Il cristianesimo non è tanto un corpo di dottrine quanto la rivelazione di un mistero. Un mistero è un'azione divina, qualcosa che Dio fa nel tempo per introdurre gli uomini nel santuario dell'eternità. Come religione dei misteri, il cristianesimo è una religione di fatti: fatti divini, azioni divine.
del 22 dicembre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
 
          Nel celebrare i misteri di Cristo man mano che ricorrono nel tempo la Chiesa comincia sempre con l'annunciare questi eventi: «Cristo è nato!» «Cristo è risorto!». Essa li proclama come un araldo proclama l'ingresso trionfale di un re vittorioso in una città. Il suo annuncio, il suo proclama dell'evento divino è una missione che essa affida ai suoi «araldi», ai suoi apostoli, ai suoi predicatori. Il cristianesimo è quindi essenzialmente kerygmatico: il sacerdote è un araldo, kerux, un angelo del Signore, una voce che grida nel deserto: «Raddrizzate le vie del Signore».
          Queste pagine sono una proclamazione, un kerygma, della natività del Figlio di Dio, nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. Annunciano il fatto della sua nascita, proclamano la presenza del suo mistero in mezzo a noi, ora, quest'anno. Annunciano, come dice la Chiesa nella sua liturgia : «In questo giorno Cristo è nato, in questo giorno il Salvatore è apparso: in questo giorno gli angeli cantano sulla terra e gli arcangeli si rallegrano: oggi esulta il giusto dicendo: sia gloria a Dio nel più alto dei cieli, alleluia».
          Cristo è nato. È nato per noi. Ed è nato oggi. Natale, infatti, non è un giorno come gli altri. È un giorno reso santo e speciale da un sacro mistero. Non è un giorno come gli altri nello stanco giro del tempo. Oggi l'eternità entra nel tempo, e il tempo, santificato, viene assorbito nell'eternità. Oggi Cristo, Verbo eterno del Padre, che era fin dal principio con il Padre, nel quale tutte le cose sono state fatte, in virtù del quale tutte le cose esistono, entra nel mondo che egli ha creato per reclamare le anime che hanno dimenticato la loro identità. La Chiesa esulta, perciò, mentre gli angeli scendono ad annunciare non una cosa vecchia, accaduta tanti anni fa, ma un evento nuovo, che accade oggi stesso. Oggi Dio Padre rende nuove tutte le cose nel suo Figlio divino, nostro Redentore, secondo le sue parole: ecce nova facio omnia.
          Perciò la Chiesa che è sulla terra si unisce alla Chiesa che è nei cieli per cantare lo stesso cantico, il canticum novum che il Profeta ordinava a tutti di cantare dopo che il mondo fosse stato redento dal Cristo. Quando Davide gridò: «Cantate al Signore un cantico nuovo», era il primo corifeo a intonare gli inni che la Chiesa avrebbe cantato questo giorno nella sua liturgia annunciando al mondo intero la salvezza e l'allegrezza. Infatti, come dice san Leone: «Oggi brilla sopra di noi un giorno di nuova redenzione, un giorno restauratore di tutto ciò che era perduto, un giorno di beatitudine senza fine».
          Così, con l'Alleluia della vittoria, il grido trionfante della Pasqua sulle sue labbra, la Chiesa rinnova il mistero della Passione nel quale la morte è conquistata, il potere del male è spezzato per sempre e i peccati sono perdonati: il mistero della morte e della resurrezione del Salvatore che è nato oggi per noi. Oggi canta la Chiesa: Dies sanctificatus illuxit nobis; il che vuol dire: un giorno di salvezza, un giorno santificato dal mistero, un giorno pieno di potere divino e santificante è sorto per noi. « Venite, o Genti, ad adorare il Signore, poiché oggi una grande luce è scesa sopra la terra.» La Chiesa invita il mondo intero ad adorarlo mentre si prepara con gran solennità ad annunciare al mondo le parole del Vangelo nella terza Messa. Sono le parole del Prologo di san Giovanni, in cui il più grande evangelista proclama che «il Verbo, il quale in principio era con Dio, si è fatto carne ed abita in mezzo a noi, pieno di grazia e di verità».
          A Natale più che mai è opportuno ricordare che non abbiamo altra luce all'infuori di Cristo, nato per noi oggi. Riflettiamo sul fatto che egli è disceso dal cielo per essere la nostra luce e la nostra vita. È venuto, come egli stesso ha detto, ad essere nostra via, per la quale possiamo ritornare al Padre. Cristo ci dà oggi luce per conoscere lui nel Padre e noi stecssi in lui, in modo che, così conoscendo e possedendo il Cristo, possiamo avere una vita imperitura con lui nel Padre. «Questa infatti è la vita eterna: che possano conoscere te, Padre, unico vero Dio, e Gesù Cristo, che tu hai inviato»; e ancora: «A tutti coloro che lo hanno ricevuto egli ha dato il potere di diventare figli di Dio».
          Dopo aver capito ancora una volta chi è colui che viene a noi, e aver ricordato che egli solo è la nostra luce, apriamo dunque gli occhi al Sole che sorge, affrettiamoci a riceverlo e accorriamo insieme a celebrare il grande mistero della carità che è il sacramento della nostra salvezza. e della nostra unione in Cristo. Riceviamo Cristo in modo dal poter essere in tutta verità «luce nel Signore» e che Cristo possa brillare non solo per noi ma anche attraverso noi, in modo che possiamo tutti ardere insieme nella dolce luce della sua presenza nel mondo: intendo dire la sua presenza in noi, perchè noi siamo il suo Corpo e la sua Chiesa.
          Come ha detto san Paolo (lo leggiamo oggi in una delle epistole): «In questi ultimi giorni Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che costituì erede di tutte le cose e mediante il quale creò anche i secoli: questo Figlio, che è l'irradiamento della gloria e l'impronta della sua sostanza, e che sostiene tutte le cose con la sua possente parola, dopo di avere compiuto la purificazione dei peccati, si è seduto alla destra della maestà nel più alto dei cieli » (Ebr I, 2-3). In un altro brano lo stesso Apostolo dice: «Dio, il quale ha ordinato che la luce risplendesse dalle tenebre, è brillato nei nostri cuori per dar luce alla gloria di Dio nel volto di Cristo Gesù».
          Cristo, luce della luce, è nato oggi ; e poiché è nato per noi è nato in noi come luce; perciò noi che crediamo siamo nati oggi ad una nuova luce. In altri termini, le nostre anime sono nate a nuova vita e a nuova grazia col ricevere lui che è la verità. Cristo, infatti, invisibile nella sua natura, è diventato visibile nella nostra. Che cosa può significare, questo, se non che egli è diventato visibile come uomo prima, e poi nella sua Chiesa? Egli vuol essere visibile in noi per vivere entro di noi, operare in noi e salvarci con la sua azione segreta nei nostri cuori e nei cuori dei nostri fratelli. Dobbiamo quindi ricevere con la fede la luce del neonato Salvatore per manifestarla con la nostra testimonianza nella preghiera comune e con le opere di carità verso gli altri.
          Queste due cose, la testimonianza e la carità, sono unite nel più grande di tutti i nostri atti di culto con il quale celebriamo insieme i divini misteri proclamando la nostra fede, rinnovando il nostro eterno patto con Dio nostro Padre e ricevendo fra noi colui che è la sorgente della nostra fede e insieme il suo oggetto.
          Noi ci diamo Cristo, per così dire, l'un l'altro nella carità fraterna che ci unisce nei vincoli della pace. Cristo infatti, dopo essere nato nei nostri cuori, arriva fino a se stesso nel cuore dei nostri fratelli mediante l'amore del suo Spirito. Legandosi, il Cristo che è in noi, con se stesso quale si trova nei nostri fratelli, egli ci restituisce, in questo medesimo Spirito, all'abbraccio del Padre celeste.
          Oggi siamo nati, in Cristo, a questo abbraccio e a questa pace. Non ci deve quindi sorprendere se sentiamo nei nostri cuori l'esultanza della divina luce che si irraggia nel nostro spirito dalla presenza del neonato Salvatore e ci trasforma di gloria in gloria nella sua immagine.
          Questo è il mistero della luce che brilla oggi sopra di noi e che la Chiesa proclama nei suoi inni e canti sacri. Tu lumen, tu splendor Patris, essa canta nelle Lodi, non solo rivolgendosi a lui che si trova dinanzi a lei misticamente, ma anche riversando la luce e lo splendore di Dio che irradia da lui, nel nostro cuore. Questo splendore brilla infatti in ognuno di noi che ha ricevuto il battesimo, sacramento della luce. Esso brilla con maggior splendore in noi quando siamo inebriati dal fuoco dello Spirito Santo e abbagliati dalla luce gloriosa del beatissimo Corpo del Salvatore che abbiamo ricevuto in noi come nostro mistico nutrimento.
          Il calice della salvezza è venuto infatti a noi traboccante di fuoco divino e il Corpo del Signore ha bruciato le tenebre e le scorie della mondanità che ci impediva di cercare l'Uno che abita in mezzo a noi e che noi non conosciamo : « Il nostro Dio è un fuoco che consuma. » Per questo la Chiesa nelle varie orazioni prega con le seguenti parole: «O Dio che hai illuminato questa santissima notte con lo splendore della vera luce, concedi a noi che, contemplato il suo mistero di luce sulla terra, possiamo goderne la gioia nel cielo... Irradiati dalla nuova luce del tuo Verbo incarnato ti chiediamo, o Dio onnipotente : risplenda nelle nostre opere ciò che per la fede rifulge nel nostro spirito... Per questo santissimo scambio di doni (haec sacrosancta commercia) col favore della tua grazia concedi che siamo trasformati nel tuo Figlio, per il quale Fumana natura si è unita a te... Le nostre offerte, Signore, siano degne del mistero della Natività che oggi celebriamo, e ci riempiano sempre di pace; e come nella sua nascita Cristo rifulse uomo e Dio, questa nostra offerta terrena ci comunichi la vita divina.
          In tutte queste preghiere la Chiesa ci immerge nella luce di Dio che risplende nelle tenebre del mondo, affinchè siamo illuminati e trasformati dalla presenza del neonato Salvatore, ed Egli possa nascere e vivere veramente in noi trasformando tutti i nostri pensieri e tutte le nostre azioni in luce. Quale grande gioia, quindi, che colui il quale abita in eterno nella luce e nella pace inaccessibile del Padre abbia lasciato il trono della sua gloria per scendere sulla terra ed essere uno di noi! O meglio, senza abbandonare il seno del Padre, ma velando la luce troppo splendente della sua gloria nella nube dell'umana natura, colui che siede in trono sopra i cherubini stabilisca la sua dimora in mezzo a noi, adagiato in una povera mangiatoia. Questo neonato che i pastori, abbagliati dallo splendore della schiera angelica, potevano a stento vedere nell'oscurità della grotta illuminata appena dalla lanterna di Giuseppe, questo bimbo (per la sua divinità) è l'Antico di giorni, creatore e giudice del cielo e della terra, di cui scriveva il profeta Daniele : « Io stavo guardando, quando dei troni furono posti e l'Antico di giorni si assise. Le sue vesti erano bianche come la neve e i capelli della sua testa candidi come lana pura: il suo trono, fiamma di fuoco, e le sue ruote fuoco ardente. Un fiume di fuoco scaturiva e usciva davanti a lui: migliaia di migliaia lo servivano e miriadi di miriadi stavano davanti a lui » (Dan 7, 9-10). È la visione che Daniele ebbe della divinità del Verbo che, nella sua umana natura, giace qui indifeso nell'oscurità. Ma il Figlio dell'Uomo che è qui nato è lo stesso Verbo, consustanziale col Padre. A questo Figlio unigenito, uguale al Padre in tutto, essendo Dio, ma meno del Padre in quanto uomo, è dato ogni potere dal Padre. Per questo Daniele dice: «Stavo ancora osservando nelle visioni notturne, ed ecco venire con le nubi del cielo uno come un figlio d'uomo: s'accostò all'Antico di giorni e fu presentato al suo cospetto. E gli fu dato dominio e gloria e regno, affinchè tutti i popoli, nazioni e lingue lo servissero; il suo potere è un potere eterno e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto» (Dan 7, 13-14). Questo è dunque il re promesso dal principio del mondo e il cui regno non avrà mai fine.
          Non dobbiamo aver paura di lui. Dio ha quasi svuotato se stesso ed è venuto a noi come un bimbo affinchè coloro che non poterono essere salvati dalla paura, ma solamente distrutti da essa, potessero rincuorarsi ed essere salvati dalla fiducia. «Vuotando se stesso» e prendendo la forma di un servo, Gesù ha messo da parte la sua maestà e il suo divino potere per abitare in mezzo a noi nella bontà e nella misericordia. Udiamo quel che dicono i santi Padri: «La potenza di Dio era apparsa prima nella creazione del mondo, e la sua sapienza nel governo di tutto ciò che era stato creato: ma la sua bontà e misericordia appaiono ora più chiaramente che mai nella sua umanità. Egli si è fatto conoscere agli ebrei con segni e miracoli... Ma gli ebrei rimasero schiacciati dalla sua potenza e i filosofi che con impudenza tentarono di penetrare i segreti della sua maestà rimasero accecati dalla sua gloria». Queste parole sono di san Bernardo.
Né il potere né la gloria, dunque, possono salvarci, poiché se il potere e la gloria di Dio si rivelassero all'occhio nudo del l'uomo, questo rimarrebbe accecato dalla loro luce e consumato dal loro fuoco.
          Che cosa possiamo fare dunque? San Bernardo prega, come fa la Chiesa in ogni epoca: « Mostraci la tua bontà, o Signore, affinchè l'uomo, che è stato creato a tua immagine e somiglianza, possa conformarsi ad essa»: Appareat Domine bonitas, cui possit homo qui ad imaginem tuam creatus est, conformari.
          Abbiamo già visto che Dio ha risposto a questa preghiera, perchè tutta la sua bontà, tutto il suo amore e tutta la sua misericordia (che non avremmo mai potuto vedere nei lampi e tuoni sul monte Sinai né nei turbini del deserto), tutta la gentilezza del grande Iddio ci si è manifestata nel Cristo. Apparuit benignitas et humanitas salvatoris nostri Dei!
          Il bimbo che giace nella mangiatoia, indifeso e abbandonalo alla mercè delle sue creature, completamente soggetto ad esse per il cibo, il vestito e il sostentamento, è e rimane sempre il Creatore e Reggitore dell'universo. Eppure, in questa sua umana natura, ha voluto lui stesso essere indifeso affinchè noi possiamo prenderci cura di lui. Qui, infatti, non sono solo apparenze. La povertà del Bambino e della madre sua, la solitudine e l'abbandono di Betlemme, la mancanza di vitto, di vestiti e di ogni altra necessità sono tanto reali quanto i nostri bisogni e i nostri limiti. E perchè? Anzitutto, per la realtà del suo amore. Egli ha abbracciato la nostra povertà e le nostre sofferenze per amore verso di noi, per poter dare a noi le sue ricchezze e la sua gioia. Si è fatto povero come il più povero fra noi, in modo che nessuno potesse trattenersi dall'accostarsi a lui per falsa vergogna. L'amore che porta per noi questo divino infante è infatti il vero amore di un bimbo ma, al tempo stesso, e non meno vero, è l'amore del Salvatore e Dio nostro. Le braccia che egli apre verso di noi per abbracciarci non sono abbastanza forti da far male a un uomo, eppure sono le braccia di Dio. Che cosa può essere più evidente del fatto che Dio, il quale ci ama e non odia nulla di ciò che ha fatto, non desidera farci alcun male? Può Dio fare qualcosa che non sia nostro bene? No. Siamo noi che ci immergiamo nella nostra distruzione fuggendo dal suo amore.
          E allora, per dirla con le parole dell'Apostolo, « rinnegate l'empietà e le mondane cupidigie, vivete assennatamente e giustamente e piamente nel presente secolo, aspettando la beata speranza e manifestazione della gloria del grande Iddio e salvatore nostro Gesù Cristo; il quale diede se stesso per noi, per redimerci da ogni iniquità e purificare per se stesso un popolo di suo possesso, zelante di belle opere» (Tit 2, 12-14).
          Ma qui san Paolo parla di un'altra venuta del Signore, quel
la del Giudizio finale, perchè la Chiesa vuol ricordarci che
 senza la consumazione dell'opera di Cristo sulla terra, i suoi inizi non avrebbero senso. Il corpo sacrosanto che il Salvatore
 del mondo ha assunto nel seno della Vergine Madre è risorto
 da morte e regna sui cieli e sulla terra, insediato sul trono alla destra del Padre. Il bimbo che contempliamo nel mistero di 
questo giorno vive di fatto in seno al Padre dove è generato ìnuovamente nel « giorno » dell'eternità e dove governa il corso del mondo e delle vite umane con la sua onnipotente mise
ricordia. Colui che è insieme un Bimbo e un Re, un Infante e 
l'Antico di giorni, guarda con occhio sereno al giorno futuro 
nel quale renderà partecipe la nostra carne della sua vittoria 
finale sulla morte. Quel giorno, colui che nacque sulla terra e nel tempo assumendo un corpo mortale, rivestirà la nostra carne di non corruzione. «Suonerà la tromba e i morti risor
geranno incorruttibili e noi saremo mutati. » Dio si è fatto uomo affinchè gli uomini potessero diventare dèi.
          Se vogliamo vedere Cristo nella sua gloria dobbiamo riconoscerlo ora nella sua umiltà. Se vogliamo che la sua luce risplenda sulle nostre tenebre e la sua immortalità rivesta la nostra mortalità, dobbiamo soffrire con lui sulla terra per essere con lui incoronati in paradiso. Se desideriamo che il suo amore ci trasformi di gloria in gloria fino a diventare simili a lui, dobbiamo amarci gli uni gli altri come egli ha amato noi, e dobbiamo prender posto a quella tavola beata sulla quale egli si fa nostro cibo, offrendoci il pane vivo, la manna che ci è stata mandata dal cielo, in questo giorno, per diventare vita del mondo.
          Gesù, che è disceso in mezzo a noi per nutrire il nostro spirito con il suo corpo e sangue, non lo fa per trasformare se stesso in noi, ma per trasformare noi in lui. Egli si è dato a noi affinchè noi apparteniamo a lui. Il centro di questo grande mistero è infatti il disegno dell'eterno Padre di restaurare ogni cosa in Cristo. Questo, dice san Paolo, è il «mistero della sua volontà... dispensare la pienezza dei tempi, restaurare in Cristo tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra».
          Questo Infante e Redentore che viene tra i canti degli angeli per rispondere alle preghiere di tutti i patriarchi e profeti e per soddisfare i desideri inespressi della intera discendenza di Adamo esiliata dal paradiso, viene anche per placare i gemiti di tutto il creato. Il mondo intero infatti è rimasto nel dolore e nel lutto dalla caduta dell'uomo in poi. L'intero universo, con tutta la sua multiforme bellezza e con tutto il suo splendore, ha sofferto nel disordine bramando la nascita del Salvatore. «Ogni creatura geme e soffre nel dolore fino a questo momento... perchè la creatura aspetta e brama la rivelazione dei figli di Dio».
          I patriarchi e i profeti hanno pregato invocando la venuta del Cristo, e questa sua prima venuta non è bastata a far tacere i gemiti del creato. Infatti, secondo l'espressione dell'Apostolo sopra citata, mentre l'uomo attendeva che Gesù nascesse nella Giudea, il resto dell'universo aspetta ancora la rivelazione di Cristo nella sua Chiesa.
          Il mistero del Natale, pertanto, impone sulle nostre spalle un grave debito nei riguardi del resto dell'umanità e dell'intero universo. Noi che abbiamo veduto la luce di Cristo siamo obbligati dalla magnificenza della grazia che è stata riversata su di noi a far conoscere la presenza del Salvatore fino ai confini della terra.
          Questa missione noi potremo assolverla non solamente an
nunciando e predicando la buona novella della sua venuta, ma soprattutto rivelando lui nella nostra vita. Cristo è nato oggi 
per potersi manifestare al mondo intero attraverso noi.
Questo è il giorno della sua nascita, ma ogni giorno della nostra vita mortale dev'essere una manifestazione di lui, la sua divina Epifania nel mondo che egli ha creato e redento.
Thomas Merton
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