specialmente dei “giovani poveri, abbandonati e pericolanti”.

 

Roma, 8 Novembre 2012

 

Don Pascual Chávez V., SDB

 

[1] MB I, 367

[2] MB XVII, 463

[3] Cfr La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede. Instrumentum Laboris. Città del Vaticano, 2012. nn. 51-52. 

[4] Benedetto XVI, Omelia nella Messa di inaugurazione dell’Anno della Fede. OR, venerdì 12 ottobre 2012, p. 12.

 

Don Pascual Chavez

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