Don Bosco, nella sua esperienza di educatore, percepì che il gioco, oltre ad essere un elemento equilibrante e quindi necessario, sviluppa aspetti specifici nella formazione totale del ragazzo.
del 10 settembre 2010
 
          Quando Don Bosco fu ordinato sacerdote pensò la propria azione pastorale, mettendovi il gioco come elemento fondamentale. Il suo primo programma si esprimeva in un trinomio: giocare, stare assieme, fare catechismo.
          Lui stesso giocava con i ragazzi. Non fu difficile constatare che il cortile attirava più della chiesa. Molti giovani che non sarebbero venuti in chiesa, erano invece attratti dal cortile.
          Non solo, ma in questa prima esperienza percepì l’importanza del gioco nella totalità della vita del ragazzo povero, sottomesso al lavoro durante la settimana, costretto alla dipendenza e condannato all’assenza di legami affettivi gratificanti.
          «L’esperienza ha fatto conoscere - scriverà al ministro Francesco Crispi - che si può efficacemente provvedere a queste quattro categorie di ragazzi: coi giardini di ricreazione festiva, con l’amena ricreazione, con la musica, con la ginnastica, coi salti, con la declamazione, si raccolgono con molta facilità. Con la scuola serale poi, con la scuola domenicale e col catechismo, si dà alimento morale proporzionato e indispensabile a questi poveri figli del popolo» (Il Sistema Preventivo applicato negli Istituti di rieducazione. Promemoria al Ministro Francesco Crispi, 1878).
          L’importanza del gioco per il giovane era stata percepita anche da altri, ma forse alcuni non gli avevano attribuito altra finalità che quella di un onesto passatempo: la formazione viene dal lavorare - era il loro pensiero – e dallo studiare; il gioco prepara ed assicura le energie e la disposizione per quei momenti che sono quelli che realmente contano.
          Don Bosco, nella sua esperienza di educatore, percepì che il gioco, oltre ad essere un elemento equilibrante e quindi necessario, sviluppa aspetti specifici nella formazione totale del ragazzo. È divenuto, quindi, per lui oggetto di riflessione, di osservazione, di organizzazione e di guida.
          Scrive egli stesso del suo Oratorio: «Io avevo già fatto disporre di quanti più giuochi potevo, il cavallo di legno, l’altalena, le sbarre per il salto, tutti gli altri attrezzi di ginnastica». Così il gioco concepito sin dall’inizio come un punto importante nel programma educativo e pastorale, seguiva il calendario liturgico e l’itinerario catechistico, e segnava la vita della comunità giovanile. I giochi erano ordinari tutte le domeniche, ma diventavano straordinari nelle principali festività.
          È interessante anche a questo riguardo consultare le tre biografie esemplari, quelle cioè di Domenico Savio, di Michele Magone e di Besucco Francesco.
          Parlando di «esemplarità» ci si aspetterebbe che di un giovane vengano presentati soltanto l’amore allo studio, alla pietà, la buona educazione, la carità verso il prossimo. Invece nelle tre biografie appare sempre il momento del gioco. Uno di questi ragazzi è agile, vivace e scatenato, e potrebbe essere un numero uno dello sport: è Magone. Un altro è gracile e «niente pratico di certi esercizi ricreativi» (Vita del giovane Besucco Francesco, cap. XVII), ma interpretando un consiglio di Don Bosco: «la ricreazione piace al Signore» (ib.) volle «abituarsi a far bene tutti i giuochi che hanno luogo tra i compagni» (ib.). Dopo lepidi incidenti riceve da Don Bosco questa indicazione: «i giuochi devono impararsi poco alla volta, di mano in mano che ne sarai capace. Sempre per altro in modo che possano servire di ricreazione, e mai di oppressione al corpo» (ib.). 
don Juan Vecchi
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