Il coraggio di raccontare

Dove sta scritto che San Paolo è caduto da cavallo? Chi ha detto che Gesù risorto è apparso alla madre? Chi s'è sognato che i Magi erano tre, che erano re, che uno di loro era scuro di pelle? E la Vergine, quando le apparve l'angelo Gabriele, che cosa stava facendo? Leggeva, tesseva o attingeva acqua? Sono domande lecite dopo aver visto opere d'arte non fedeli al contenuto delle Scritture...

Il coraggio di raccontare

da Quaderni Cannibali

del 04 luglio 2011

 

 Per trasmettere la fede non si deve temere il potere delle immagini, né la loro... immaginazione.

          Dove sta scritto che San Paolo è caduto da cavallo? Chi ha detto che Gesù risorto è apparso alla madre? O che Maria era presente all'ultima cena? Chi s'è sognato che i Magi erano tre, che erano re, che avevano età diverse, che uno di loro era scuro di pelle? E la Vergine, quando le apparve l'angelo Gabriele, che cosa stava facendo? Leggeva, tesseva o attingeva acqua? Sono domande lecite dopo aver visto opere d'arte non fedeli al contenuto delle Scritture.

          Più che di falsi, si può parlare di raffigurazioni con un qualcosa di inventato: ma si tratta di un 'di più' verosimile, possibile, in certi casi anche probabile. Prendiamo l'episodio della conversione di Paolo sulla via di Damasco: pur narrata per tre volte dagli Atti degli Apostoli (ai capitoli 9, 22 e 26), in nessuna di esse si fa cenno all'animale. Se i pittori l'hanno 'sentita' così, è perché la caduta da cavallo di un personaggio autorevole fa più male di una caduta nel cammino: vi si perde la faccia, l'orgoglio, il potere. È evidente come, dopo Paolo, anche gli artisti siano stati illuminati da quella luce «più splendente del sole».

          Nel caso dei Magi, la colpa delle rappresentazioni troppo ricche è di Matteo: unico degli evangelisti a nominarli, dice talmente poco che l'immaginazione - per riempire i buchi di un racconto scarno - interviene a rinforzare. Certo, in taluni casi si eccede e si sfiora il ridicolo, com'è successo a Autun, in Borgogna. Nel bassorilievo che rappresenta il sogno dei Magi (avvertiti dall'angelo di non tornare da Erode), i tre vengono messi a dormire sotto la stessa coperta e con la corona in testa: un'evidente assurdità. Di cui non si cura lo scultore romanico Gislebertus, che lavora nella cattedrale di Saint-Lazare dal 1125 al 1135. Perché la sintesi e la riconoscibilità dei personaggi vengono prima di tutto, in un capitello di poche decine di centimetri. L'artista, uno dei primi a firmare le proprie opere, non ha paura di operare scelte illogiche, pur di raccontare le storie di Gesù. Più dell'esattezza, ciò che vale è il piacere di narrare qualcosa di bello, di importante, di significativo per l'esistenza. Sperando di contagiare chi ascolta o chi guarda.

          Pochi giorni fa, ai catechisti e agli operatori pastorali della diocesi di Roma, Benedetto XVI ha confidato le parole che gli aveva scritto «in una piccola lettera» il celebre teologo svizzero Hans Urs von Balthasar: «La fede non deve essere presupposta ma proposta». Ad esse il Papa ha aggiunto: «È proprio così. La fede non si conserva di per se stessa nel mondo, non si trasmette automaticamente nel cuore dell'uomo, ma deve essere sempre annunciata». Se, di fronte a noi, non abbiamo bambini che ci stimolano, chiedendoci di ripetere le storie di Gesù, non si deve smarrire il gusto di ricominciare a narrarle. Senza dire: «Non sono pronto». Senza pensare: «Tocca ad altri». Senza rimandare. Senza stufarsi. Senza timore di chi possa controbattere: «La so già». Senza paura che le proprie immagini dicano troppo. Senza la preoccupazione che, per la tendenza a dare più credito all'immagine rispetto alla parola scritta, verrà il giorno in cui si dubiterà di quest'ultima.

          Talvolta le immagini possono dire la verità. Anche a Gesù stesso, che le usava nel suo parlare e un giorno s'imbatté in una donna che gli allargò l'inquadratura. Lui lasciò fare. Sì, consentì una correzione ottica, si lasciò... modificare. Ce la riraccontiamo? Si era nella zona di Tiro e di Sidone, terra pagana, e a una cananea, che gli aveva chiesto aiuto per la figlia indemoniata, il Signore voleva comunicare di dover aver cura della propria gente, non degli stranieri. Per cui le disse: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». La donna gli replicò che «anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli» (Mt 15,21-28; Mc 7,24-30). Il Signore fu così grato alla donna che ne guarì la figlia. Sarebbe bello che un artista ci restituisse il volto di Gesù, quando la cananea osò tanto: per ora possiamo solo intuirne gli occhi e la bocca, sorridenti per l'illuminazione ricevuta.

Gian Carlo Olcuire

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