Il difficile viaggio di Benedetto XVI in Turchia

Alla ragione primaria ed ecumenica ‚Äì visitare Bartolomeo I ‚Äì è subentrato il problema dei rapporti fra Occidente e islam. Importante è il conforto alle piccole comunità cristiane, che dalla sua venuta sperano più libertà religiosa. Con la protezione di Giovanni XXIII, chiamato “il papa turco”. Dal nostro inviato speciale.

Il difficile viaggio di Benedetto XVI in Turchia

da Attualità

del 27 novembre 2006

Sarà difficile il viaggio che da domani vedrà Benedetto XVI in Turchia, prima visita di Papa Ratzinger in uno Stato a popolazione islamica, terzo papa ad andare nel Paese della Mezzaluna, dopo Paolo VI (1967) e Giovanni Paolo II (1979). A renderlo tale non sembrano tanto i conclamati timori per la sicurezza, quanto l’eco che i media di tutto il mondo daranno ad eventuali contestazioni di matrice musulmana, tanto da prevalere sugli altri significati della visita. L’enorme rilievo acquistato dalla questione dei rapporti tra Occidente e mondo islamico, infatti, ha fatto sì che tale questione, che in realtà non è il motivo principale del viaggio, divenisse preponderante, specialmente dopo la “lectio magistralis” di Regensburg e le reazioni musulmane. Che proprio in Turchia hanno visto esponenti governativi scendere in campo contro le parole del Papa. Il che se da un lato è singolare, visto che il Paese fa della propria laicità un principio costituzionale, dall’altro conferma il maggior rilievo che proprio in Turchia sta assumendo negli ultimi tempi l’identità religiosa. Come conferma la presenza, ai vertici del governo, di un esponente di un partito islamico, seppur “moderato”, e l’aumento delle donne che vanno in giro con il velo.

 

Il problema della concentrazione dell’attenzione sulle manifestazioni antipapali resta, malgrado l’esiguità dei numeri che i contestatori sono riusciti a mettere in campo: forse 30mila ieri ad Istanbul, in risposta all’appello del partito islamico Saadet, che sperava in un milione di persone; un centinaio alla simbolica occupazione di Santa Sofia e un singolo a sparare in aria davanti al consolato italiano. Resta però il fatto che secondo gli ultimi sondaggi solo il 10% dei turchi approva la visita del Papa, il 38% è decisamente contrario, mentre un altrettanto 38% è indifferente e il 14% preferisce non esprimersi.

 

Il fatto è che l’”offesa all’Islam” per il – poco letto – discorso di Regensburg si è intrecciata con la “questione Europa”, ossia con le richieste avanzate dall’Unione europea per l’ammissione della Turchia. Sono state sentite come un’imposizione “occidentale” – e quindi in certo modo “cristiana” – esigenze europee come il rispetto della libertà religiosa, l’eliminazione o la radicale modifica dell’art. 301 del Codice penale (ritenuto contrario alla libertà di espressione), la limitazione dell’ingerenza dei militari nella vita pubblica e, soprattutto, la richiesta di aprire porti ed aeroporti alla odiata Repubblica di Cipro (che è membro Ue). Ne è nata una reazione nazionalistica di difesa dell’identità turca, della quale l’islam è sentito fare parte, al contrario del cristianesimo. .

 

Il che potrebbe anche piacere all’attuale governo, se Erdogan non si fosse oggettivamente impegnato a fondo per portare la Turchia in Europa.

 

L’atteggiamento del governo ha così assunto toni e comportamenti contraddittori, tra il seguire l’onda delle reazioni e portare avanti il suo programma. Da un lato, all’indomani di Regesburg, il responsabile degli affari religiosi Ali Bardakoglu, si è scagliato contro il Papa, e lo stesso Tayyp Erdogan ha criticato le sue parole. Premier, ministro degli esteri e presidente del Parlamento hanno fatto sapere – da tempo – di non poter incontrare Benedetto XVI per precedenti impegni all’estero, tanto che il quotidiano Aksam ha pubblicato in prima pagina una foto del Papa con la scritta “Arriva il Papa, scappa!”. Dall’altro lato, però, lo stesso premier ha ipotizzato, alla vigilia dell’arrivo, possibili modifiche dei programmi per riuscire a vederlo.

 

E’ ecumenica, invece, la seconda motivazione della visita, che in realtà era la principale: portare avanti i rapporti con gli ortodossi, ed in particolare con il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, il “primo in onore” di tutti i patriarcati. Il cammino ecumenico, in particolare con le Chiese d’Oriente è nel programma del pontificato, secondo quanto ha detto lo stesso Benedetto XVI; il primo invito al Papa ad andare in Turchia è venuto dal patriarca Bartolomeo I, già l’anno scorso, e non a caso Benedetto XVI ha rifiutato le proposte che miravano a spostare la data del viaggio che “deve” ruotare intorno al 30 novembre, festa dell’apostolo Andrea, fondatore delle Chiesa d’Oriente, come Pietro lo è per quella d’Occidente.

 

Il Papa e Bartolomeo si incontreranno tre volte in due giorni, ed ognuno andrà nella chiesa dell’altro per la celebrazione di un rito, avranno colloqui privati ed insieme firmeranno una dichiarazione comune. Dal documento non ci si attendono annunci storici, né un balzo nel cammino ecumenico, ma un altro passo sicuramente sì, anche alla luce dei lavori dell’ormai riattivata commissione mista che sta affrontando le questioni teologiche. Poche settimane fa a Belgrado, ha anche toccato il fondamentale problema del Primato petrino.

 

Terzo motivo del viaggio, l’incontro con la minuscola comunità cattolica – poche migliaia di persone - ferita dall’uccisione di don Andrea Santoro, il 5 febbraio scorso. Gli incontri col Papa, ad Efeso il 29 novembre e ad Istanbul il primo dicembre, serviranno sicuramente a rincuorarla.

 

Dalla sua presenza i cattolici, ma anche gli altri cristiani, sperano in un miglioramento delle loro condizioni, come di quelle delle altre minoranze, sostanzialmente discriminate ed impedite nell’esercizio della libertà religiosa.

 

Sullo sfondo, infine, i rapporti con la Turchia, tornati a livello diplomatico solo nel 1960, grazie al “papa turco”, come fu definito, in Turchia, Giovanni XXIII, che, da rappresentante papale, sulle rive del Bosforo trascorse dieci anni. Una sua statua da inaugurare servirà forse a rinfocolare l’affetto col quale è ancora oggi ricordato dai turchi. E magari gioverà a Benedetto XVI.

Franco Pisano

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